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  • Case per gli umili alla Beverara, 1931-1939
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  • Pubblicità di un farmaco del Laboratorio Farmaceutico Cassarini (Archivio Cassarini-Pallotti)

Archivio Istituzione Cassarini-Pallotti

Istituzione Alessandro e Clodoveo Cassarini e Virginia Pallotti

Pro domo Miserorum - 1909 - 1980

L'Istituzione ‘Alessandro e Clodoveo Cassarini e Virginia Pallotti Pro domo miserorum' (correntemente indicata come "Istituto Cassarini - Pallotti") trasse origine dalle estreme volontà di Alessandro Cassarini, personaggio noto per la sua attività di fotografo "dilettante", che morì a Castelfranco Emilia il 13 ottobre 1929.

Con testamento olografo Cassarini aveva disposto che il suo patrimonio, escluso un certo numero di legati, venisse utilizzato per fondare "un istituto che avesse carattere di vera beneficenza per soli miserabili". L'istituto avrebbe dovuto restare ad imperitura memoria del testatore, della moglie Virginia Pallotti e del fratello Clodoveo, a quell'epoca entrambi già defunti.

Le volontà di Cassarini erano quindi estremamente generiche, avendo egli affidato il compito di precisare l'ordinamento e le finalità dell'istituto ai propri esecutori testamentari. Ma chi contribuì in maniera decisiva ad attribuire all'erigenda opera assistenziale una singolare collocazione nell'ambito dell'edilizia popolare bolognese fu in realtà l'amministratore giudiziale dell'eredità Cassarini, l'ing. Umberto Ferri, commissario agli ospedali di Bologna ed ex-assessore comunale al Patrimonio, che vide nei beni lasciati dal testatore (valutati intorno ai 4.000.000 di lire) l'inaspettata possibilità di realizzare un proprio progetto già sottoposto qualche anno prima, ma senza alcun esito, all'approvazione dell'amministrazione comunale.

Ferri, secondo una logica assai consueta in quegli anni, connetteva direttamente la necessità di fornire alloggi a basso costo alle categorie più disagiate della popolazione cittadina con quella di portare a compimento la ristrutturazione urbanistica del centro storico. Le sue "case per gli umili" avrebbero dovuto servire in primo luogo ad accogliere gli abitanti dei quartieri popolari più interni della città, di cui era previsto da tempo il "risanamento": ed in particolare quelli di S. Giacomo e di S. Apollonia, dove si stava avviando la costruzione dei nuovi istituti universitari.

Dietro sollecitazione di Ferri, gli esecutori testamentari di Cassarini stabilirono con atto notarile, il 19 febbraio 1930, di "promuovere l'erezione in ente morale di un'opera pia intitolata ‘istituzione Alessandro e Clodoveo Cassarini e Virginia Pallotti Pro domo miserorum' allo scopo di fornire abitazioni a quelle famiglie residenti in Bologna impossibilitate a procurarsi alloggio per le loro condizioni di assoluta miserabilità, nonché a provvedere all'assistenza delle famiglie stesse per favorirne il miglioramento economico e morale". Il 23 febbraio 1930 il prefetto di Bologna nominò Umberto Ferri commissario prefettizio, con l'incarico di avviare, nelle more dell'istruttoria per l'erezione in ente morale, l'attività benefica voluta da Cassarini e meglio definita dagli esecutori testamentari.

Questa procedura estremamente accelerata e giuridicamente impugnabile testimonia dell'urgenza con cui era sentita, in quel momento, la necessità di procurare alloggi per le famiglie espulse dal quartiere universitario. Con R.D. 17 novembre 1930 l'Istituzione Cassarini Pallotti venne eretta in ente morale, nonostante l'opposizione dei più diretti congiunti di Cassarini, che avevano impugnato il testamento ed erano ricorsi al Consiglio di Stato riuscendo ad ottenere l'ordine di sospensione del decreto prefettizio del 23 febbraio. Di fatto la controversia si concluse con una transazione amichevole in cui i Cassarini si impegnavano, dietro corresponsione di una congrua somma, a riconoscere l'Istituzione unica erede del defunto, e a sospendere l'azione giudiziaria intrapresa.

Nel frattempo Umberto Ferri si era rapidamente occupato della liquidazione di parte dell'eredità e del reperimento dell'area su cui erigere i primi fabbricati. Essa fu individuata alla Beverara, fuori porta Lame, lungo l'attuale via Marco Polo. Qui sorsero, fra il 1931 ed il 1939, gli stabili dell'ente, un complesso di edifici "popolarissimi" con servizi comuni ridotti al minimo e composti di alloggi di una o due stanze (al massimo tre per le famiglie più numerose), nei quali furono progressivamente insediate circa 250 famiglie.

