Claudia Salaris, "Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume", il Mulino, 2002, pp. 272, 17 Euro

Il 12 settembre 1919, il poeta Gabriele D’Annunzio parte da Ronchi alla testa di un manipolo di arditi e di disertori per occupare Fiume e annetterla al Regno d'Italia: erano in  molti a pensare che, negli accordi che si andavano facendo dopo la fine della Grande Guerra,  la città dovesse comparire nell’elenco delle città redente. L’azione di D’Annunzio sfrutta l’impeto e l’adrenalina che la guerra aveva acceso in molti combattenti ed arriva a sorpresa con un effetto altamente mediatico: quella che ci si appresta a recitare, per ben sedici mesi, nella città occupata è la spettacolare festa della rivoluzione cui si allude nel titolo. Fra i documenti trattati per la ricostruzione ci sono i testi scritti da poeti, letterati e artisti che a fianco del poeta vissero questa breve ed esaltante avventura: le memorie di Giovanni Comisso,  Léon Kochnitzky, Mario Carli ma anche le trasposizioni narrative che a quell’evento si ispirarono come  gli Arabeschi fiumani  e il romanzo Trillirì sempre di Carli, Il Porto dell’amore di Comisso. Il risultato è una ricostruzione che intreccia personale e politico in un affresco molto vivace anche dal punto di vista espositivo.
Fra gli argomenti trattati il difficile e conflittuale rapporto con Marinetti e i futuristi, fra i primi a rispondere all’appello in un momento in cui il Futurismo è attraversato dal dibattito sugli sbocchi politici che molti artisti sentono di dover dare alla loro esperienza estetica; la frattura che si viene a creare fra futuristi e fascisti dopo il secondo congresso fascista che porta alle dimissioni di Marinetti e di Carli; i legami che intercorrono con altre forze insurrezionaliste: Randolfo Vella di «Umanità Nova» è il primo dei giornalisti sovversivi ad arrivare a Fiume per studiare il fenomeno fiumano. In novembre Marinetti, Carli, Somenzi e Cerati invieranno due telegrammi a nome della direzione del movimento futurista e di un Club futurista milanese al ministero degli Interni per protestare contro l’incarcerazione di Errico Malatesta e in segno di protesta per la reclusione di tutti i detenuti politici. I tormentati rapporti fra futuristi ed anarchici, analizzati in un bel libro di Alberto Ciampi dell’’89 -Futuristi e Anarchici, quali rapporti?- e di recente in una tesi di laurea da Laura Iotti  -Futuristi e anarchici, dal primo manifesto di Marinetti all’entrata in guerra dell’Italia (1909-1915)-, naufragarono come è ovvio sulle posizioni militariste e nazionaliste di quella parte del movimento futurista che poi convergerà nel partito fascista, ma anche su una visione della violenza che per gli anarchici aveva valore di necessità e di progettualità politica mentre per i futuristi rivestiva un valore soprattutto estetico.
In realtà a Fiume convivono con notevoli difficoltà due anime, una fortemente tradizionalista e nazionalista e una trasgressiva e immaginifica che solo l’autorevolezza e il carisma di D’Annunzio riescono a tenere insieme.
La città occupata diventa un laboratorio per sperimentare nuove forme di governo, di vita, militari.
La sopravvivenza economica dei rivoltosi, persa la speranza in un aiuto istituzionale, si avvale di donazioni di ricchi mecenati e ammiratori del poeta; finanziamenti sostanziosi, nei primi tempi, arrivano anche dalla massoneria, ma soprattutto l’economia fiumana è un’«economia pirata» che vive di spettacolari “espropri” ai danni di navi e piroscafi che vengono dirottate a Fiume e i cui carichi vanno a far parte del bottino di una guerra che si combatte in difesa di tutti i popoli che combattono contro nazionalismi, capitalismo, militarismo. Nell’ottobre del 1919 sul piroscafo Persia, appartenente ai Lloyd di Trieste, carico di munizioni e di viveri destinate a Vladivostok si imbarcano, clandestinamente, tre «fiduciari» fiumani, e convincono l’equipaggio della nave a  sbarcare «volontariamente» a Fiume. «I mezzi che dovevano servire a combattere la libertà e la redenzione del popolo russo seviranno per la libertà e per la redenzione del popolo fiumano.» si legge nel comunicato che il capitano Giulietti fa stampare per far luce sull’episodio e smentire le versioni tendenziose e inesatte della stampa ufficiale.
