IL MONUMENTO DI MONTE SABBIUNO
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6• SABBIUNO DI PADERNO

14/23 Dicembre 1944
Il percorso verso la morte

 

  • Il 14 dicembre 1944 un gruppo di prigionieri, su ordine del Comando tedesco, viene fatto uscire da San Giovanni in Monte, e preso in consegna da un “ufficiale tedesco SS”, come viene annotato dal registro del carcere che tutti firmano, all’uscita (fig. 1) .
• Quella firma è l’ultima traccia materiale che quegli uomini lasciano di sé. Ma perché vengono “rilasciati”, e dove sono diretti?
• È probabile che alcuni di loro sperassero di essere destinati al lavoro coatto per costruire fortificazioni nelle colline a sud della città, ma certamente qualcuno nel gruppo già intuisce che il proprio destino sarà un altro.
• Dal dicembre del 1941, con il decreto “Notte e nebbia”, i capi della Germania nazista avevano stabilito che “un’opera di efficace e duratura repressione esige la pena di morte o misure tali che i parenti o la popolazione in generale rimangano nell’incertezza circa la sorte dei trasgressori”, il che significava morte o deportazione nei lager per i partigiani e per i fiancheggiatori della Resistenza rastrellati ad Amola e ad Anzola. Inoltre, il carcere di San Giovanni in Monte ha già dimostrato di non essere affatto inespugnabile, ed è sovraffollato di detenuti politici. La soluzione più conseguente è l’eliminazione fisica, per gruppi, dei ribelli imprigionati.
• In base alle ricostruzioni fatte grazie ad alcune testimonianze oculari, il primo gruppo viene incolonnato e, non si sa con certezza se a piedi o in camion, attraversa Via Farini e Via D’Azeglio, esce da Porta San Mamolo e prende la strada dei colli. È la tarda mattinata del 14 dicembre.
• Alle 16 dello stesso giorno, un giovane gappista, Bruno Tura “Wladimiro”, mentre sta attraversando la zona di Sabbiuno con un compagno, cercando di mettersi in salvo oltre la linea del fronte, sente alcune scariche di mitra e, poche ore dopo, catturato dalle SS, viene condotto in prossimità di un calanco dove vede giacere “dieci o dodici corpi di giovani”, tra i quali riconosce, legati tra loro, “Tempesta” e “Terremoto”. È probabile che le fucilazioni avvenissero per gruppi, tra il 14 e il 16 dicembre, e che, nell’attesa, i condannati venissero tenuti nella stalla del vicino casolare (fig. 4) (lo stesso che oggi ospita la mostra fotografica). Ma perché viene scelta la località di Sabbiuno per quella esecuzione?
• Siamo nel terreno delle ipotesi: è una località raggiungibile dalla città in breve tempo
(ci sono meno di 8 km. di distanza); è una zona pressoché disabitata, perché il fronte è vicino; è caratterizzata dalla presenza dei calanchi, nei quali i corpi possono essere.
più facilmente nascosti (figg. 2 - 3) . Perché in questa fase della guerra tedeschi e fascisti rinunciano a dare ampio risalto alle esecuzioni, e tendono a nascondere i corpi dei giustiziati invece di esibirli, temendo i contraccolpi negativi che potrebbero prodursi nell’opinione pubblica cittadina alla vista dei cadaveri di numerosi partigiani fucilati.
• Familiari e compagni di lotta apprendono di questa prima esecuzione attraverso un manifesto affisso in città, che contiene i nomi di 24 partigiani “giustiziati il 14 dicembre”.
Ma non ci sono solo partigiani in quel primo convoglio di morte.
• La ricostruzione dell’elenco delle vittime di Sabbiuno si basa sull’incrocio di fonti diverse, e su una di queste, il registro delle firme d’uscita dal carcere di San Giovanni in Monte, appaiono appartenere al gruppo di coloro che sono partiti per Sabbiuno anche quattro nomi che non sembrano far parte del movimento della Resistenza: Felice Bagnoli, di Ozzano, Leo Kocker, commerciante salisburghese residente a Castelfranco Emilia, Ernesto Bisi, ferroviere bolognese, e Adelmo Piazzi, anch’egli bolognese, fornaio.
• Quindi è possibile che, nel “progetto” che sta dietro l’eccidio, accanto ai nomi dei partigiani ben noti e individuati, in gran parte contenuti in una lista compilata dall’allora vicequestore Agostino Fortunati, ne siano stati introdotti altri, in tutto o in parte anomali, scelti per motivi diversi, e difficilmente decifrabili, dalle SS.
• Dopo che i primi gruppi sono stati fucilati tra il 14 e il 16, il 22 dicembre un contingente di partigiani e fiancheggiatori incarcerati a San Giovanni in Monte viene deportato a Mauthausen. Per questo motivo quando, all’alba del 23, un nuovo gruppo di prigionieri viene fatto uscire dal carcere, molti, anche tra i familiari, credono che la loro destinazione sia la Germania.
• Ma anche il “sistema dei campi”, in quello scorcio di guerra, sta per cedere, ed è probabile che cambi lo schema prevalentemente usato, secondo il quale gli appartenenti alla Resistenza politica e i fiancheggiatori venivano spediti nei lager, mentre i partigiani combattenti accertati venivano uccisi subito. Sta di fatto che del gruppo uscito dal carcere l’antivigilia di Natale si perdono le tracce: l’applicazione del decreto “Notte e nebbia”, in questo caso, è perfetta.
• Da questo momento in poi cessa ogni forma di pubblicità all’eliminazione di partigiani o di civili sospetti. La guerra antipartigiana diviene sempre più una guerra di annientamento, dove non c’è spazio per la ricerca del consenso, neppure attraverso la paura instillata con la repressione palese, con la punizione esemplare. Si elimina fisicamente l’avversario, quasi in silenzio, nell’attesa che il nemico fermo sull’Appennino riprenda per l’ultima volta l’offensiva.
• Intanto, per i parenti dei partigiani portati via dal carcere fra il 22 e il 23 dicembre, comincia un’attesa lunga e piena di sofferenza.
     
1.
  Riproduzione del registro del carcere
  (scheda di Aroldo Cristofori)
 
 
 
2.
  Sabbiuno di Paderno, panorama invernale
   
 
 
3.
  Sabbiuno di Paderno, panorama invernale
   
     
 
 
4.
  Sabbiuno di Paderno, il casolare usato come
  carcere provvisorio
     
 
 
 

 


 
5.
  Percorso da San Giovanni in Monte al casolare
   
   
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SACRARIO AI CADUTI DELLA RESISTENZA NEL PARCO COLLINARE