Per finanziare la costruzione dei fabbricati, Ferri alienò al Comune di Bologna una parte cospicua del patrimonio di Cassarini, costituita dal podere "Villa S. Giuseppe" a porta Saragozza, sul cui terreno venne edificata la Facoltà d' ingegneria. Gli altri stabili dell'eredità Cassarini, costituiti da un terreno con fabbricati fuori porta S. Vitale, lungo via Castelmerlo, e da una casa di civile abitazione in via Righi 12, furono invece affittati.

Dell'eredità faceva parte anche lo Stabilimento chimico-farmaceutico cav. Clodoveo Cassarini,in cui venivano prodotte le polveri antiepilettiche Cassarine, che venne concesso in gestione alla Compagnia terapeutica nazionale.

Tutti questi beni furono gravemente lesionati durante i bombardamenti dell'ultima guerra, cosicché dopo la cessazione del conflitto l'Istituzione si trovò praticamente priva di rendite, e col grave problema del recupero degli stabili fuori Porta Lame, anch'essi bombardati. Essa fu quindi costretta ad una difficile operazione di reperimento di nuove entrate, realizzata mediante particolari accordi con l'INA-CASA. Buona parte del terreno in via Castelmerlo fu ceduto all'INA per conto della quale l'Istituzione vi costruì case popolari. Successivamente l'Istituzione ottenne l'amministrazione di numerosi alloggi INA-CASA in locazione, ubicati nella periferia cittadina e in due comuni della provincia. Ma il progressivo passaggio a riscatto degli edifici, e la successiva assegnazione degli alloggi ancora in locazione all'Istituto autonomo per le case popolari posero fine anche all'esperienza della "gestione INA-CASA".

Nel corso degli anni'70 le difficoltà finanziarie dell'ente, il cui patrimonio era ormai ridotto alle fatiscenti case di via Marco Polo, e ai due vecchi fabbricati con relitto di terreno in via Castelmerlo (quest'ultimo del tutto privo di valore commerciale, in quanto vincolato a verde pubblico dalla Variante al Piano regolatore generale del 1970), si fecero sempre più gravi, tanto che nel 1979 il Consiglio d'amministrazione ne deliberò lo scioglimento, devolvendo il patrimonio al Comune di Bologna.

Qualche anno più tardi l'area su cui sorgevano i fabbricati di via Marco Polo divenne oggetto del piano di recupero urbano 51 - 52 del Comune che prevedeva la totale demolizione degli edifici, di cui appariva improponibile il restauro.

Al loro posto è stato costruito un nuovo complesso di case popolari, realizzate secondo i criteri a cui oggi si ispira la politica edilizia comunale.

All'epoca dello scioglimento dell'Istituzione il suo archivio era costituito da 138 buste e dalla serie dei registri dei verbali, delle deliberazioni, dei bilanci di previsione, del protocollo, del repertorio degli atti e dei contratti, dei giornali e dei mastri. Vi erano inoltre altri 16 contenitori, in cui si trovavano raccolti atti anteriori al 1947, che erano stati trasferiti in un magazzino di via Marco Polo.

Dell'archivio venne redatto un elenco di consistenza in occasione del trasferimento del patrimonio dell'ente al Comune di Bologna, che comportò tra l'altro la sistemazione di questo fondo documentario nell' "archivio" dell'Ufficio Patrimonio comunale, di fatto uno scantinato inidoneo in cui le carte furono danneggiate da ripetuti allagamenti.

Il riordino precedente al deposito presso l'Archivio di Stato ha potuto riguardare soltanto il materiale che è stato possibile recuperare, poiché alcune buste sono andate disperse ed altre completamente corrose dall'umidità. E' stato inoltre effettuato lo scarto della documentazione in copia e di quella di puro contenuto operativo e contingente, quali i bollettari delle reversali, le ricevute degli affitti, i buoni del servizio docce ed alti atti contabili minuti che pure occupava uno spazio non indifferente e la cui conservazione appariva del tutto ingiustificata ai fini della ricerca storica.

Per questi motivi, ed a causa del ricondizionamento di alcune serie di atti, l'archivio risulta ora composto soltanto di 102 unità, costituite in parte da buste (77), in parte da registri sciolti ed in parte da registri legati in mazzi per ragioni di praticità.

Dall'elenco di consistenza compilato nel 1979 risulta evidente come l'archivo abbia subito nel tempo alcune manipolazioni e come fosse assai poco consigliabile, nel riordinamento, attenersi alla sistemazione che aveva a quella data. In esso, infatti la documentazione (a parte i registri di cui si è già parlato) era semplicemente raccolta, senza alcuna organica distinzione fra le varie serie, in contenitori numerati progressivamente. L'archivio venne ordinato in questo modo nel 1951, infatti le prime cinque buste contenevano, ordinati cronologicamente per fascicoli, carte "varie" dal 1941 al 1950 e i bilanci preventivi e consuntivi dal 1930 al 1950. Seguivano fascicoli di pratiche anteriori al 1950, fino alla tredicesima busta in cui iniziavano ad essere inseriti gli atti dal 1951, ordinati grossolanamente in fascicoli di "reversali", "documenti e contabilità", "atti vari", "gestione INA-CASA". Questa parvenza di ordinamento si mantenne grosso modo fino al 1960: da allora i fascicoli si vennero accumulando nelle buste senza rispondere apparentemente a nessun sistema di archiviazione, né cronologico né tipologico.

