Paolo Ferrero (a cura di), "Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera", Coedizioni Edizioni Punto Rosso / Carta, pp. 300, 13 Euro

Contributi di:
Gianni Alasia, Luca Baranelli, Sergio Bologna, Giorgio Bouchard, Ester Fano, Pino Ferraris, Goffredo Fofi, Nando Giambra, Pinzi Giampiccoli, Giovanni Jervis, Dario e Liliana Lanzardo, Luca Lenzini, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Cesare Pianciola, Vittorio Rieser, Pucci Saija Panzieri, Renato Solmi, Mario Tronti
Prefazione di Marco Revelli

Raniero Panzieri è stato il fondatore della rivista Quaderni rossi (Torino, 1961) che comunemente viene individuata come il punto di partenza dell'operaismo italiano.
L'attività di ricerca dei Quaderni rossi è stata però solo lo sbocco di una ricca e coerente attività svolta da Panzieri nell'ambito del movimento operaio e della sinistra italiana: allievo ed amico di Rodolfo Morandi, segretario dell'Istituto di studi socialisti (1946-1948), segretario regionale del Psi in Sicilia (1949-1953), membro della Direzione nazionale del suo partito; Panzieri sembrava destinato alla "grande carriera" nella trafila delle organizzazioni ufficiali di partito: ma ad un certo punto invece di diventare uno dei tanti organization men, di cui era ricca anche allora la sinistra italiana, egli preferì abbandonare ad una ad una le posizioni ufficiali, pur di seguire con totale coerenza la sua strada: quella dell'intellettuale che vuole sempre cercare la verità, e vuole anche dirla, a costo di essere isolato, odiato, licenziato.
La verità che egli cercava non era una verità per "intellettuali di sinistra": doveva essere una verità valida davanti ai cancelli della Fiat, come nelle miniere di Lercara. E lo era.
Panzieri è morto a Torino il 9 ottobre 1964 all'età di soli 43 anni.
L'ambizione di questo libro, a 40 anni dalla morte è duplice.
In primo luogo semplicemente ricordare il compagno Raniero Panzieri, troppo facilmente dimenticato.
In secondo luogo tentare di riaprire una attenzione sulla sua figura e sulla sua elaborazione, suggerendo sommessamente che può essere un nostro utile ed interessante "compagno di strada".

Paolo Ferrero (Pomaretto, Torino, 1960)
Valdese, ex operaio e poi cassaintegrato Fiat, ha ricoperto ruoli di direzione in Cgil, Democrazia proletaria e nella Federazione giovanile evangelica italiana.
Attualmente è membro della Segreteria nazionale del Partito della rifondazione comunista, responsabile dell'area lavoro, economia e diritti sociali.

scheda di presentazione a cura dell'editore

"La lezione di Raniero Panzieri", di Pino Ferraris, "il manifesto", 14 luglio 2005

