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Le Troiane (Euripide)

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 Le Troiane
Euripide

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P. Weiss

Le Troiane e L’Istruttoria a confronto

Non vi è testo tragico che sappia parlare del dolore di un popolo deportato e sottomesso come Le Troiane di Euripide: rappresentano infatti la caduta della città attraverso il destino delle donne della casa reale. Ecuba, già sposa del re Priamo, è ora un’anziana schiava, travolta dal destino avverso. Cassandra, ancora dotata del dono della profezia, prevede le sventure dei vincitori: […] se Apollo esiste, sposerà me –con nozze più sinistre di quelle d’Elena – il famoso re degli Achei Agamennone. Io sarò la sua morte, e abbatterò la sua casa, facendo le vendette dei miei fratelli e di mio padre… Lasciamo andare – no, non canterò la scure che piomberà sul collo mio, sul collo d’altri, e neppure la lotta matricida che le mie nozze desteranno, e lo stermino della famiglia d’Atreo. – Questa città la mostrerò ben più felice che non gli Achei […] (vv. 355 ss.).

La sorte dei vincitori sarà quindi infelice come quello dei vinti.

Elena, condannata a morte dall’esercito greco come causa del conflitto, si misura in un agone con Ecuba: pare di essere in un tribunale ateniese. Le parole dell’anziana regina risultano così persuasive, nella loro avversione verso la giovane, che Menelao, giudice del dibattito afferma: Il tuo punto di vista è il mio, che costei volontariamente fuggì dalla mia casa ad altro letto.

Tale agone funge da intermezzo tra due pagine molto intense: l’addio di Andromaca al piccolo figlio Astianatte e il pianto di Ecuba sul suo cadavere.

L’uccisione del figlio di Ettore è pretestuosamente motivata dalla volontà di eliminare un futuro pericolo. Struggenti le parole che Andromaca, già crudelmente privata del marito, gli rivolge: figlio, tu piangi […] Perché mi tieni stretta con le mani e alle mie vesti t’avvinghi, e sotto le mie ali cerchi riparo come un uccellino? Ettore non verrà […] non spunterà dal suolo per recarti salvezza […] Ecco, è l’ultima volta, abbraccia stretto tua madre […] e dammi un bacio. Greci, inventori di supplizi barbari, non ha colpa di nulla, e perché mai l’uccidete?

Andromaca è costretta a partire subito con Neottolemo, al quale è stata assegnata come bottino. È ancora una volta Ecuba che interviene per curarne la sepoltura, lei, personificazione del dolore: Cara bocca, che tante vanterie lanciavi, ora sei chiusa per sempre […] Non sei tu, adesso, a seppellir me: sono io, vecchia senza patria e senza figli, che seppellisco te, tanto più giovane. […] che mai potrebbe scrivere un poeta sulla tua tomba? Questo bambino l’hanno ucciso un giorno i Greci per paura […] Stolto quell’uomo che, credendo saldo il benessere, gode: la fortuna, per sua natura, come un matto, salta di qua, di là: che sia la stessa persona ad essere felice, non accade.

Se alla tragedia euripidea -cui la varietà metrica conferisce una straordinarietà lirica e poetica capace di esaltare i diversi momenti emotivi e psicologici dei personaggi- si accostano passi dell’omonima tragedia di Seneca, il risultato appare articolato e continua a coinvolgere sullo stesso piano vinti e vincitori: la guerra è annientamento per i primi, riflessione sulla necessità della violenza, come esito dell’ira e del furor, per i secondi. E ancora, nel rispetto della coralità, come dimensione di dolore condiviso e generalizzato, emergono le tragiche vicende di Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena che si intrecciano alla storia di un popolo il cui annientamento ricorda tante vicende dolorose che hanno insanguinato la storia fino ai nostri giorni.

Il dramma delle Troiane si macchia di scottante attualità: emergono la violenza della guerra, l’umiliazione del popolo sottomesso, la perdita dell’identità culturale. In un crescendo impressionante di sventure, in cui a dolore si aggiunge dolore, assistiamo attoniti e impotenti al rogo di una città antica, la rocca di Ilio, un tempo ricca e prestigiosa, ora solo memoria di passate grandezze, i cui altari abbandonati non sono più depositari di valori civili e religiosi, ma solo un ammasso di cenere, simbolo di rovina per le generazioni a venire.

Federica Lanari, classe V S2