I racconti del colonialismo

Radici

Shaka Zulu

Cuore di tenebra

Il crollo

L'arco dei traditori

Il mio nome è Rigoberta Menchù

La morte di Artemio Cruz

L'odore dell'India

Passaggio in India

La grande proletaria si è mossa

Lord Jim

Colpo di luna

 

 

I personaggi

Stanley

Gordon

Livingstone

Colombo

 

 

 

“Cuore di tenebra”

 

Autore: Joseph Conrad, adattamento inglese del vero nome, Jósef Teodor Konrad Korzeniowski

Titolo originale: Heart of darkness

Genere: romanzo narrativo/geostorico

Anno della redazione: 1898

Anno della prima edizione: 1902, presso la Blackwood’s magazine

Collocazione spaziale: Congo Belga

Collocazione temporale: compresa tra il 1860 ed il 1870

Personaggi principali:

Marlow, protagonista della narrazione; introverso e di buon cuore, è sin da giovanissimo appassionato di geografia ed è soprattutto desideroso di viaggiare per l’Africa, dove, a quel tempo, molti territori erano inesplorati; con l’aiuto della zia, riesce a coronare il suo sogno ed entra a far parte della compagnia coloniale che commercia lungo le rive del fiume Congo; ma le sue aspettative vengono presto deluse: egli infatti si trova a confrontarsi con la scura e turpe realtà della schiavitù sregolata dei neri, finalizzata allo sfruttamento rapace del territorio ed alla raccolta di materie prime; la sua permanenza in questa “tenebra” è accompagnata dal pensiero fisso di rintracciare Kurtz, fantomatico individuo facente parte della compagnia ed ibrido fra la condizione di medio borghese inglese e “sovrano” della società nera congo – belga; nonostante l’antagonismo rappresentato e dall’insidioso territorio e dai suoi abitanti, Marlow giunge, verso la fine del racconto, all’incontro con Kurtz, avvenimento che segna l’apogeo letterario del romanzo e si pone come chiave interpretativa dell’intreccio narrativo. Quando poi questi muore, Marlow fa ritorno in Inghilterra e si assume l’onere di comunicare la triste notizia alla promessa sposa di Kurtz; non riesce però a rivelarle la verità, a raccontarle le terribili azioni di cui l’amato si è reso complice e quali siano state le sue ultime parole, e si giustifica con se stesso affermando che confessare ciò che realmente era accaduto sarebbe stato “tenebroso, troppo tenebroso”.

 Kurtz, co – protagonista della narrazione; è un uomo tronfio, ribaldo e senza scrupoli; il suo spasmodico interesse per l’Africa ed in particolar modo per il Congo Belga, è esclusivamente remunerativo, legato all’arricchimento personale attraverso il commercio dell’avorio; aspira alla conquista del posto di direttore della compagnia per la propria autoesaltazione; dal momento che la sua vita è scandita dal ritmo tre – uno – tre (tre anni in Congo belga, un anno in patria, Inghilterra, ed altri tre nel medesimo territorio africano), tra lui e quell’ambiente è in atto una sorta di osmosi, per la quale gli sembra di rivendicare un certo qual livello di superiorità rispetto ai connazionali e soprattutto rispetto agli schiavi neri. In principio però, Kurtz era un uomo totalmente diverso in quanto diversi erano i suoi ideali: voleva venire a contatto con quel “nuovo mondo” e civilizzarlo, nel senso di renderlo cosciente e compartecipe della cultura europea e cercare di portarlo ad una evoluzione, ad un progresso attraverso la superiorità tecnologica (tali propositi sono chiaramente espressi nel suo diario, che viene rinvenuto da Marlow prima che avvenga l’incontro); in seguito però, forse per le mire di ricchezza imprescindibilmente presenti in ogni uomo, forse per l’influenza degli altri componenti della compagnia, comincia lentamente a degradarsi moralmente, a perdere quella lucidità mentale e quella padronanza di sé che lo aveva condotto sino a quei territori, fino ad assumere i tratti già sopraccitati del mero conquistatore territoriale. Ostacolato nel suo intento di raggiungere l’agognata gloria dall’effettivo capo della compagnia, viene poi costretto a letto da una grave forma di febbre (non si sa se si tratta di malaria). È in questa particolare circostanza che egli intraprende una sorta di introspezione, che gli rivela l’assurdità e la scelleratezza delle azioni sue e degli altri sfruttatori e delle conseguenze che quelle hanno comportato (le sue ultime parole prima della morte sono «Che orrore! Che orrore!») e si rende conto che la sua coscienza, per quanto tenti in ogni modo di riconcigliarvisi, gli è avversa e che la bieca brama di arricchimento, come una cupa estraneità, si è ormai impadronita di lui; questi sentimenti vengono poi particolarmente messi in risalto dall’incontro con Marlow.

