Elena Petricola, "I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni Settanta. Lotta Continua", Roma, Edizioni Associate 2002, pp. 278, euro 15.00
Nanni Balestrini, "Parma 1922. Una resistenza antifascista", Derive e Approdi, Roma, 2002, pp. 134, euro 9.30

Sono usciti recentemente due libri che hanno intenzioni e modalità espressive diverse ma che parlano tutti degli stessi argomenti: la stagione dei movimenti, l’antifascismo militante dei gruppi della nuova sinistra, i servizi d’ordine.

Una storicizzazione del ’68 italiano
Elena Petricola in I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni Settanta. Lotta Continua, ha lavorato con l’intenzione dichiarata di contribuire alla “storicizzazione del 68 italiano”, inserendosi in quel filone di studi e di ricerche tese a considerarlo non un momento magico ed eccezionale che durerà pochi mesi, ma un processo che investirà gli anni settanta determinando quella che felicemente è stata definita la “stagione dei movimenti”. Un lavoro minuzioso il suo, da storica appunto, con una vasta trattazione e considerazione delle fonti, con l’ausilio discreto e non invadente della memoria di alcuni protagonisti, usata con equilibrio e ponderazione. Il tema specifico affrontato è quello del rapporto tra movimenti sociali antisistemici e l’organizzazione Lotta Continua descritta dal suo nascere nel 1969, fino al 1973, anno in cui questa formazione politica cominciò a comporsi come “partito” a livello nazionale.
Come altre formazioni extraparlamentari di quegli anni, essa nasce nel corso di “caotiche” e propulsive assemblee operai-studenti, prendendo il nome da slogan scritti sui volantini o urlati durante i cortei che diventano titoli di giornali e poi nome delle organizzazioni: Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia. Una nascita che non ha nulla di paragonabile con le tradizionali cerimonie di fondazione dei partiti del movimento operaio novecentesco, di cui è anche difficile individuarne la data precisa, il documento fondativo, lo statuto (Potere Operaio non né avrà mai uno, Lotta Continua se ne darà uno solo nel congresso del 1975). Un’origine e una vita movimentista e movimentata, caratterizzata ciò da una militanza dei suoi aderenti volontaria e a tempo pienissimo, capace di invadere tutta la vita quotidiana di chi vi partecipava. Nel libro quindi s’intrecciano aspetti di storia politica e di storia sociale sull’esempio di due storici, Paul Ginsborg e Silvio Lanaro, che hanno ispirato la ricerca dell’autrice, la quale però, segnala, più di una volta, la presenza di “culture” tradizionali sulla questione della donna in un’organizzazione che, invece, dimostrava flessibilità, creatività, disponibilità e aperture verso i nuovi soggetti sfruttati che esulavano dal tradizionale concetto di classe operaia o di lavoratori tout court.
Queste formazioni nascono in continuità col movimento degli studenti del ’68 e quello degli operai del ’69, molti dei loro quadri, infatti provengono dalle lotte universitarie o da quelle operaie di quel biennio e ripropongono la metodologia d’intervento politico imparata in quelle circostanze. Elena Petricola non cade nella trappola di chi vede solo la foresta (i movimenti) o solo gli alberi (i gruppi della nuova sinistra), dimostra col suo lavoro che gli elementi non sono separabili, che Lotta Continua vive, si può dire, in simbiosi e in azione comune coi movimenti, perché anch’essa si percepisce come un movimento. Ricostruite queste premesse storico-politiche il libro analizza, alla luce della parola d’ordine “prendiamoci la città”, l’intreccio che venne a determinarsi tra questa organizzazione e la nascita di movimenti di protesta e di contestazione che coinvolgevano settori sociali ed istituzioni scarsamente toccate, fino allora, dalla presa di coscienza politica: il movimento di protesta dei soldati che sfocerà nella costituzione dei Proletari in divisa, quello dei detenuti (i Dannati della terra), quello per la casa. Si ha così un ritratto storico concreto di quella che si chiama la stagione dei movimenti che mette in luce modalità nuove di partecipazione politica e sociale intesa anche come trasformazione della vita privata dei coinvolti: vita in comune, mense collettive e asili autogestiti nell’occupazione delle case, forte senso di solidarietà e di reciprocità tra i soldati e i detenuti costretti ad operare in ambienti allora assolutamente impermeabili alla democrazia e ai diritti riconosciuti dalla Costituzione. La metodologia dell’intervento consiste nel dare voce ai protagonisti, nel favorire la “presa della parola” da parte di soggetti sociali, spesso marginali e marginalizzati dal processo produttivo di fabbrica, stando dentro i movimenti e non alla loro testa.
Sono gli anni in cui Lotta Continua si prepara allo scontro generale, criticando il parlamentarismo e la partecipazione elettorale, il tutto riassunto nello slogan, coniato in occasione delle elezioni amministrative del 1970 e poi di quelle politiche del 1972, “è la lotta e non il voto che decide”. Una posizione astensionista che trova riscontro anche in Avanguardia Operaia e in Potere Operaio e che caratterizza tutta una fascia e una fase di crescita della sinistra extraparlamentare. Una posizione che sarà ribaltata nel 1975 e nel 1976 quando Lotta Continua alle amministrative darà indicazione di voto al PCI e l’anno dopo, alle politiche, confluirà nel caratello elettorale di Democrazia Proletaria assieme al PDUP-Manifesto, ad Avanguardia Operaia e altre formazioni minori.
 
