CONSIGLIO COMUNALE IN RICORDO DI MARCO BIAGI, L'INTERVENTO DEL PROFESSOR ALAN NEAL
Si trasmette l'intervento tenuto da Alan Neal, professore di diritto e relazioni industriali all'Università di Warwick,nel corso del Consiglio comunale straordinario dedicato al ricordo di Marco Biagi, nel dodicesimo anniversario della sua uccision...
Pubblicato il:
Descrizione
Si trasmette l'intervento tenuto da Alan Neal, professore di diritto e relazioni industriali all'Università di Warwick,nel corso del Consiglio comunale straordinario dedicato al ricordo di Marco Biagi, nel dodicesimo anniversario della sua uccisione.
"Signor Sindaco, signora Presidente del Consiglio, Consiglieri, cara Marina,
per me è un grande onore essere qui oggi e mi fa piacere avere l'opportunità di parlare di Marco a dodici anni dalla sua scomparsa. Questo è un momento di cabaret, come mi diceva Marco, perché uno straniero è arrivato per distruggere la bella lingua italiana e parlare con un forte accento inglese.
Mi sono chiesto perché dopo dodici anni, ogni anno in questa data del 19 marzo arrivano a Bologna e Modena un gruppo di grandi nomi del Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali da tutto il mondo. Amici di Marco, colleghi, ma anche una nuova generazione di ricercatori e ricercatrici, per fare un convegno in memoria di Marco, in cui ognuno fa una piccola presentazione in ricordo del nostro collega. Perché vengono? Perché la maggior parte di queste persone cominciano la presentazione con le parole: 'Io personalmente non ho conosciuto Marco Biagi, ma sono qui..'; cosa ha lasciato Marco per richiamare queste persone alla riunione annuale in suo nome? Perché non è un pellegrinaggio religioso, non è un pellegrinaggio di dovere, è una visita, è amicizia, è rispetto e soprattutto è una manifestazione di supporto per i valori che hanno guidato Marco nella sua vita e in tutto il suo lavoro. Quali valori? Se qualcuno chiede: chi era Marco Biagi? Cosa faceva? Cos'è un giuslavorista? Posso dire subito che Marco testimoniava che un giuslavorista non è necessariamente un uomo senza interessi, che prende tutto sul serio, senza senso dell'umorismo, perché lui era un collega, un amico pieno di gioia nel cuore. Mi ricordo qui a Bologna quando è stato nominato, insieme a un gruppo di colleghi, professore ordinario, nell''87, io nello stesso momento ero diventato professore ordinario in Inghilterra, ci fu una cena al ristorante Diana, in via Indipendenza: Fritto misto all'italiana, incluso il cervello, per tutti. E questa non era una cena formale, era una cena di gioia, per il futuro, per festeggiare questo grande passo avanti nella nostra carriera.
Marco era una persona aperta, socievole, generosa, voleva sempre mostrare la sua città, Bologna, a noi stranieri. Farci conoscere le torri, il cibo, i ristoranti e la cultura, la cultura accademica e storica. Ma lui, a quell'epoca, era anche l'eccezione alla regola, perché era una persona internazionale, conosceva la politica sociale dell'Unione Europea, andando in bicicletta sulle colline insieme al presidente Prodi, ogni domenica mattina. Ma era anche una persona che aveva una conoscenza globale, contatti con la Russia, soprattutto con il Giappone, era sempre in giro, sempre in giro con persone interessate e interessanti. Ma quale era l'approccio di Marco, che era forse la cosa più importante della sua vita? L'analisi, la critica, la provocazione, lui era un professore non imprigionato dal mondo accademico. Ma forse la cosa più importante da chiederci è: qual era il valore più importante per Marco? Era la sua idea della giustizia sociale, dare un futuro alle nuove generazioni.