Commento:

Dopo aver letto “Cuore di tenebra” non ci si può porre che una domanda: di che cosa si tratta?

Pare evidente che non può essere considerato una semplice “narrazione di un racconto reso verosimile da una serie di citazioni geografiche e rimandi storici, socio – politici ed economici”. L’ipotesi più plausibile è che il libro, attraverso la descrizione della vicenda di Marlow, sia una testimonianza biografica, o meglio autobiografica (l’esperienza del protagonista è assimilabile con quella di Conrad stesso), che assume l’aspetto di una denuncia sociale alla colonizzazione europea in Africa. Risulta pertanto evidente la posizione che l’autore prende nei confronti della metodologia patria di attuare la colonizzazione. Lo si vede benissimo sin dall’inizio del libro: quella che in principio era l’“Africa ignota” risulta poi diventata l’“Africa contesa”; il più vuoto e sconosciuto degli spazi aveva acquistato dei laghi, dei fiumi, dei nomi; ma, soprattutto, quella che una volta era “una macchia bianca che un bambino [Marlow, nella fattispecie] poteva riempire di sogni di gloria” è divenuta “un luogo di tenebra”.

Il lettore dunque, indotto a pensare di star leggendo un libro sull’Africa, è in realtà proiettato in una narrazione che suggerisce che l’esplorazione ha trasformato l’ignoto in indicibile e che la “missione civilizzatrice”, sostenuta dal continente europeo come una retta e sufficiente giustificazione del colonialismo, invece di portare la luce ha sortito l’effetto opposto: l’Africa è divenuta un continente di tenebra, ma la tenebra è quella che gli invasori hanno portato con sé, la fosca ombra dell’uomo bianco. Ed è basandosi su questi presupposti che viene costruita l’immagine di Kurtz.

La narrazione è quanto mai ambigua rispetto a questo personaggio: dapprima ce lo presenta come un individuo di dubbia moralità, mosso apparentemente solo da una egoista brama di potere e ricchezza, per poi rivelarci la sua reale natura attraverso il diario da lui stesso redatto, ed ecco che scopriamo un uomo buono, di sani principi, animato dal desiderio di avventura e di scoperta, e dunque le caratteristiche che lo contraddistinguono sono il coraggio e, perché no, la spregiudicatezza (intesa come temerarietà). Non sono forse le peculiarità proprie dei veri esploratori, quelli realmente esistiti?

È indubbio che con il suo racconto, Conrad abbia voluto rievocare personalità come David Livingstone (1813 – 1873) ed Henry Stanley (1840 - 1904). Il primo, missionario – esploratore, riteneva che la tratta e lo sfruttamento degli schiavi neri potessero essere contrastati attraverso “Commercio, Cristianesimo e Civilizzazione”; l’altro, giornalista – esploratore, forse senza una precisa predisposizione ideologica, giunse nel territorio africano professandosi come un “pioniere della civiltà”. Non solo i due si incontrarono in Africa (precisamente è Stanley a trovare Livingstone), ma a Stanley erano stati affidati, come successe a Marlow con Kurtz, i diari e le lettere di Livingstone.  Sono tutti dettagli che fanno parte di una simbologia accuratamente ricercata e predisposta, forse poco intelligibilmente, in maniera tale da riprendere la realtà e riprodurre il paradigma [del mito] dell’eroico esploratore che, indipendentemente dal fatto che i suoi ideali siano sentiti o meno, esercita sempre un fascino indiscutibile.

