I racconti del colonialismo

Radici

Shaka Zulu

Cuore di tenebra

Il crollo

L'arco dei traditori

Il mio nome è Rigoberta Menchù

La morte di Artemio Cruz

L'odore dell'India

Passaggio in India

La grande proletaria si è mossa

Lord Jim

Colpo di luna

 

 

I personaggi

Stanley

Gordon

Livingstone

Colombo

 

 

 

Spunti storici desunti ed estratti da Lord Jim di Joseph Conrad

 

Apparentemente legato al filone letterario di fine Ottocento, nel quale gli autori si dividevano tra sostenitori ed oppositori del sistema governativo inglese, Lord Jim tende, oltre a prendere una posizione critica nei riguardi delle decisioni politiche elisabettiane, a dare un contributo importante nel cercare di decifrare un contesto politico – economico di un’epoca complessa e travagliata, vista dagli occhi di un protagonista, che nel libro è appunto Jim e nella realtà è Conrad stesso; si ricordi infatti che lo scrittore ha avuto diverse esperienze di navigazione, sia sotto la bandiera britannica che sotto quella francese (per citare le più rilevanti).

Dal componimento si possono estrarre essenzialmente tre nuclei principali. Osservando le pagine 28 e 29, risultano innanzitutto chiari i primi due: l’estensione dei dominii coloniali inglesi nei primi anni del ‘900 e l’organizzazione commerciale. Le colonie interessano le coste della Cina, dell’India, della Thailandia, del Giappone ed anche dell’Australia (avendo capisaldi in città come Bombay, Calcutta, Honk Kong, Bangkok, Shanghai e Sydney)1; i possedimenti si estendevano dunque per tutti i cosiddetti “mari del Sud”, ovvero per l’oceano Indiano e per il Pacifico meridionale; i territori interessati andavano dall’Arabia all’Australia. Dunque, è chiaro che gli Inglesi operavano traffici commerciali su larga scala, il che costituiva un problema in quanto poteva risultare difficile un controllo sicuro e dettagliato sui prezzi delle merci e sul loro scambio, sul mantenimento delle colonie e su un eventuale allargamento dei “confini coloniali”.

Un modo per ovviare a quelle problematiche poteva essere l’impiego di una maggiore quantità di marinai e personale competente che potesse controllare tale situazione; la soluzione però avrebbe potuto essere controproducente, poiché avrebbe richiesto un aumento delle uscite statali (le navi ed i vari materiali erano forniti dalla marina britannica, gli spostamenti ed i viaggi erano sovvenzionati dallo stato e gli equipaggi dovevano essere salariati dallo stesso) difficilmente compensabili dagli introiti provenienti dalle attività dei traffici commerciali.

Si arrivò dunque ad un compromesso. L’Inghilterra creò legami con ricchi commercianti cinesi, arabi e giapponesi, i quali, in cambio di parte dei proventi derivanti dagli scambi o di un lauto e diretto pagamento in denaro od ancora di una posizione di rilievo nelle colonie, si impegnavano ad essere “rappresentanti della corona inglese” con il compito di preservare l’efficienza e la sicurezza delle vie marittime e mantenere l’ordine ove mancava oppure era a rischio. Appare chiaro che l’intera struttura coloniale britannica funzionava grazie all’interesse di un governo centrale capace di organizzare ed intraprendere una fitta serie di relazioni commerciali in grado di rendere i traffici fluidi e protetti. 2 Non mancavano tuttavia gruppi indipendenti. Molte infatti furono le leghe marittime createsi tra le coste orientali dell’Africa, l’Arabia ed il Giappone. Queste erano cordate di britannici che assieme a francesi, olandesi tedeschi e persone benestanti provenienti da altri paesi europei fondavano delle vere e proprie cooperative (in maggioranza ditte di forniture navali oppure empori di navigazione) basate su ingenti capitali messi in comune; chiaro è che tali associazioni, in quanto indipendenti, cadevano fuori dall’orbita di controllo della madrepatria ed erano tali da risultare in un certo qual modo concorrenti, magari occupando località strategiche da un punto di vista commerciale. Resta comunque il fatto che la costituzione di questi empori restava ristretta ad un piccolo cerchio di persone di ceto medio – alto (commercianti o possidenti di terre) che cercavano di aumentare i loro capitali investendo nelle attività marittime; coloro che intendevano invece intraprendere una professione legata al viaggio per mare divenivano perlopiù marinai.

Questa è la condizione inglese all’inizio del Novecento. Resta però da chiarire come l’Inghilterra abbia creato un così vasto e funzionale impero commerciale. Bisogna dunque risalire alle origini di questo colonialismo (stimate intorno al 1500, ma probabilmente sono ancora antecedenti) ed alle motivazioni, sia quelle ideale che quelle concrete, che hanno portato ad una condizione del genere.

