QUESTION TIME, CHIARIMENTI IN MERITO ALLE OCCUPAZIONI ABUSIVE
L'assessore alla Sicurezza e alla legalità Nadia Monti, ha risposto oggi in sede di Question Time alle domande dei consiglieri comunali Marco Piazza (M5S) e Michele Facci (Forza Italia), in merito alle occupazioni abusive in via De Maria.
La doman...
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L'assessore alla Sicurezza e alla legalità Nadia Monti, ha risposto oggi in sede di Question Time alle domande dei consiglieri comunali Marco Piazza (M5S) e Michele Facci (Forza Italia), in merito alle occupazioni abusive in via De Maria.
La domanda del consigliere Comunale Marco Piazza (M5S)
Alla luce dell'episodio accaduto nell'immobile di via Mario de Maria 5 e riportato da Il Resto del Carlino del 31/07/2014 si chiede al Sindaco e alla Giunta :
Rassicuro che non c'è nessun comportamento contraddittorio.
Partiamo da una prima considerazione: la residenza è la fotografia di un soggetto nella parte del territorio in cui si trova in un dato momento della vita. Lega la persona al contesto in cui vive e gli permette di esercitare i suoi diritti fondamentali, quelli sanciti dalla carta costituzionale. Ma non solo. Permette al sistema della pubblica amministrazione di mappare il territorio sul dato umano e di avere la contezza di quanti individui si muovono in quel comune, andando così a fare emergere il dato esatto di popolazione, che è preliminare a tutta una serie di altre valutazioni tecniche, sul piano amministrativo, tra cui anche l'equa distribuzione delle risorse di welfare.
Il riconoscimento della residenza è strettamente connesso all'esercizio di numerosi diritti fondamentali di portata costituzionale, infatti, oltre ad essere un diritto la residenza è il requisito per accedere ai servizi sociali, sanitari e assistenziali ed è un diritto soggettivo da cui deriva il godimento di diversi diritti inviolabili appartenenti a ciascun individuo, tra i quali il diritto alla salute, il diritto allo studio, ad una vita libera e dignitosa, al voto e, in generale, il diritto a partecipare alla vita sociale e civile.
Avere la residenza è quindi un diritto ed è un dovere richiederla: è uno strumento comunicativo pieno tra individuo e pubblica amministrazione.
Secondo l'opinione andatasi formando nella giurisprudenza italiana, al fine di potersi attribuire ad un determinato soggetto il diritto di residenza, debbono contemporaneamente ricorrere due elementi: un elemento oggettivo ed uno soggettivo (volontaristico).
Il primo la permanenza del soggetto in un determinato luogo, il secondo la volontarietà di tale permanenza che si desume dalla condotta tenuta dal medesimo soggetto. Posta tale chiarificazione, la residenza sembra coincidere con il luogo dell'esistenza tout court, ossia il luogo degli affetti famigliari e dei bisogni primari ed elementari del soggetto.
Ai fini della concessione della residenza, solamente condizioni di fatto in cui versa il soggetto richiedente vengono rilevate, devono essere escluse altre e diverse circostanze quali, ad esempio, che il medesimo soggetto abbia o meno un lavoro, abbia precedenti penali, ovvero che il di lui possesso dell'abitazione sia legittimo. Da ciò discende, pertanto, che la residenza consiste nell'essere la persona stabilmente ed abitualmente presente in un determinato luogo, non assumendo rilievo le caratteristiche del luogo ma il fatto che questo si trovi nel territorio comunale.
Nello stesso senso si pone anche la normativa nazionale pregressa (che non è stata abrogata dall'attuale d.p.r.), il regolamento anagrafico (dpr 223/89) stabilisce che "per persone residenti nel comune si intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune".
Nella stessa direzione si pone la Circolare del Ministero dell'Interno del 29/5/95 per cui la richiesta di iscrizione anagrafica non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tale modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale, in palese violazione dell'art. 16 della Costituzione.
La circolare afferma, poi, che tale accertamento non implica una discrezionalità dell'amministrazione. E del resto questo spiega il motivo per cui noi concediamo la residenza, ad esempio, a chi abita in una tenda, in una roulotte, in un camper o in immobili senza titolo.