Probabilmente è per questo motivo che in un primo momento non ci turba quella personalità di Kurtz già intaccata dalla “tenebra”. Al lettore sembra che la narrazione voglia portare avanti l’implicazione che il “male” di Kurtz è determinato dalla sua regressione verso il primitivo, e che dunque “il male, sostanzialmente, è africano”. In realtà però, la lettura chiarisce che ciò che lo induce al degrado morale è la volontà di potenza implicita nella stessa idea di una “missione civilizzatrice”; il fatto, per, esempio, che egli si ponga come un dio tribale reinserisce l’idea di una superiorità razziale ad un livello più profondo rispetto a quello proprio del puro e semplice colonialismo. Ci si rifà dunque al sopraccitato ragionamento, secondo il quale “la turpe nube oscura” non viene scatenata dal popolo nero ma è insita ed innata nella cultura dell’uomo europeo.

Data dunque la figura di Kurtz, c’è chi la mette in aperto contrasto con quella di Marlow, ponendo quest’ultimo quasi come un personaggio dalle caratteristiche opposte al primo. In realtà le cose non stanno propriamente così. Marlow potrebbe essere considerato come il “primo” Kurtz, quello che ancora non ha lasciato l’Inghilterra e che ancora ha delle aspettative, ma soprattutto ha dei principi. Marlow è pertanto “intonso”, “incontaminato”, poiché non ha ancora compiuto il viaggio fisico da Londra al Congo, viaggio che poi si trasforma in un percorso morale [si prendano come esempi allegorici la discesa lungo il Tamigi e la risalita lungo il fiume Congo, che raffigurano i passaggi industria – natura, evoluzione - arretratezza, hollowness (vacuità del progresso basato sullo sfruttamento) – wilderness (la forza selvaggia ed incontrollabile della natura), presente – passato, ottimismo - pessimismo] in cui egli viene posto a confronto con l’operato del colonialismo; e questo percorso può essere interpretato come una “catabasi” ed una quest, una ricerca del viaggiatore scomparso (Kurtz). Ma rifacendosi alla precedente definizione del personaggio Marlow, si capisce come questi allora sia alla ricerca di se stesso, o meglio, di quella parte di sé che avverte tenebrosa, in rapporto a pulsioni ed istinti distruttivi; per questa ragione insiste nel ricercare Kurtz, per il fatto che intravede in lui un possibile alter ego futuro e vuole cercare di conoscerlo e capirlo, per evitare di diventarlo.

A questo punto non parrebbe fuori luogo affermare che “tutta l’Europa ha contribuito alla creazione di Kurtz” e che “tutta l’Europa ha contribuito alla narrazione di Marlow”. È forse quello che pensa anche lo scrittore nigeriano Chinua Achebe (1930), che nel suo famoso attacco a “Cuore di tenebra”[1] si rifiuta di considerare tanto la drammatizzazione del testo della coscienza di Marlow quanto la distanza strategica che Conrad prende tra sé e gli altri narratori inglesi. «Conrad» dice Achebe «piuttosto che presentare un’immagine dell’Africa, preferisce descrivere l’esperienza di Marlow in Africa ed il suo tentativo di comprendere e rappresentare quell’esperienza»; ed ancora «Marlow è un personaggio di finzione la cui coscienza opera in accordo con i codici e le categorie convenzionali a lui contemporanei, e se le sue percezioni sono a volte razziste, questo è perché sono razzisti quei codici e quelle categorie». Ma il nocciolo della critica di Achebe è quel tipo di lettura di “Cuore di tenebra” in cui il testo è considerato solamente nei suoi termini psicologici: «Proprio nessuno riesce a vedere la ridicola e perversa arroganza nel ridurre così l’Africa al ruolo di puntello per il crollo di una singola meschina mente europea?». Egli osserva che la cultura e la storia africane non hanno ricevuto una rappresentazione adeguata nella letteratura europea e che il libro in questione non fa niente per rimediare a questa mancanza. Afferma inoltre che una lettura in chiave psicologica che si concentri esclusivamente sulle figure di Marlow e Kurtz mettendo da parte il contesto storico – sociale replica proprio quella disumanizzazione degli africani che la critica all’imperialismo di “Cuore di tenebra” condanna. Forse però l’Africa non è semplicemente il fondale scelto arbitrariamente per raccontare la storia del “crollo di una singola meschina mente europea”: il vero e proprio crollo di Kurtz è il risultato del posto che egli occupa nella rete di collegamento gerarchicamente strutturata di Europa ed Africa; Kurtz è una vittima dell’imperialismo e la sua storia mostra quanto “l’anteporre l’economia alle essenziali esigenze umane” possa essere dannoso tanto per gli africani quanto per gli europei. Ed è più o meno quello che afferma Achebe quando dice¹ che «Per Leopoldo II [re dei Belgi, 1835 - 1909] il colonialismo è la scienza molto limitata di servirsi di popolazioni tecnologicamente meno avanzate per produrre ricchezza dalle risorse naturali del loro paese».