Stato, politica, violenza, antifascismo
Partendo da un testo ritrovato, Parma 1922. Una resistenza antifascista, scritto per la RAI nel 1973 da Nanni Balestrini, che riproponeva in forma di radiodramma le giornate della rivolta di Parma contro le squadre fasciste guidate da Italo Balbo nel 1922, pochi mesi prima della marcia su Roma, è possibile sprofondare nella situazione politica e sociale dei primissimi anni Settanta italiani. Pochi anni erano passati dalla strage di Piazza Fontana, dalla defenestrazione di Pinelli, si scoprivano trame nere, connivenze tra apparati (deviati?) dello Stato e neofascisti, perquisizioni, arresti, denunce, schieramenti di polizia che affrontavano le manifestazioni facevano temere che fosse in atto una svolta autoritaria, che lo Stato avesse scelto la via della repressione dei movimenti e della protesta. In questo clima, cui fa continuamente riferimento anche Elena Petricola, maturava il lavoro di Balestrini.
Parlando dei fatti accaduti a Parma cinquant’anni prima Balestrini, come evidenziano nell’introduzione Margherita Becchetti, Andrea Zini, Giovanni Ronchini, proponeva e coglieva alcun caratteristiche dello scontro di classe in corso. La nuova sinistra, sostiene con ragione Margherita Becchetti, negli anni Settanta riscopriva l’antifascismo, non quello celebrativo-istituzionale alla 25 aprile, commemorato assieme a preti, vescovi, ministri democristiani, banda del comune, e partiti dell’arco costituzionale, ma quello insurrezionale, combattivo, tradito nelle sue aspettative rivoluzionarie e socialiste, dagli equilibri interni al CLN, dalla realpolitik della divisione del mondo in zone d’influenza, dal moderatismo e dal tecnicismo politico della svolta salernitana di Togliatti. Antifascismo, per i giovani degli anni Settanta, divenne lotta pratica e quotidiana contro il fascismo, inteso inizialmente come attacco ad ogni autoritarismo nascosto o evidente nelle istituzione, poi come contrapposizione decisa al neo fascismo del MSI e dei gruppi dell’estrema destra e denuncia della loro connivenza con settori statali. Ecco perché, alle paludate celebrazioni della ricorrenza resistenziale, quei giovani preferivano contrapporre l’antifascismo del primo dopoguerra rintracciando in quegli anni (1919-1922) più di un’analogia col loro tempo presente. La paura prodotta nella borghesia italiana dalle lotte del 1968-1969 non era forse paragonabile a quella indotta dalle occupazioni delle fabbriche nel 1920. E la sua risposta non poteva essere, forse, una nuova riproposizione della repressione fascista? E ancora, come nel primo dopoguerra i riformisti erano stati incapaci di contrapporsi all’involuzione reazionaria, così l’appello alla legalità istituzionale della sinistra tradizionale sembrava debole e inefficace contro le aggressioni e le stragi. Non era quindi un caso che Lotta Continua giornale quotidiano, pubblicato a partire dal 1972, riproducesse nella testata l’immagine di una barricata di Parma dell’agosto ’22.
Così, nel lavoro di Balestrini emergeva chiaramente l’allusione alla connivenza tra gruppi di fascisti e i settori dello Stato che avrebbero dovuto garantire la legalità invocata dai riformisti e dai dirigenti confederali. Il loro “attendismo” e pacifismo poteva essere paragonato alla vigilanza democratica e al rifiuto delle provocazioni invocate dalla sinistra, in particolare dal PCI. E la critica di alcuni Arditi del popolo al riformismo di Turati, sembra voler essere una critica alla strategia del compromesso storico che il PCI, di lì a poco avrebbe varato, prendendo come spunto il golpe in Cile del 1973. A questo inganno era contrapposta la validità dell’antifascismo militante praticato degli Arditi del popolo, visti come antisegnani dei servizi d’ordine della formazioni della nuova sinistra.
Certo, qui siamo ancora e solo, nel campo delle indicazioni, delle ipotesi e delle suggestioni, ma, come spesso accade, è proprio a partire da queste che nascono le ricerche storiche. Che ben vengano.

Diego Giachetti