Ai sensi dell'art. 5, comma 3 del d.l. 5/2012 l'ufficiale di anagrafe nei due giorni lavorativi successivi alle dichiarazione di iscrizione effettua le registrazioni delle dichiarazioni ricevute fermo restando che gli effetti giuridici delle stesse decorrono dalla data di presentazione.
Il primo adempimento del Comune è quindi l'iscrizione anagrafica, il contestuale rilascio all'interessato di comunicazione di avvio del procedimento informandolo degli accertamenti che verranno svolti,a seguito della dichiarazione resa, sulla sussistenza dei requisiti previsti per l'iscrizione anagrafica, e che trascorsi 45 giorni senza che sia stata effettuata la comunicazione mancante, l'iscrizione anagrafica si intende effettuata.
Nel momento dell'emanazione del d.l. di cui stiamo parlando si è posta la questione non irrilevante sul regime temporale di applicazione della nuova disciplina. In particolare, il riferimento alla nullità degli atti emessi lascia aperto l'interrogativo circa la possibilità che questa sanzione abbia effetto anche nei confronti delle residenze già assegnate.
Nonostante le ambiguità del testo normativo, occorra prospettare una soluzione in conformità con i principi generali. E’ noto che nel diritto amministrativo vige il principio del tempus regit actum, secondo cui ogni atto amministrativo è legittimo se emanato nel rispetto della disciplina in vigore al tempo della sua formazione, per cui ad oggi non è possibile una applicazione retroattiva della legge, salvo peculiare circostante, ovvero le ipotesi in cui, per una parte della giurisprudenza, si assiste alla cd. illegittimità sopravvenuta di un atto amministrativo, come, ad es., nel caso di declaratoria di illegittimità di una norma sulla quale si fondava la legittimità di un atto amministrativo, oppure l'emanazione di una norma di interpretazione autentica in grado di modificare la precedente interpretazione della legge in conformità alla quale erano stati emanati atti amministrativi etc.), non sia possibile una applicazione retroattiva della legge, idonea a travolgere la legittimità di un atto amministrativo già emanato ed efficace. Pertanto la normativa introdotta dall'art. 5 della l. 80/2014 in esame è da ritenersi applicabile solo per le nuove richieste di residenza, ovvero per quelle inoltrate a decorrere dall'emanazione del decreto legge.
Ritengo fondamentale chiarire una volta per tutte che le residenze concesse dopo il 28 marzo, data di entrata in vigore del decreto, sono state immediatamente annullate, per quelle presentate prima non è stato possibile, in quanto, e lo ribadisco, al contrario di quel che ho letto in alcuni articoli, non è reale che la norma sia attuabile automaticamente in maniera retroattiva.
In qualità di ente locale col dovere di utilizzare le leggi nazionali in maniera corretta, possiamo affermare che la normativa introdotta è da ritenersi applicabile solo per le nuove richieste di residenza. E' chiaro che questa conclusione determinerà disparità di trattamento tra soggetti che abbiano già avuto la residenza alla data di entrata in vigore del d.l. ma ciò avviene nell’ottica di una maggiore conformità ai principi generali della materia, della normativa previgente che è rimasta in vigore ed anche alla Costituzione.
Arriviamo ad un altro nodo, occorre premettere che gli uffici anagrafici non hanno competenza in materia penale e quindi non hanno il compito di definire se un immobile è abusivo o no.
Il legislatore ha chiarito, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la verifica della non abusiva occupazione dell'immobile spetta ai soggetti somministranti i pubblici servizi (acqua, luce e gas per intenderci), questo non lo decidiamo noi, è norma nazionale a cui ci si deve attenere. E' chiaro conseguentemente che essa non possa competere agli Ufficiali di anagrafe, infatti, nessuna posizione di potere può essere attribuita alla pubblica amministrazione senza una norma che lo attribuisca.
Le competenze della Polizia Municipale relative agli accertamenti anagrafici consistono nell’effettuazione di un sopralluogo presso l’abitazione, per verificare la sussistenza degli elementi che attestino la effettiva residenza in loco.