E su questo tema, su quali erano i suoi valori di base, riscontriamo un problema. Perché passano gli anni, sono già passati dodici anni è c'è sempre il pericolo di revisione della storia. Mi ricordo, dodici anni fa, subito dopo la pubblicazione del famoso Libro bianco, che Marco non era popolare in quel momento. Mi ricordo bene una professoressa famosa, che discutendo del libro ha usato la parola 'traditore', traditore dei valori sociali. Ma questo non era vero. C'è sempre il pericolo di revisione della storia.
Non spetta a me, come straniero in questo Paese, di commentare se questa legge che porta il suo nome sarebbe stata la scelta di Marco per promuovere i valori ai quali teneva durante la sua vita. Questo è un dibattito che i nostri colleghi accademici hanno proseguito per anni. Ma quello che posso dire è che l'eredità di Marco è questo approccio di analisi, di critica e di provocazione. E' per quello che tutti questi grandi nomi del mondo di diritto del lavoro vengono ogni anno a Bologna e a Modena, per ricordare il nostro collega e per fare uno scambio di esperienza e discutere dei problemi sociali del mondo globalizzato, della recessione e della post recessione. Vengono anche se non hanno conosciuto Marco personalmente.
Viviamo in un mondo in cui ci sono persone che hanno paura di questo approccio provocatorio, non amano la critica e non vogliono accettare che ci sono diversi punti di vista. E che prezzo abbiamo pagato per questo: voglio menzionare i nomi di Gino Giugni, Massimo D'Antona e Marco stesso.
Recentemente ho fatto un trasloco e ho trovato un vecchio depliant di un convegno dell'Università Bocconi di Milano di venti anni fa. Era un convegno sul tema della nuova politica sociale dopo Maastricht. C'erano cinque nomi su questo depliant: il mio, il professor Rojo, francese della Sorbona, Manfred Weitz, tedesco di Francoforte, preside dell'Associazione internazionale di diritto del lavoro e relazioni industriali. Tre nomi stranieri e due nomi italiani: Massimo D'Antona e Marco Biagi.
Dopo un giorno di lavori siamo andati al Teatro della Scala per un concerto di un'opera di Donizzetti. E su questo vecchio depliant avevo scritto, come una specie di glossatore moderno, la frase 'una furtiva lacrima'. Talvolta, quando sono in giro nel mondo, in un momento privato in qualche angolo del mondo, viene fuori una furtiva lacrima, una lacrima per un essere umano grande, aperto, generoso, una lacrima per il nostro collega scomparso e una furtiva lacrima per il mio carissimo amico Marco".
"Signor Sindaco, signora Presidente del Consiglio, Consiglieri, cara Marina,
per me è un grande onore essere qui oggi e mi fa piacere avere l'opportunità di parlare di Marco a dodici anni dalla sua scomparsa. Questo è un momento di cabaret, come mi diceva Marco, perché uno straniero è arrivato per distruggere la bella lingua italiana e parlare con un forte accento inglese.
Mi sono chiesto perché dopo dodici anni, ogni anno in questa data del 19 marzo arrivano a Bologna e Modena un gruppo di grandi nomi del Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali da tutto il mondo. Amici di Marco, colleghi, ma anche una nuova generazione di ricercatori e ricercatrici, per fare un convegno in memoria di Marco, in cui ognuno fa una piccola presentazione in ricordo del nostro collega. Perché vengono? Perché la maggior parte di queste persone cominciano la presentazione con le parole: 'Io personalmente non ho conosciuto Marco Biagi, ma sono qui..'; cosa ha lasciato Marco per richiamare queste persone alla riunione annuale in suo nome? Perché non è un pellegrinaggio religioso, non è un pellegrinaggio di dovere, è una visita, è amicizia, è rispetto e soprattutto è una manifestazione di supporto per i valori che hanno guidato Marco nella sua vita e in tutto il suo lavoro. Quali valori? Se qualcuno chiede: chi era Marco Biagi? Cosa faceva? Cos'è un giuslavorista? Posso dire subito che Marco testimoniava che un giuslavorista non è necessariamente un uomo senza interessi, che prende tutto sul serio, senza senso dell'umorismo, perché lui era un collega, un amico pieno di gioia nel cuore. Mi ricordo qui a Bologna quando è stato nominato, insieme a un gruppo di colleghi, professore ordinario, nell''87, io nello stesso momento ero diventato professore ordinario in Inghilterra, ci fu una cena al ristorante Diana, in via Indipendenza: Fritto misto all'italiana, incluso il cervello, per tutti. E questa non era una cena formale, era una cena di gioia, per il futuro, per festeggiare questo grande passo avanti nella nostra carriera.