Le presentazioni del libro Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, curato da Paolo Ferrero per le Edizioni Punto rosso/Carta (prefazione di Marco Revelli, pp. 285, euro 13) di cui ha scritto Massimo Raffaeli su "Alias" del 14 maggio - sono state occasioni per ricordare la figura di Panzieri ma anche per aprire una discussione su alcuni nodi di fondo del nostro agire
politico. Una discussione da riprendere e allargare.
Panzieri e' stato organizzatore politico e dirigente negli aspri anni Cinquanta. Come direttore di "Mondo Operaio", la rivista ufficiale del Psi, nel 1957-'58, apri' con vigore e lucidita', dopo i fatti d'Ungheria, l'unica prospettiva di uscita a sinistra, classista e libertaria, dallo stalinismo.
Conosceva sino in fondo la vischiosa resistenza delle strutture del passato, sapeva della estrema difficolta' e della grande complessita' di strutturare il nuovo. Nonostante cio' egli scelse di rompere per continuare. Panzieri fu e rimase uomo di frontiera senza cedere di un millimetro al richiamo delle comode dimore dell'ufficialita' politica, rifiutando senza la minima esitazione ogni spregiudicata estetica del sovversivismo settario. La rottura del 1963 con Mario Tronti e i compagni che lasciarono i "Quaderni
Rossi" per fondare "Classe operaia" fu politicamente importante oltre che molto pesante per Raniero.
Quel dibattito rinvia a dispute antiche del movimento operaio che lo storico francese Dolleans sintetizza nelle formula del conflitto tra rivoluzione di potenza e rivoluzione di capacita'. Rivoluzione di potenza indica l'orientamento che subordina la trasformazione sociale alla potenza acquisita con la conquista del potere statale. In questa ottica l'azione sociale immediata e quotidiana e' strumentalizzata alla finalita' di produrre dominio organizzato della macchina politica. Essa prevede la sovranita' del Partito guida, la necessita' del momento autoritario. La rivoluzione di capacita' rinvia invece alla capacita' autogestionaria delle
libere associazioni attraverso l'incremento delle risorse intellettuali e morali dei lavoratori e della loro forza autonoma di imporre soluzioni in proprio e dal basso dei loro problemi. Essa prevede il partito strumento al servizio delle solidarieta' di classe e la coincidenza permanente fra emancipazione sociale e liberazione politica.
Le rivoluzioni di potenza hanno vinto molte volte, ci ricorda Wallerstein, hanno vinto con le loro strategie basate sulle due fasi: la conquista del potere statale per poi trasformare la societa'. Ma lo storico americano ci ricorda che i vecchi movimenti anti-sistemici "orientati allo stato" sono rimasti vittime dello stato stesso. Sono falliti nella promessa sociale e nella sfida della liberta' e sono implosi. Da quei fallimenti, secondo Wallerstein, prende avvio la vicenda che e' partita da quella che egli
continua a chiamare la "rivoluzione mondiale del 1968", madre di tutti i successivi nuovi movimenti anti-sistemici, sino al piu' maturo di tutti, l'attuale movimento dei movimenti.
E' qui, sul terreno della trasformazione della politica che Raniero Panzieri ebbe intuizioni veramente profetiche. Che cosa voleva dire, in quegli anni, richiamare il tema del controllo operaio lanciato col dirompente manifesto politico dei minatori del Galles del sud nel 1912 come alternativa sia alla proprieta' capitalistica sia alla statalizzazione? Per quei minatori in lotta lo Stato era un nemico tanto quanto il padrone. I lavoratori volevano diventare capaci di dirigere la propria industria con un sistema completo di controllo operaio. "Socializzare senza statizzare", e' questa l'ultima proposta di rivoluzione delle capacita' avanzata alla vigilia di quella prima guerra mondiale che forgera' lo scheletro d'acciaio dell'esperienza novecentesca, fatta di statalismo autoritario, capitalismo organizzato e politica militarizzata.
Il richiamo di Panzieri del tema del controllo operaio, l'apertura della dimensione del movimento politico di massa, l'affermazione secondo la quale il proletariato ha la possibilita' e la necessita' di educare se stesso costruendo i suoi propri istituti di democrazia riapre (nel linguaggio e nella forme del suo tempo) la perduta prospettiva della rivoluzione di capacita' e tenta di ricongiungere intransigente istanza socialista e radicalismo della liberta'. E tutto questo prima della "rivoluzione del 68", prima del crollo catastrofico del comunismo, prima dell'esaurimento del secolo socialdemocratico.
Tronti rispolvera vecchie antitesi tra movimentismo e organizzazione, tra spontaneita' e direzione, tra Consigli e Partito. Non sono piu' questi i termini del problema. Le articolazioni reticolari del far da se' solidale, le richieste di comunalismo partecipato, l'esigenza di un sindacalismo orizzontale in grado di coniugare protagonismo democratico, forza rivendicativa e capacita' di fare societa' anche negli ambiti di vita, i movimenti di pace e di difesa dell'ambiente, il ritorno embrionale di forme di economia solidale tutto questo sollecita un grande sforzo di invenzione politica. In momenti come questi occorre soprattutto chiederci:quale politica? quale partito? Paolo Farneti, che e' stato uno dei piu' acuti e stimolanti sociologi della politica, ci ha ricordato che l'esperienza storica del partito politico di massa non ci propone soltanto il modello di quel partito alternativo alla societa' civile che tendeva a inglobare e a partitizzare la societa' intiera secondo l'esperienza della socialdemocrazia tedesca di Bebel e di Kautsky e dei partiti della III internazionale. Il vecchio partito laburista, cinghia di tramissione alla rovescia che