La legge è chiara, per revocare occorre una denuncia penale e che il proprietario presenti gli atti. Non siamo giudici che stabiliscono e abbiamo la necessità di avere in mano denuncia e azioni di reintegrazione del possesso. Dev'essere intrapresa un'azione penale o quanto meno che sia stato chiesto dal giudice, appunto la tutela civile.
L’ordinamento prevede forme di tutela sia in sede civile che penale, di chi subisce l’occupazione abusiva. E’ anche possibile tutelarsi in via immediata ed urgente dall’occupazione abusiva ricorrendo al giudice per l’azione di reintegrazione del possesso (art. 1168 cc). Questo spetta alle forze dell'ordine o, meglio, all'autorità giudiziaria che stabilisce il reato di occupazione abusiva come previsto dall'art. 633 c.p.
La disciplina in materia anagrafica non prevede che la dichiarazione di residenza rivolta agli uffici anagrafe sia condizionata all’esibizione di un atto che attesti la legittimità dell’occupazione dell’alloggio (contratto di acquisto, di comodato, di locazione); per assurdo potrebbe esserci un comodato d'uso da parte dei soggetti che vengono a chiederci la residenza.
L’art. 5 non prevede, in capo al richiedente di residenza, obblighi di esibizione di documenti che comprovino il legittimo possesso o detenzione dell’immobile, anche perché noi sì dobbiamo aspettare che arrivi la denuncia del proprietario, poi deve esserci la certificazione che sia il legittimo proprietario.
Il comportamento degli uffici è stato quindi conforme a quanto previsto dal Regolamento anagrafico (d.p.r. n.223/89). E relativamente al caso dell'occupazione relativa a via De Maria il Comune ne è venuto a conoscenza solo dopo la concessione di residenza, infatti il proprietario si è recato negli uffici demografici in luglio e la domanda di cancellazione delle residenze, corredata della denuncia in Questura, è pervenuta al protocollo solo il giorno 18 luglio.
In conclusione, e sgombero il quadro subito, vi è piena coscienza delle criticità di questa legge e degli effetti che essa provoca.
Gli uffici fin dall’emanazione del decreto si sono organizzati per applicare la norma nella maniera più corretta possibile, cercando di raccogliere tutti gli elementi utili per valutare la situazione caso per caso. E' giusto chiarire che come amministratore comunale nel concreto, non posso far altro che attenermi alle leggi che Regione e Camere emanano, al contrario di quanto in molti credono, questa per la sottoscritta ed anche per i colleghi della Giunta, non è una opzione, ma se non si rispettano le leggi si va nel penale.
L'impianto normativo poteva esser decisamente migliore, ne comprendo assolutamente le finalità di fondo che sono nobili, ma purtroppo in questo periodo di crisi le problematiche che vengono create dalla corretta applicazione non sono poche, soprattutto in presenza di minori. Ci sono legittime opinioni e battaglie politiche da portare avanti. Come ha già confermato la collega (Amelia Frascaroli) è già stato approfondito il tema in sede Anci e quindi se si vogliono cambiare le leggi si portano avanti determinate battaglie e opposizioni politiche.
In qualità di ente locale però siamo tenuti a dovere rispettare le leggi nazionali in maniera corretta e così abbiamo fatto. Il Comune di Bologna fa del rispetto e della promozione della legalità uno dei suoi principali obiettivi ed è per questo all’interno della legalità determinata da leggi nazionali si muove.
Concludo sulle azioni eventuali che metteremo in campo. Recentemente c'è già stata la dimostrazione di una delle azioni che, come Giunta, intenderemo affrontare, coinvolgendo anche le proprietà private. L'operazione di viale Felsina è stata una di queste, lo sgombero di via Fantoni effettuato assieme alla proprietà, via Santa Caterina di Quarto, via Larga. Ci sono già state situazioni in cui noi abbiamo potuto sperimentare un nuovo tipo di approccio nell'affrontare la delicata questioni delle occupazioni. E parallelamente abbiamo anche previsto una chiara mappatura di quelle che sono gli immobili in disuso - di proprietà comunale - che possono essere potenzialmente occupati per poi interagire con le forze dell'ordine.