Ma la critica di Achebe sulla rappresentazione degli Africani può essere estesa alla rappresentazione delle donne. Infatti, secondo Achebe, “Cuore di tenebra”  attua una rappresentazione svilente e stereotipata delle donne e le critiche di Marlow rivolte a sua zia [all’inizio del romanzo, Marlow imputa alla zia il volergli consigliare di intraprendere una professione legata al lucro] e la sua idealizzazione della Promessa sposa riflettono gli stereotipi patriarcali vittoriani: in entrambi i casi ciò che Marlow percepisce non è la donna in sé, ma un’immagine basata sui suoi preconcetti sulle donne.

Benché siano poste ai margini della narrazione, le donne costituiscono un nucleo argomentativo assai importante. Oltre che la diversità della donna rispetto all’uomo, che pare basata sull’allineamento ideologico di maschio/femmina con cultura/natura, “Cuore di tenebra” rappresenta l’alterità e la contrapposizione tra la donna africana e la donna europea. La donna africana viene supposta come “la donna primigenia,” con tutte le sue implicazioni di sensualità e sessualità, caratteristiche con cui insidia in maniera significativa “l’uomo bianco europeo”: nel romanzo appare chiaramente che Kurtz viene quasi sottomesso dalla donna africana (che nella narrazione viene definita “corpo dalla vita misteriosa e feconda che racchiude in sé l’anima tenebrosa di questi luoghi [l’Africa]”), o, per meglio dire, non sembra porre agli istinti sessuali indotti da quella quel freno morale che parrebbe consono ad un “civile europeo”; appare anche che, al contrario, Marlow ne percepisce la minaccia poiché la pone a confronto con il mito della donna europea pura e volta al sacrificio. Si capisce dunque che la donna africana è vista come una delle varie forme della tenebra, che in questo caso agisce attraverso la tentazione, da cui l’uomo europeo deve tenersi distante; in altre parole, ricorre nuovamente il leitmotiv della giustezza e rettitudine dell’Europa nell’ambito della colonizzazione rispetto ad una cultura arretrata e, come sembra, insidiosa.

Certamente, la Promessa sposa (intesa come modello della donna europea) è il punto focale della parte finale della narrazione. Se Kurtz si erge come un dio da adorare, Marlow innalza la Promessa sposa come oggetto della propria ambivalente venerazione, e lo fa imponendole il suddetto mito di purezza e sacrificio: la bugia che Marlow le racconta mostra come ciò che si presenta come un atto di rispetto nei confronti delle donne (europee, s’intende) in realtà rafforza e protegge gli uomini, affermando al contempo un’ideologia patriarcale composta da un mondo femminile “delle illusioni” (troppo bello) ed un mondo maschile “di verità” (troppo tenebroso). Il testo nel suo complesso pare dunque voler dire che la “verità” su Kurtz può essere rivelata a chi è “abbastanza uomo per riceverla”.

Abbiamo dunque visto come “Cuore di tenebra” possa essere analizzato attraverso differenti punti nodali ed interpretato sotto molteplici tematiche che possono apparire confusi, sovrapposti e di difficile individuazione. Tuttavia la concretizzazione della narrazione e la rappresentazione peculiare dei personaggi che Conrad esegue aprono “Cuore di tenebra” ad una considerazione critica delle sue pratiche di discorso tardo – vittoriano ed offrono al lettore la possibilità di superare le “limitazioni” concettuali ed ideologiche del narratore che impediscono una comprensione essenziale ed imparziale dei contenuti.



[1] Chinua Achee, An image of Africa: Racism in Conrad’s “Heart of darkness”, in Massachusset Review (1977)