Marco era una persona aperta, socievole, generosa, voleva sempre mostrare la sua città, Bologna, a noi stranieri. Farci conoscere le torri, il cibo, i ristoranti e la cultura, la cultura accademica e storica. Ma lui, a quell'epoca, era anche l'eccezione alla regola, perché era una persona internazionale, conosceva la politica sociale dell'Unione Europea, andando in bicicletta sulle colline insieme al presidente Prodi, ogni domenica mattina. Ma era anche una persona che aveva una conoscenza globale, contatti con la Russia, soprattutto con il Giappone, era sempre in giro, sempre in giro con persone interessate e interessanti. Ma quale era l'approccio di Marco, che era forse la cosa più importante della sua vita? L'analisi, la critica, la provocazione, lui era un professore non imprigionato dal mondo accademico. Ma forse la cosa più importante da chiederci è: qual era il valore più importante per Marco? Era la sua idea della giustizia sociale, dare un futuro alle nuove generazioni.
E su questo tema, su quali erano i suoi valori di base, riscontriamo un problema. Perché passano gli anni, sono già passati dodici anni è c'è sempre il pericolo di revisione della storia. Mi ricordo, dodici anni fa, subito dopo la pubblicazione del famoso Libro bianco, che Marco non era popolare in quel momento. Mi ricordo bene una professoressa famosa, che discutendo del libro ha usato la parola 'traditore', traditore dei valori sociali. Ma questo non era vero. C'è sempre il pericolo di revisione della storia.
Non spetta a me, come straniero in questo Paese, di commentare se questa legge che porta il suo nome sarebbe stata la scelta di Marco per promuovere i valori ai quali teneva durante la sua vita. Questo è un dibattito che i nostri colleghi accademici hanno proseguito per anni. Ma quello che posso dire è che l'eredità di Marco è questo approccio di analisi, di critica e di provocazione. E' per quello che tutti questi grandi nomi del mondo di diritto del lavoro vengono ogni anno a Bologna e a Modena, per ricordare il nostro collega e per fare uno scambio di esperienza e discutere dei problemi sociali del mondo globalizzato, della recessione e della post recessione. Vengono anche se non hanno conosciuto Marco personalmente.
Viviamo in un mondo in cui ci sono persone che hanno paura di questo approccio provocatorio, non amano la critica e non vogliono accettare che ci sono diversi punti di vista. E che prezzo abbiamo pagato per questo: voglio menzionare i nomi di Gino Giugni, Massimo D'Antona e Marco stesso.
Recentemente ho fatto un trasloco e ho trovato un vecchio depliant di un convegno dell'Università Bocconi di Milano di venti anni fa. Era un convegno sul tema della nuova politica sociale dopo Maastricht. C'erano cinque nomi su questo depliant: il mio, il professor Rojo, francese della Sorbona, Manfred Weitz, tedesco di Francoforte, preside dell'Associazione internazionale di diritto del lavoro e relazioni industriali. Tre nomi stranieri e due nomi italiani: Massimo D'Antona e Marco Biagi.
Dopo un giorno di lavori siamo andati al Teatro della Scala per un concerto di un'opera di Donizzetti. E su questo vecchio depliant avevo scritto, come una specie di glossatore moderno, la frase 'una furtiva lacrima'. Talvolta, quando sono in giro nel mondo, in un momento privato in qualche angolo del mondo, viene fuori una furtiva lacrima, una lacrima per un essere umano grande, aperto, generoso, una lacrima per il nostro collega scomparso e una furtiva lacrima per il mio carissimo amico Marco".
A cura di
Piazza Maggiore, 6