La domanda del consigliere Comunale Marco Piazza (M5S)
Alla luce dell'episodio accaduto nell'immobile di via Mario de Maria 5 e riportato da Il Resto del Carlino del 31/07/2014 si chiede al Sindaco e alla Giunta :
- che valutazioni politiche dà di questo episodio e delle contraddizioni emerse all'interno della stessa Giunta sulla concessione o meno della residenza agli occupanti abusivi;
- se è a conoscenza di altri situazioni simili nella città;
- quali azioni intende mettere in atto per contrastare il fenomeno delle occupazioni abusive sia per tuelare i proprietari delle case sia per dare risposte a coloro che soffrono l'emergenza abitativa
- La domanda del consigliere comunale Michele Facci ( Forza Italia)
- se per l' Amministrazione comunale il comportamento dei funzionari sia stato o meno corretto dal punto di vista del rispetto delle leggi vigenti in materia di concessione di residenza;
- se non ritenga che il funzionario o ( i funzionari) abbiano commesso una fattispecie di reato nella concessione della residenza a persone non titolate.
Rassicuro che non c'è nessun comportamento contraddittorio.
Partiamo da una prima considerazione: la residenza è la fotografia di un soggetto nella parte del territorio in cui si trova in un dato momento della vita. Lega la persona al contesto in cui vive e gli permette di esercitare i suoi diritti fondamentali, quelli sanciti dalla carta costituzionale. Ma non solo. Permette al sistema della pubblica amministrazione di mappare il territorio sul dato umano e di avere la contezza di quanti individui si muovono in quel comune, andando così a fare emergere il dato esatto di popolazione, che è preliminare a tutta una serie di altre valutazioni tecniche, sul piano amministrativo, tra cui anche l'equa distribuzione delle risorse di welfare.
Il riconoscimento della residenza è strettamente connesso all'esercizio di numerosi diritti fondamentali di portata costituzionale, infatti, oltre ad essere un diritto la residenza è il requisito per accedere ai servizi sociali, sanitari e assistenziali ed è un diritto soggettivo da cui deriva il godimento di diversi diritti inviolabili appartenenti a ciascun individuo, tra i quali il diritto alla salute, il diritto allo studio, ad una vita libera e dignitosa, al voto e, in generale, il diritto a partecipare alla vita sociale e civile.
Avere la residenza è quindi un diritto ed è un dovere richiederla: è uno strumento comunicativo pieno tra individuo e pubblica amministrazione.
Secondo l'opinione andatasi formando nella giurisprudenza italiana, al fine di potersi attribuire ad un determinato soggetto il diritto di residenza, debbono contemporaneamente ricorrere due elementi: un elemento oggettivo ed uno soggettivo (volontaristico).
Il primo la permanenza del soggetto in un determinato luogo, il secondo la volontarietà di tale permanenza che si desume dalla condotta tenuta dal medesimo soggetto. Posta tale chiarificazione, la residenza sembra coincidere con il luogo dell'esistenza tout court, ossia il luogo degli affetti famigliari e dei bisogni primari ed elementari del soggetto.
Ai fini della concessione della residenza, solamente condizioni di fatto in cui versa il soggetto richiedente vengono rilevate, devono essere escluse altre e diverse circostanze quali, ad esempio, che il medesimo soggetto abbia o meno un lavoro, abbia precedenti penali, ovvero che il di lui possesso dell'abitazione sia legittimo. Da ciò discende, pertanto, che la residenza consiste nell'essere la persona stabilmente ed abitualmente presente in un determinato luogo, non assumendo rilievo le caratteristiche del luogo ma il fatto che questo si trovi nel territorio comunale.
Nello stesso senso si pone anche la normativa nazionale pregressa (che non è stata abrogata dall'attuale d.p.r.), il regolamento anagrafico (dpr 223/89) stabilisce che "per persone residenti nel comune si intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune".
Nella stessa direzione si pone la Circolare del Ministero dell'Interno del 29/5/95 per cui la richiesta di iscrizione anagrafica non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tale modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale, in palese violazione dell'art. 16 della Costituzione.
La circolare afferma, poi, che tale accertamento non implica una discrezionalità dell'amministrazione. E del resto questo spiega il motivo per cui noi concediamo la residenza, ad esempio, a chi abita in una tenda, in una roulotte, in un camper o in immobili senza titolo.
