Carlo Buzzi, Alessandro Cavalli, Antonio de Lillo (a cura di),"Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia", Il Mulino, Bologna, pp. 683, euro 27.00

Il quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia ci ha consegnato uno spaccato della gioventù, diverso da quello dei decenni precedenti, segnato dai cambiamenti strutturali che hanno investito il mercato del lavoro, la produzione, la società, la politica e il sistema internazionale a partire dalla fine dei regimi a Democrazia Popolare (1989 crollo del muro di Berlino) e dell’URSS nel 1991. Il primo dato che emerge e colpisce è il prolungamento dell’età entro la quale si è considerati giovani: dai 15 ai 24 anni negli anni Ottanta, fino ai 29 anni degli anni Novanta, fino a 34 nel 2000. Un prolungamento non arbitrariamente scelto dai ricercatori, ma segnalato dagli indicatori usati per stabilire il passaggio alla fascia degli adulti: uscita definitiva dalla casa dei genitori, creazione di una nuova famiglia e nascita del primo figlio. I giovani invecchiano rimanendo giovani perché incontrano notevoli difficoltà a diventare adulti: si è prolungata l’età scolare, la difficoltà a trovare alloggio rende difficoltosa l’uscita di casa, la precarizzazione del lavoro, i vari contratti atipici, a tempo determinato, le flessibilità in tutte le loro varianti, non assicurano redditi tali e sicuri nel tempo da permettere di costruire una famiglia, fare figli, oppure, semplicemente, di progettare una vita propria e autonoma. Strutturalmente il futuro appare indeterminato e non a caso l’indagine segnala come la maggioranza dei giovani esprime principalmente una tensione tutta consumata a vivere il presente dell’esistenza unita a una difficoltà a prefigurare i percorsi del divenire.
A questi giovani la società, con le sue nuove regole o deregulation chiede di essere sempre disponibili a modificarsi, a ridefinire competenze, appartenenze, a cambiare lavoro e luogo di lavoro, vivere cioè in un mondo che esalta l’instabilità e la discontinuità (lavorativa, relazionale, affettiva); chiede loro di vivere “una situazione in cui il rischio è dimensione del quotidiano, in cui non è chiaro quale scelta sia garantita, quali percorsi di vita siano più opportuni”. Ne consegue che i giovani sono immersi in una realtà che porta i segni della precarietà, della discontinuità, della frammentazione, dell’impossibilità di elaborare obiettivi a lungo termine. Il lavoro, ad esempio, è considerato dai giovani uno dei valori più importanti, allo stesso livello dell’amore e dell’amicizia e nettamente superiore ad altri quali la solidarietà e l’eguaglianza.
Non hanno eccessive difficoltà a trovare un lavoro quanto a mantenerlo, il tasso di cambiamento del lavoro è di otto volte superiore a quello delle classi adulte, la retribuzione non è ritenuta soddisfacente e la disuguaglianza retributiva e in crescita. La permanenza nella famiglia dei genitori, l’indagine, parla di “famiglia lunga”, è dovuta  ad una percezione diversa della famiglia che è andata affermandosi: essa supplisce alle mancanze dello Stato e del mercato del lavoro, fornisce appoggio affettivo e psicologico, concede, sempre più rispetto a quella di venti o trenta anni fa, ampia libertà e autonomia ai figli senza pretendere in cambio collaborazione domestica assidua e continua.
Ampia autonomia soprattutto in campo sessuale, nel cui ambito va affermandosi una sessualità sempre più sganciata dal riferimento procreativo e dall’ambito della coppia coniugale. Per quanto riguarda la politica, questa indagine raccoglie il dato più alto di disgusto per la politica nell’ultimo ventennio. Nel 1983 i disinteressati alla politica erano il 23%, nel 1987 il 27%, nel 1992 il 35,9, nel 1996 il 43,1%, nel 2000 il 44,6%. Nel 2001 alla domanda “Quando pensa alla politica cosa le viene in mente?” il 47% rispondeva: “disgusto, diffidenza, rabbia”, il 25% “indifferenza, noia” e solo il 15% “interesse, impegno, passione”, mentre il restante 13% rispondeva “non so”. Inoltre, tra i giovani emerge l’obsolescenza degli schieramenti bopolari costituiti dall’architettura elettorale, fondati sui concetti di centro-destra e centro-sinistra. Solo il 49,9%, contro il 57% di quattro anni prima, esprime una preferenza elettorale, gli altri che non prendono parte al gioco bipolare, non sono certo uniti nelle motivazioni e nelle critiche e nemmeno caratterizzati da una moralità più alta rispetto a quella dei politicizzati, semplicemente avvertono che a quel livello di dialettica, la contrapposizione tra centro destra e centro sinistra sta loro stretta, è incapace di rappresentarli compitamente. Tra quelli che esprimono preferenze elettorali si segnala un rafforzamento delle preferenze per i partiti del centro destra: Forza Italia e, soprattutto Alleanza Nazionale, indebolimento dei consensi alla Lega Nord, scarso consenso ai partiti di ispirazione cattolica, stazionario quello della sinistra, con una propensione, anche in questo schieramento per “l’estremo”, cioè Rifondazione Comunista. Nell’insieme si misura una differenza di otto punti tra centro sinistra e centro destra a vantaggio di quest’ultimo schieramento (42,7% contro il 50,9%).
