Palazzo Vizzani Lambertini Sanguinetti

L’imponente palazzo senatorio dell’illustre famiglia Vizzani, sito in via Santo Stefano n. 43, fu edificato su iniziativa della vedova di Camillo Vizzani, Elisabetta Bianchini, che incoraggiò i giovani figli, fra cui il futuro storico Pompeo, ad innalzare una dimora magnifica dove abitare comodamente e ricevere gli amici.
L’edificio, realizzato fra il 1559 e il 1566 da Bartolomeo Triachini, è caratterizzato da un marcato andamento orizzontale e si erge su un elegante portico architravato con volta a botte sorretto da colonne doriche. L’interno, riccamente decorato, ospita opere di rilievo: i dipinti Giano Bifronte e Saturno, probabilmente di Orazio Samacchini, le allegorie della Gloria e della Fama di Lorenzo Sabbatini, il fregio parietale con le 14 scene della Vita di Ciro di Pellegrino Tibaldi, le Gesta di Alessandro il Magno raffigurate lungo le pareti da Tommaso Laureti.
L’ingente patrimonio artistico e le sfarzose ricchezze della famiglia sono ben descritte nel testamento, stilato dal notaio Bernardino Ugolotti, di un pronipote di Pompeo: nel 1640 si contano ben 51 arazzi figurati, innumerevoli quadri e ritratti, mobili di pregevole fattura, una croce decorata con 61 diamanti e molti gioielli preziosi. Di notevole interesse è la biblioteca, purtroppo dispersa come tutto il patrimonio Vizzani, che Pompeo si premurò di raccogliere e all’interno della quale, oltre a molte centinaia di libri, figuravano orologi, mappamondi, quadranti e strumenti matematici (è necessario ricordare, infatti, che il palazzo ospitava dal 1563 le dispute letterarie e scientifiche dell’Accademia degli Oziosi, fondata dagli stessi Vizzani).
Il palazzo, estinta la famiglia nel 1691, pervenne al senatore Francesco Ratta, autore del memorabile banchetto – un maestoso apparato realizzato da uno dei più valenti artisti dell’epoca, lo scultore Giuseppe Mazza – svoltosi il 28 febbraio 1693 in occasione del compimento del bimestre del suo gonfalonierato. Non è possibile sapere chi abitò il palazzo dalla scomparsa del Ratta sino al 1726, quando divenne di proprietà della marchesa Elisabetta Bentivoglio, parente dei Vizzani; un ulteriore passaggio avvenne nel 1732, quando il Cardinal Lambertini, da un anno arcivescovo di Bologna, acquistò l’edificio dalla marchesa. Tra il 1739 e il 1750 la famiglia Lambertini, una fra le più illustri della città, provvide ad ampliare la dimora verso via Rialto; per la decorazione delle nuove stanze, dove si conservano affreschi a soggetto allegorico, campestre, mitologico, furono chiamati, tra gli altri, Carlo Lodi e Felice Giani, autore quest’ultimo del Ratto delle Sabine. Meritevole di interesse è anche la grande sala sorretta da colonne, tradizionalmente identificata con la camera da letto del Cardinal Lambertini.
L’estinzione del ramo maschile del casato, con la morte di Giovanni Lambertini nel 1806, determinò i successivi passaggi che recarono la proprietà del palazzo dapprima ai Ranuzzi (1882) e poi al cavalier Lodovico Sanguinetti (1893), il quale si adoperò al restauro degli interni. Attualmente il palazzo ospita, al primo piano, la Presidenza della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Bologna.
Mara Casale