Nel riordino del 1951 dovettero anche essere estrapolate dall'archivio le pratiche raccolte nelle 16 buste che furono rinvenute nel magazzino di via Marco Polo: è probabile che questo intervento mirasse soprattutto ad alleggerire l'archivio conservato presso la sede dell'ente dalla documentazione ritenuta non più utile alla trattazione degli affari correnti, tuttavia può darsi che esso rispondesse anche al desiderio di occultare in qualche maniera gli atti che comprovavano in maniera più evidente i rapporti fra l'Istituzione e le locali autorità fasciste.

Scartata, perché ritenuta assai poco funzionale ai fini della comprensione della qualità degli atti conservati, la possibilità di lasciare l'archivio nello stato in cui si trovava, il riordinamento è stato effettuato tentando di costruire serie di atti tipologicamente omogenei, cosa che si è rivelata piuttosto facile per tutta la documentazione contabile, ed in generale per tutti gli atti di carattere ripetitivo e seriale.

Assai più complesso è stato invece il riordino dei fascicoli del carteggio amministrativo. Dall'esame dei registri di protocollo è risultato che, fin dai primi anni di vita dell'ente, il carteggio non era ordinato secondo un titolario bensì per "posizioni": per ogni pratica che veniva aperta si istituiva un apposito fascicolo numerato progressivamente. Purtroppo questa numerazione originaria oggi non è più ricostruibile in quanto i fascicoli vennero rinumerati in occasione del riordinamento del 1951, in cui tra l'altro, come si è detto, furono estrapolati vari fascicoli che non ricevettero numerazione alcuna. E' inoltre impossibile ricostruire le modalità di registrazione degli atti dal 1943 al 1960, perché i protocolli di questo periodo sono mancanti. Nell'organizzazione dei fascicoli, del resto, coesistevano due logiche distinte: una "cronologica", l'altra "per oggetto". La prima ha dato origine a fascicoli contenenti atti "vari" prodotti nel medesimo anno, la seconda fascicoli di atti tutti relativi ad una medesima pratica. A partire dal 1970, infine, venne adottato un titolario di classificazione degli atti, che tuttavia non impedì che proseguisse l'abitudine di raccogliere in fascicoli particolari le pratiche ritenute di maggior rilievo.

Per cercare di mantenere la memoria di questo sovrapporsi di sistemi di archiviazione del carteggio ed anche per evitare di inserire tutti i fascicoli in un ordinamento costruito completamente a posteriori, si è scelto di creare tre serie distinte: "Carteggio ordinato per posizioni", "Carteggio ordinato cronologicamente", e "Carteggio ordinato secondo il titolario".

In quest'ultima serie sono stati inseriti i pochi fascicoli che sono stati ritrovati classificati secondo il titolario, mentre nella seconda si trovano quelli che recavano la generica indicazione di atti "vari" distinti per anno.

La serie più consistente risulta comunque la prima, che è stata ordinata nel modo seguente: nelle prime otto buste sono stati collocati i fascicoli estrapolati nel 1951, nell'ordine in cui si trovavano

secondo l'elenco di consistenza del 1979; nelle buste successive sono stati collocati i fascicoli riordinati nel 1951 e prodotti in seguito, tenendo conto, fin dove è stato possibile, del numero della rispettiva "posizione". Nelle ultime tre buste sono stati infine inseriti i fascicoli rinvenuti del tutto privi di numerazione, ordinati cronologicamente dal 1932 al 1980.

Di ciascun fascicolo si è riportata nell'inventario l'intitolazione originaria; ma dato che spesso essa risultava poco chiara si è anche fornita, in questi casi, una sintetica descrizione del contenuto.

Infine va aggiunto che sia il Carteggio che le altre serie più strettamente connesse con l'amministrazione degli stabili ( contratti d'affitto, ruoli degli affitti, sfratti, ecc..) sono stati ripartiti in due sezioni:

" Amministrazione degli stabili di proprietà dell'Istituto" ed " Amministrazione degli stabili della gestione INA - CASA".

Ciò in parte per rispettare il sistema d'archiviazione adottato negli anni ‘50, ed in parte per evidenziare i due settori di attività dell' Istituto nel secondo dopoguerra.



Bibliografia

A parte gli opuscoli conservati nella b.1 dell'archivio, si segnalano:
Comune di Bologna, Piano di recupero 51 - 52 quartiere Lame, Bologna, 1982.

Tromellini Angela, Bologna e regione alla fine dell'ottocento nelle fotografie di Alessandro Cassarini, in " Cineteca ", anno VI, nn. 2 - 3, aprile maggio 1990, ( Bologna).

Ultimo aggiornamento: venerdì 07 gennaio 2011