I giovani si rivelano dei grandi consumatori di musica. Accompagnamenti e attraversamenti sonori costellano, in vari momenti, la giornata dei giovani quasi nella loro totalità. A partire dall’adolescenza “la musica acquista rilevanza sul piano del vissuto e delle dinamiche costitutive e comunicative dei gruppi dei pari”, costituendo “stratificazioni, segmentazioni di trame sonore” che delineano “una sorta di romanzo musicale di formazione”, come scrive nel testo la compianta Maria Teresa Torti.
Il consumo di stupefacenti continua ad interessare il pubblico giovanile con un’evoluzione significativa dei gusti e delle motivazioni. La droga leggera rappresentava, agli inizi degli anni Settanta, un elemento di aggregazione e di coesione dei gruppi giovanile, che intendevano intraprendere un’ampia rielaborazione critica nei riguardi di una società che si voleva e si pensava di poter cambiare. Ed era proprio rispetto a questa funzione liberatoria, innovativa e di convivialità del consumo di droga che una seconda fase di diffusione, a partire dal 1974-75, segnava un sostanziale ribaltamento delle motivazioni e dei modelli di comportamento dei giovani. Arrivava l’eroina, la droga pesante che soppiantava quella leggera. Il rapporto con la droga cambiava di segno: non era più funzione di innovazione sociale, ma diventava strumento di ripiegamento dei giovani su se stessi e quindi di chiusura nei confronti della società. In generale la progressione e la propensione all’uso di sostanze stupefacenti conosceva un aumento costante negli anni che vanno dal 1983 al 2000. Quelli che dichiaravano di aver parlato con qualcuno che aveva fatto uso di droga erano il 54,8% nel 1983 e il 69% nel 2000, quelli che conoscevano persone che facevano uso di droghe salivano dal 39,3% al 68,8%, quelli che avevano visto qualcuno che stava facendo uso di droghe erano il 44,7%  e poi il 55,4%, quelli ai quali era stata offerta la droga passavano dal 21,1% al 46,1%, quelli che avevano sentito il desiderio di provare una droga salivano dal 7,8 al 18, 2%.
Dal fumo dall’acido, che nella mitologia rock degli anni Sessanta e Settanta sembravano indispensabili ad una presa di coscienza, ad un viaggio introspettivo dentro se stessi, si passa a droghe “assunte per eccitarsi fisicamente, per essere estroversi, per agire e non, come si voleva prima, per pensare” se stessi e indagare il proprio io. Prevalgono quelle droghe dette da prestazione, capaci cioè di aumentare la resistenza del corpo nell’eccesso esagerato del vivere che si lega, come è stato notato, alla centralità che assume, tra i giovani degli anni Novanta, il culto del bello, della prestazione corporea unita al desiderio di metamorfosi e di trasgressione. Effettivamente nell’ultimo decennio è avvenuta una sorta di colonizzazione della notte, che per i giovani protagonisti di questa impresa o conquista, assume il significato di presa di spazi di libertà, quelli della notte, appunto “dove gli individui possono temporaneamente svestirsi dei ruoli sociali per indossare gli abiti dell’evasione e le sembianze del gioco”. Le ragioni della conquista della notte sono date, principalmente, dal bisogno di frequentare le discoteche; tuttavia questa non è l’unica ragione che spinge i giovani a uscire la sera, fra le pratiche del trascorre il tempo libero si possono elencare nell’ordine: l’andare in giro con amici, frequentare bar, pub e birrerie, ritrovarsi con amici in casa propria o d’altri, frequentare palestre e praticare sport, andare in pizzeria, andare al cinema.

Diego Giachetti