Ai sensi dell'art. 5, comma 3 del d.l. 5/2012 l'ufficiale di anagrafe nei due giorni lavorativi successivi alle dichiarazione di iscrizione effettua le registrazioni delle dichiarazioni ricevute fermo restando che gli effetti giuridici delle stesse decorrono dalla data di presentazione.
Il primo adempimento del Comune è quindi l'iscrizione anagrafica, il contestuale rilascio all'interessato di comunicazione di avvio del procedimento informandolo degli accertamenti che verranno svolti,a seguito della dichiarazione resa, sulla sussistenza dei requisiti previsti per l'iscrizione anagrafica, e che trascorsi 45 giorni senza che sia stata effettuata la comunicazione mancante, l'iscrizione anagrafica si intende effettuata.
Nel momento dell'emanazione del d.l. di cui stiamo parlando si è posta la questione non irrilevante sul regime temporale di applicazione della nuova disciplina. In particolare, il riferimento alla nullità degli atti emessi lascia aperto l'interrogativo circa la possibilità che questa sanzione abbia effetto anche nei confronti delle residenze già assegnate.
Nonostante le ambiguità del testo normativo, occorra prospettare una soluzione in conformità con i principi generali. E’ noto che nel diritto amministrativo vige il principio del tempus regit actum, secondo cui ogni atto amministrativo è legittimo se emanato nel rispetto della disciplina in vigore al tempo della sua formazione, per cui ad oggi non è possibile una applicazione retroattiva della legge, salvo peculiare circostante, ovvero le ipotesi in cui, per una parte della giurisprudenza, si assiste alla cd. illegittimità sopravvenuta di un atto amministrativo, come, ad es., nel caso di declaratoria di illegittimità di una norma sulla quale si fondava la legittimità di un atto amministrativo, oppure l'emanazione di una norma di interpretazione autentica in grado di modificare la precedente interpretazione della legge in conformità alla quale erano stati emanati atti amministrativi etc.), non sia possibile una applicazione retroattiva della legge, idonea a travolgere la legittimità di un atto amministrativo già emanato ed efficace. Pertanto la normativa introdotta dall'art. 5 della l. 80/2014 in esame è da ritenersi applicabile solo per le nuove richieste di residenza, ovvero per quelle inoltrate a decorrere dall'emanazione del decreto legge.
Ritengo fondamentale chiarire una volta per tutte che le residenze concesse dopo il 28 marzo, data di entrata in vigore del decreto, sono state immediatamente annullate, per quelle presentate prima non è stato possibile, in quanto, e lo ribadisco, al contrario di quel che ho letto in alcuni articoli, non è reale che la norma sia attuabile automaticamente in maniera retroattiva.
In qualità di ente locale col dovere di utilizzare le leggi nazionali in maniera corretta, possiamo affermare che la normativa introdotta è da ritenersi applicabile solo per le nuove richieste di residenza. E' chiaro che questa conclusione determinerà disparità di trattamento tra soggetti che abbiano già avuto la residenza alla data di entrata in vigore del d.l. ma ciò avviene nell’ottica di una maggiore conformità ai principi generali della materia, della normativa previgente che è rimasta in vigore ed anche alla Costituzione.
Arriviamo ad un altro nodo, occorre premettere che gli uffici anagrafici non hanno competenza in materia penale e quindi non hanno il compito di definire se un immobile è abusivo o no.
Il legislatore ha chiarito, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la verifica della non abusiva occupazione dell'immobile spetta ai soggetti somministranti i pubblici servizi (acqua, luce e gas per intenderci), questo non lo decidiamo noi, è norma nazionale a cui ci si deve attenere. E' chiaro conseguentemente che essa non possa competere agli Ufficiali di anagrafe, infatti, nessuna posizione di potere può essere attribuita alla pubblica amministrazione senza una norma che lo attribuisca.
Le competenze della Polizia Municipale relative agli accertamenti anagrafici consistono nell’effettuazione di un sopralluogo presso l’abitazione, per verificare la sussistenza degli elementi che attestino la effettiva residenza in loco.
