LA CITTÀ IN SENILITÀ

TRIESTE

In Senilità le vicende si svolgono a Trieste, città in cui nacque Italo Svevo, creatore di quest’opera.

Della città sono descritti differenti luoghi, sia secondo caratteristiche naturali (vie, mare, interni di abitazioni) che sociali (centro animato dalla borghesia in festa per il carnevale, ambiente familiare - popolare di Angiolina…).

Lo spazio è sempre definito con estrema precisione, poiché l’autore, conoscendo bene Trieste, la descrive minuziosamente e cita nomi di piazze, giardini, strade cosicché procedendo nella lettura, si va delineando nella mente del lettore la mappa della città.

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Le descrizioni sono affidate al narratore , ma spesso riflettono l’ottica di Emilio. I luoghi, quindi, non sono descritti per quello che sono ma per quello che appaiono agli occhi delle persone.

Potremmo affermare che la città sia vista attraverso i filtri o i colori dello stato d’animo dei protagonisti della storia.

Lo stato d’animo di Emilio evolve con il procedere delle sue vicende amorose con Angiolina. I primi incontri tra i due avvengono a Sant’Andrea, luogo sereno ed idilliaco. La meta dei loro appuntamenti diventa in seguito il Campo Marzio.

I due luoghi citati cambiano configurazione nel corso della vicenda: il rione di Sant’Andrea ci viene mostrato in seguito, all’inizio dell’inverno, con alberi nudi, secchi, non ancora tagliati; il Campo Marzio è descritto in un secondo momento nella pioggia e nel vento freddo: questo per evidenziare il tumulto interiore di Emilio.

Anche l’immagine del porto subisce un’evoluzione di questo genere.

Dapprima esso incarna l’ideale di paesaggio felice, quando l’amore, agli inizi, crea illusioni di vita serena:

"Oh, era stata una serata indimenticabile. Aveva amato nella luce lunare, nell’aria tiepida, dinanzi a un paesaggio sconfinato, sorridente, creato per essi, per il loro amore".

Quando, però, Emilio si allontana dal letto della sorella morente, il cui nome è Amalia, deciso ad abbandonare definitivamente Angiolina, esso cambia immagine, divenendo un paesaggio tragico:

"Al sibilare del vento si univa imponente il clamore del mare. Un urlo enorme composto dell’unione di varia voci più piccole. La notte era fonda; dal mare non si vedeva che qua e là biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluta infranta prima di giungere a terra".

Questo passaggio, tratto dal XII capitolo del libro, esprime lo stato d’animo di Emilio, dibattuto tra passione (che invano ha tentato di soffocare) e dovere (inutilmente chiamato come sentimento primario).

Durante uno dei loro numerosi appuntamenti, Emilio ed Angiolina in una notte di fresca estate, si recano all’Arsenale per una passeggiata. Osservandolo, Emilio pensa che il lavoro continui anche di notte:

"Vedeva proiettarsi quella testa, illuminata da una parte dalla luce di un fanale, sul fondo oscuro: l’Arsenale che giaceva sulla riva, tutta una città, in quell’ora morta. – La città del lavoro! – disse egli sorpreso d’esser venuto là ad amare. Il mare, chiuso dalla penisola di faccia, nascosto dalle case, nella notte era sparito dal panorama. Restavano le case sparse alla riva come su una scacchiera, poi, più in là, un vascello in costruzione. La città in lavoro pareva anche maggiore che non fosse. Alla sinistra, dei fanali lontani parevano segnarne la continuazione. Egli rammentò che quei fanali appartenevano ad un altro grande stabilimento situato sulla sponda opposta del vallone di Muggia. Il lavoro continuava anche là; era giusto che alla vista apparisse come la continuazione di questo".

Da questo passo del capitolo IV, comprendiamo che la città appare ad Emilio, come una fusione di connotazioni naturali e sociologiche. Infatti, lui stesso la definisce "la città del lavoro".

Nonostante quanto detto, è necessario chiarire che l’Arsenale, come del resto tutta la città, è oggetto di contemplazione e di bei discorsi.

Gli abitanti di Trieste sono rappresentati sempre nel loro tempo libero; il lavoro è assente; il divertimento e le chiacchiere cittadine sembrano l’unico scopo delle persone.

Trieste è dunque una città vivace, movimentata dal carnevale, brulicante di folla "festiva e rumorosa" che esce per il passeggio serale sul corso, che frequenta i veglioni, che affolla il teatro per ascoltare Wagner con l’ipocrisia della provincia (metà del pubblico è occupata a far intendere all’altra che si diverte) e che si ripara nei bar dal freddo invernale.

In conclusione, Trieste potrebbe essere definita come "la città dai mille volti" poiché ha la caratteristica di cambiare configurazione secondo il variare delle stagioni e del tempo, ma anche secondo lo stato d’animo di chi la osserva o di chi la vive.

(Paola Sepe)

Bibliografia: G. GIUDIZI PATTARINO, Ipotesi di lavoro su "Senilità" e Italo Svevo, Firenze 1992, Libra Edizioni.

 


 

Il problema dell'ottica o del  punto di vista riguarda la persona che, all’interno della narrazione, è presumibilmente colui che compie tutte le azioni: dal vedere al giudicare.

Questo ruolo può essere affidato a qualcuno esterno (cioè qualcuno che non compie nessuna azione all’interno della storia) o a qualcuno interno (cioè un personaggio attivamente presente nella storia).

Riportiamo una tabella che indica le tre modalità principali di regolamentazione dei punti di vista adottati:

Racconto non focalizzato

Il narratore mostra di conoscere molte più cose rispetto ai personaggi della storia.

Racconto a focalizzazione interna

Il narratore dice solo ciò che uno dei personaggi della storia può sapere. Il narratore adotta quindi il punto di vista di un personaggio e ha conoscenze limitate.

Racconto a focalizzazione esterna

Il narratore dice meno di quanto un personaggio sa, quindi non è in grado di sapere ciò che i protagonisti pensano o vedono, se non per congettura.

In Senilità la vicenda non è focalizzata, poiché il narratore è onnisciente. Vi sono però alcune descrizioni in cui si può ritrovare la focalizzazione interna, dato che il narratore vede alcune cose con gli occhi di Emilio e quindi ne esprime i punti di vista ed i suoi giudizi.

(Alice Toderi)

Bibliografia: HERMAN GROSSER, Narrativa, Edizione Principato 1985

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L’aggettivo idilliaco indica letteralmente qualcosa che si riferisce all’idillio come genere poetico. Per poesia idilliaca s’intende un breve componimento di contenuto sentimentale ed ambientazione agreste che raggiunge la sua massima espressione col poeta greco Teocrito nel III secolo a. C, pur essendo già presente nei poemi omerici. Fra i poeti che hanno successivamente ripreso questo modello, vi è anche Virgilio per quanto riguarda le descrizioni della vita campestre delle "Bucoliche". Nella letteratura moderna si designa come idillio un componimento che presenta generalmente un’intonazione serena ed esprime la tendenza al sogno, al rifugio nella quiete della natura. Da qui deriva il significato figurato dell’aggettivo idilliaco, ossia di un qualcosa che rispecchia la serenità e l’ambiente bucolico, o che addirittura ispira ottimismo.

(Chiara Biondi)

Bibliografia: Enciclopedia multimediale Gedea, DeAgostini, 1995


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