Dal libro si comprende come gli inglesi (ed in generale tutti i paesi colonizzatori) fossero visti come dei veri e proprie esseri superiori, con attributi quasi divini, degni di essere considerati dei capi. («Lo chiamavano Tuan Jim[…]. Loro, nel villaggio, erano sotto la speciale protezione di quel signore, prova che Jim non provava alcun rancore[…]. Si era già creata la leggenda che la marea era montata due ore prima del solito per aiutarlo a risalire il fiume»). Il vero scopo delle loro opere colonizzatrici, vale a dire lo sfruttamento di risorse (materiali ed umane), era mascherato da una legittimazione religiosa e culturale. È risaputo che l’Europa, nel corso della storia, ha ricoperto un ruolo di primo piano, ponendosi come esempio di perfezione politica, economica e sociale, paradigma che deve essere inteso come unico ed assoluto; e tale primato nel mondo doveva essere reso noto (ed in qualche modo anche celebrato).

Non va inoltre dimenticato che l’Europa è la culla del Cristianesimo, una delle religioni più diffuse al mondo, il quale veniva ostentato come confessione “civilizzatrice dei popoli inferiori”3  il sistema dei grandi valori etici vigenti nel mondo bianco dei “mari del Sud”, e cioè la competenza professionale, il senso del dovere, la lealtà con gli amici, i compagni e gli alleati, la capacità di accettare la routine banale della vita quotidiana e la sobrietà, doveva bastare per giustificare una presa di potere degli occidentali nelle regioni “della vecchia umanità”, dei popoli “ignoranti”, ovvero che non conoscono l’importanza del sapere e della dottrina europea.(Chiaramente il primato dell’Europa nel mondo consiste nel confondersi della storia europea con la storia del Cristianesimo). In aggiunta, se nei paesi occidentali era notevole lo sviluppo tecnologico (altro sintomo della superiorità europea), nei paesi colonizzati (nel libro si porta l’esempio di Patusan, un villaggio del Borneo) era sentito veramente radicato un forte sistema gerarchico e politico, affermarsi in tali territori significava avere doti politiche preclare, mente nel mondo imperialista erano sufficienti doti professionali: abilità ed inventiva nel commercio, capacità di navigare…

Infine tale legittimazione poteva essere sostenuta dalla comunità bianca presente nel bacino dell’Indiano e del Pacifico, società che considera quei sopraccitati valori come universali, scolpiti nel cuore dell’uomo, come tra l’altro sostiene il pensiero cristiano. Tutto ciò rappresenta il quadro della mentalità comune e del sistema dei valori dominanti appartenenti a quel vastissimo ma unitario mondo bianco fatto di marinai, governatori, commercianti che operano, ed a volte si stabilizzano e vivono nei cosiddetti "mari del sud", un mondo vastissimo, ma estremamente unitario dal punto di vista del patrimonio culturale e politico, tutto europeo e bianco. In poche parole, tale legittimazione sembra diventare essenziale: pare che senza una concezione di Europa come “mondo delle radici, mondo primigenio dove nascono quei valori cristiani, mondo originario dell’eticità”, l’egemonia europea sul mondo, etico – culturale prima che commercial militare, sarebbe impossibile.

In conclusione, si vede come “Lord Jim” non si presenta solo come componimento famoso di un altrettanto illustre scrittore, ma è un documento che ci testimonia delle situazioni reali, dei fatti accaduti: dobbiamo dunque considerarlo anche come attestazione storica e leggerlo quindi con un ottica differente, una chiave di lettura più attenta ed approfondita.

(Di Gioia Bersani Tommasini, Andrea Indelicato ed Emanuele Volpe, VB)

 


1) Per un preciso riferimento, rifarsi alle pagine 35, 139, 145


2) In Lord Jim esempi di tali empori commerciali sono la società norvegese “Egström&Blake” e la società tedesca di Stein, un personaggio della narrazione


3) Nel libro v’è un chiaro esempio di questa civilizzazione. Sul vapore Patna vengono fatti imbarcare all’incirca ottocento pellegrini mussulmani («“Guardi questo bestiame” disse il capitano tedesco al suo nuovo primo ufficiale») per effettuare un viaggio con destinazione La Mecca. Risulta evidente come la religione cristiana si ponga come fede principale e venga dunque sfruttata come arma e come pretesto per lo sfruttamento territoriale. Basti considerare come vengono appunto trattati quei mussulmani, con assoluto distacco, odio ed avversione, durante un viaggio che per loro è invece importantissimo, essenziale, contraddistintivo della loro appartenenza religiosa e della loro identità come individui.