LA CITTÀ NEL ROMANZO DEI PROMESSI SPOSI

Milano, il Duomo

(Il commento è relativo alla lettura del romanzo fino al cap. XVI)

Il paesaggio è nei Promessi Sposi parte integrante della narrazione; vi ha una funzione organica, non semplicemente decorativa.

Il paesaggio nel Manzoni accompagna e commenta l’azione, la condiziona o la determina; segue o contrasta lo stato d’animo dei personaggi.

Esso è descritto nei minimi particolari, talvolta attraverso similitudini ed è raccontato sia dal punto di vista dei personaggi che dal punto di vista del narratore.

Come nel caso della città di Milano: è Renzo che attraverso i suoi occhi e le sue azioni ce lo presenta. Il ragazzo proviene da un piccolo paesino non lontano dal confine tra lo Stato di Milano e il bergamasco, quindi l’entrare in un mondo nuovo, diverso, più grande, gli procura allo stesso tempo un sentimento di estraneità, tristezza e grandezza.

Ecco alcuni passi:

"Renzo, salito per un di que’valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del Duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto."

Il Duomo appare al protagonista come qualcosa di così maestoso che il resto della città sparisce perché troppo piccolo. La vista di questa ottava meraviglia fa sparire a Renzo anche tutti i suoi problemi.

Però, sempre a Milano, il ragazzo viene a contatto con una realtà diversa e inconsueta: affronta il problema della carestia, per il quale si agita tutta la città.

Ad un primo impatto addentrandosi in Milano, Renzo pensa che questo sia il paese della cuccagna, dove tutto è presente in abbondante quantità, in quanto lungo il cammino vede sparse per terra molte pagnotte. Paragonando questo alla situazione economica del paese da cui proviene, ha un’immagine dei cittadini come di persone che vogliono ingannare i campagnoli facendo credere loro di essere anch’essi in miseria per tenerli buoni.

-"Grand’abbondanza ci dev’essere in Milano se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi a credere che la miseria è per tutto. Ecco come fanno per tener quieta la povera gente di campagna. Che sia il paese della cuccagna questo?"-

In realtà si accorgerà ben presto che la situazione è la stessa sia in campagna sia in città, quando scoppierà il famoso tumulto di San Martino, a cui prenderà parte.

Questo lo porterà ad affrontare seri pericoli, quando, per esempio, scambiato per una spia del vicario per aver dichiarato il proprio orrore nei confronti di un progetto di violenza "di un vecchio mal vissuto", rischierà di essere aggredito.

La città è ancora uno spiacevole luogo per il nostro personaggio quando entra nell’osteria della "Luna Piena": il locale, infatti, si connota fin dall’inizio come luogo dell’inganno, del nascondimento, dell’inferno. Questo per la scarsa luce offerta dai lumi appesi, per gli avventori che in realtà sono tutti ladri, per l’aspetto luciferino dell’oste con la sua barbetta folta, rossiccia e per lo stesso nome "Luna Piena" che rinvia alla regina degli Inferi pagani Proserpina, identificata con la Luna: questi sono tutti simboli infernali.

Nella locanda Renzo si ubriaca e rivela ingenuamente le proprie generalità ad un notaio criminale, che lo ha scambiato per un pericoloso sedizioso; viene quindi arrestato ma riesce a fuggire.

Comincia la sua fuga da Milano, città che gli ha fatto passare tanti guai e disavventure, grazie alle quali ha però avviato il suo processo di maturazione.

(Paola Sepe, Eugenio Sibona)


 

 

SIMILITUDINE

La similitudine rientra nel grande gruppo delle figure retoriche, cioè l’insieme di quei meccanismi attraverso i quali si creano e si introducono nel lessico corrente significati che propriamente non gli apparterebbero.

In particolare, la similitudine consiste in un paragone o in un parallelismo tra immagini ritenute simili per chiarirne il significato. È introdotta da come , simile a, a guisa di, sembrare ecc….

Famoso è il modo di Omero di utilizzare questa particolare figura stilistica:

"Sembrava un leone cresciuto sui monti" (Polifemo);
"Come uno che fora col trapano un’asse di nave
ed altri di sotto l’avviano come mobile corda
tenendone in mano i due capi da un lato e dall’altro
e il trapano gira continuo e mai non si ferma:
così giravano nell’occhio il tronco infuocato"

Ritroviamo l’uso di questa figura retorica anche nei Promessi Sposi, in particolare nelle descrizioni paesaggistiche:

"Torrenti, de’quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio!" (VIII capitolo)

"Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto". (XX capitolo)

(Paola Sepe)


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