La legge è chiara, per revocare occorre una denuncia penale e che il proprietario presenti gli atti. Non siamo giudici che stabiliscono e abbiamo la necessità di avere in mano denuncia e azioni di reintegrazione del possesso. Dev'essere intrapresa un'azione penale o quanto meno che sia stato chiesto dal giudice, appunto la tutela civile.
L’ordinamento prevede forme di tutela sia in sede civile che penale, di chi subisce l’occupazione abusiva. E’ anche possibile tutelarsi in via immediata ed urgente dall’occupazione abusiva ricorrendo al giudice per l’azione di reintegrazione del possesso (art. 1168 cc). Questo spetta alle forze dell'ordine o, meglio, all'autorità giudiziaria che stabilisce il reato di occupazione abusiva come previsto dall'art. 633 c.p.
La disciplina in materia anagrafica non prevede che la dichiarazione di residenza rivolta agli uffici anagrafe sia condizionata all’esibizione di un atto che attesti la legittimità dell’occupazione dell’alloggio (contratto di acquisto, di comodato, di locazione); per assurdo potrebbe esserci un comodato d'uso da parte dei soggetti che vengono a chiederci la residenza.
L’art. 5 non prevede, in capo al richiedente di residenza, obblighi di esibizione di documenti che comprovino il legittimo possesso o detenzione dell’immobile, anche perché noi sì dobbiamo aspettare che arrivi la denuncia del proprietario, poi deve esserci la certificazione che sia il legittimo proprietario.
Il comportamento degli uffici è stato quindi conforme a quanto previsto dal Regolamento anagrafico (d.p.r. n.223/89). E relativamente al caso dell'occupazione relativa a via De Maria il Comune ne è venuto a conoscenza solo dopo la concessione di residenza, infatti il proprietario si è recato negli uffici demografici in luglio e la domanda di cancellazione delle residenze, corredata della denuncia in Questura, è pervenuta al protocollo solo il giorno 18 luglio.
In conclusione, e sgombero il quadro subito, vi è piena coscienza delle criticità di questa legge e degli effetti che essa provoca.
Gli uffici fin dall’emanazione del decreto si sono organizzati per applicare la norma nella maniera più corretta possibile, cercando di raccogliere tutti gli elementi utili per valutare la situazione caso per caso. E' giusto chiarire che come amministratore comunale nel concreto, non posso far altro che attenermi alle leggi che Regione e Camere emanano, al contrario di quanto in molti credono, questa per la sottoscritta ed anche per i colleghi della Giunta, non è una opzione, ma se non si rispettano le leggi si va nel penale.
L'impianto normativo poteva esser decisamente migliore, ne comprendo assolutamente le finalità di fondo che sono nobili, ma purtroppo in questo periodo di crisi le problematiche che vengono create dalla corretta applicazione non sono poche, soprattutto in presenza di minori. Ci sono legittime opinioni e battaglie politiche da portare avanti. Come ha già confermato la collega (Amelia Frascaroli) è già stato approfondito il tema in sede Anci e quindi se si vogliono cambiare le leggi si portano avanti determinate battaglie e opposizioni politiche.
In qualità di ente locale però siamo tenuti a dovere rispettare le leggi nazionali in maniera corretta e così abbiamo fatto. Il Comune di Bologna fa del rispetto e della promozione della legalità uno dei suoi principali obiettivi ed è per questo all’interno della legalità determinata da leggi nazionali si muove.
Concludo sulle azioni eventuali che metteremo in campo. Recentemente c'è già stata la dimostrazione di una delle azioni che, come Giunta, intenderemo affrontare, coinvolgendo anche le proprietà private. L'operazione di viale Felsina è stata una di queste, lo sgombero di via Fantoni effettuato assieme alla proprietà, via Santa Caterina di Quarto, via Larga. Ci sono già state situazioni in cui noi abbiamo potuto sperimentare un nuovo tipo di approccio nell'affrontare la delicata questioni delle occupazioni. E parallelamente abbiamo anche previsto una chiara mappatura di quelle che sono gli immobili in disuso - di proprietà comunale - che possono essere potenzialmente occupati per poi interagire con le forze dell'ordine.
A cura di
Piazza Maggiore, 6