Sotto il governo di un poeta-guerriero la città diventa il crocevia di sperimentazioni trasgressive: si fissano nuove regole, ad esempio, nei rapporti fra esercito e stato maggiore, che diventa un rapporto basato sulla fiducia che i sottoposti accreditano al loro “Comandante”, le divise stesse diventano oggetti da reinventare: alcune donne vestono «alla maschietta» con casacche grigioverdi e pantaloni miltari, gli uomini de «La disperata», una delle compagnie più colorate e originali, reclutati dall’aviatore Guido Keller fra i legionari più giovani e trasgressivi, marciano per la città a torso nudo e in pantaloncini corti; Guido Keller, uno dei personaggi più stravaganti dell’impresa fiumana, è un cultore del nudismo e del naturismo e si distingue per alcune imprese pittoresche e beffarde fra queste famosa quella in cui in un’escursione aerea getta su Montecitorio un pitale pieno di carote e di rape e progetta, ad un certo punto, di rapire il presidente del consiglio Giolitti, idea abbandonata perché troppo rischiosa. A Fiume viene praticato il libero amore e le donne stesse ottengono il diritto a manifestare col voto il loro parere, partecipano alle manifestazione collettive e alle parate anche se il mondo fiumano rimane comunque essenzialmente  maschile ed è diffuso il rapporto omosessuale che Marinetti stesso aveva definito «gusto rispettabilissimo» e che viene considerato un modo per opporsi alla morale bigotta e «passatista». Nella città occupata si incontrano nazionalisti e internazionalisti, monarchici e repubblicani, conservatori e sindacalisti, clericali e anarchici, imperialisti e comunisti.
La Costituzione dello Stato Libero del Carnaro, redatta da D’Annunzio e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, riconosce «la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione», viene sottolineata l’uguaglianza fra i sessi e l’affrancamento della donna rispetto all’autorità «maritale», viene introdotta la pratica del divorzio  e il diritto di voto e di lavoro per la donna. Nella Carta del Carnaro si sottolinea l’importanza delle libertà di stampa, di riunione, ed associazione e della garanzia di un «salario minimo» per tutti i cittadini.
Regole e convenzioni vengono stravolte, comizi e cortei si formano istantaneamente, composti da donne e da uomini, mulinello di gioventù, di patriottismo, che grida, che salta, che turbina, ricorda  Carli, trascinando con sé i pochi tiepidi o i vecchi che vorrebbero far da spettatori, bambini di quattro cinque anni tengono comizi sulla scalinata di casa che si chiudono con il fatidico «Eja,eja,eja!Alalà». Il Comandante stesso comizia quotidianamente la popolazione fiumana, dando il via a quella spettacolarizzazione della politica che poi il regime fascista metterà a punto di lì a qualche anno, riprendendone i riti, le parate, la pulsione a capovolgere l’ordine costituito, gli slogan come i famosi «me ne frego!», «Chi non è con me è contro di me!», l’Alalà di saluto, persino «Giovinezza!Giovinezza!», canzone nata ai tempi della guerra del Piave diventa oggetto di riappropriazione e viene riproposta nella kermesse fascista.
L’interminabile festa fiumana finisce dopo sedici lunghi ed indimenticabili mesi nel «Natale di sangue» del 1920 quando l’esercito governativo sconfigge rapidamente l’esercito di ribelli.
L’avvento del fascismo getterà sulla lettura di quell’episodio, che preannuncia indiscutibilmente la marcia su Roma e l’avvento del regime fascista, una luce torbida e nera.
Con la condanna del regime negli anni successivi alla Liberazione si cancellarà con un colpo di spugna il ricordo imbarazzante dell’episodio fiumano, buttando così con l’acqua sporca del regime fascista tutto quello che aveva avuto legami ideali o formali con la dittatura, senza porsi il problema di analizzare le varie componenti che caratterizzarono quell’evento. La stessa sorte toccò al movimento futurista, uno dei più vivaci movimenti di avanguardia del Novecento, che non a caso ebbe molta più risonanza all’estero che non Italia, dove solo di recente è stato rivalutato dal punto di vista della notevole spinta trasgressiva e rivoluzionaria  che ebbe nella elaborazione di un pensiero estetico autenticamente innovativo e di portata internazionale.
La lettura di Claudia Salaris della  provocazione fiumana tende a porsi essa stessa come atto provocatorio, quasi un détournement situazionista proprio per la caparbietà e la sottigliezza con cui l’autrice cerca di mettere in contraddizione vecchi pregiudizi e schemi di lettura per aprire nuove spiragli interpretativi su un episodio a lungo travisato e interpretato strumentalmente da una certa critica del Novecento, va ricordato che già Hakim Bey nel suo T.A.Z. Zone temporaneamente autonome aveva, peraltro,  citato l’episodio di Fiume come una delle ultime utopie pirata o addirittura una delle prime TAZ della modernità.
Come in altri testi della Salaris anche qui si cerca di inserire le vicende dell’avanguardia futurista  in una lettura più ampia accennando a eventi successivi e paralleli, come il dada, la contestazione sessantottesca, il movimento del settantasette e riconducendo il tutto ad un comune fil rouge trasgressivo/insurrezionale dove l’arte si lega in maniera indissolubile con l’impegno politico e subisce, infine, la sorte della damnatio memoriae che è innanzitutto condanna politica: il “guai ai vinti” è, in fondo, categoria interpretativa trasversale e atemporale.

Carla Pagliero