rappresentava i sindacati nel parlamento, poteva essere visto come partito complementare alle strutture date della solidarieta' operaia. E' possibile invece vedere nel partito operaio belga di Vandervelde un partito coordinatore delle solidarieta'. Era una associazione di associazioni, una federazione politica di camere sindacali, societa' di mutuo soccorso e cooperative. E' bene tener presente questa articolazione pluralistica dell'esperienza storica del partito di massa quando la posta in gioco e' un
radicale ripensamento della politica. Dopo il crollo del partito burocratico di massa che inquadrava e mobilitava singoli individui collettivizzati emergono ora i fragili e arroganti partiti videocratici e personali che cercano di costruire il loro dominio sull'apatia e sull'atomizzazione di massa. Contemporaneamente il movimento dei movimenti dimostra nuova tenuta associativa, capacita' cooperativa e forti esigenze di politica reticolare e partecipata.
Oggi ci troviamo di fronte al confronto e allo scontro tra forme diverse della politica che implicano ipotesi alternative dell'agire sociale. Di questo incominciava a parlarci Raniero quarant'anni fa. Ma c'e' un'altra lezione per l'oggi che ci viene da lui. E' fondamentale ricordare il suo metodo esemplare di analisi e di controllo delle grandi transizioni sociali.
Negli anni a cavallo tra la seconda meta' degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta egli indaga e contesta il passaggio verso il neocapitalismo del cosiddetto "miracolo economico".
Due strumenti essenziali Panzieri ha messo in opera a questo fine: la critica dell'uso capitalistico delle macchine e l'inchiesta operaia. Sul terreno dell'analisi e del controllo della successiva grande trasformazione del post-fordismo il nostro fallimento e' totale. Il mutamento verso la societa' informazionale ci e' semplicemente caduto addosso. Come mai questa tecnologia informatica che per sua essenza intreccia tecnica e potere, non siamo riusciti a sezionarla con il bisturi di Panzieri della critica dell'uso capitalistico delle macchine? E' vero che la telematica ha un doppio volto. Essa vende computer come beni di consumo
durevoli che ci rendono disinvolti consumatori di informazione. Ma questa tecnologia e' anche e soprattutto un formidabile bene strumentale che scende sul versante del lavoro come procedura che regola, come ordinatore che guida, come panopticon che sorveglia. Quando incominciammo, nei primi anni Ottanta, ad analizzare l'automazione flessibile a base elettronica nelle fabbriche vedevamo soprattutto l'informatizzazione come automazione di sostituzione del lavoro umano, come robotizzazione. Eravamo ossessionati dall'utopia capitalistica della fabbrica senza operai. In realta' lo sviluppo principale dell'informatica e'
stato nella direzione della tecnologia di integrazione che ha prodotto operai senza fabbrica. Due notizie recenti danno il segno della direzione di marcia. Nelle fabbriche dell'ex Zanussi, dove venti anni fa seguivamo criticamente il processo di robotizzazione, ora si smontano i robot e si mettono di nuovo gli uomini e le donne sulle linee di produzione. La destabilizzazione del lavoro generata dall'informatizzazione ha prodotto una tale abbondanza di lavoratori flessibili e a basso costo da rendere conveniente l'utilizzazione del lavoro umano al posto del robot.
Contemporaneamente, da una ricerca universitaria commissionata dal sindacato inglese, ci viene una novita' sconvolgente: si diffonde la robotizzazione diretta dell'umano. Sono migliaia gli operai con il computer da polso che vengono guidati e controllati, via satellite, nei minimi dettagli delle loro operazioni lavorative. Questa funzione della telematica come nuovo automa-autocrate del processo di produzione che ha sostituito la catena di montaggio ci ha lasciato disorientati. Non esiste una critica dell'uso
capitalistico del macchinismo post-fordista. Il decentramento centralizzante dell'automazione d'integrazione informatica ha scisso cooperazione tecnica e cooperazione sociale, ha verticalizzato e concentrato il comando mentre ha frantumato e disseminato orizzontalmente macchine e operai. Si va perdendo la centralita' della fabbrica come luogo di integrazione del ciclo di
produzione. Diventa molto piu' complesso quel movimento di andata e ritorno tra soggettivita' operaia e movimenti del capitale che era proprio dell'inchiesta che ci proponeva Panzieri. Quando allora si parlava di con-ricerca o di inchiesta socialista si sottintendeva una visione, non certo deterministica, ma comunque piuttosto ottimista circa il rapporto tra essere sociale e coscienza sociale. Oggi questo rapporto e' molto piu' contraddittorio.
In tempi come questi il rischio piu' grave e' quello di andare a cercare soltanto cio' che vogliamo trovare mentre e' fondamentale nell'inchiesta incontrare l'alieno, lo sconosciuto, l'imprevisto. L'intreccio sempre piu' significativo tra ambiti di vita e di lavoro richiede un ripensamento di fondo dell'inchiesta. Non c'e' piu' un punto di osservazione privilegiato della condizione operaia. Il call center, il bancario al video-terminale, il conduttore di sistemi automatici, il lavoro autonomo di seconda generazione,
l'hacker creativo? Oppure le immense periferie cinesi, indiane e brasiliane che ci ricordano, su smisurata dimensione di scala, la Londra ottocentesca di Engels? Occorre rifuggire dalle semplificazioni, occorre evitare di assumere la parte per il tutto, e' necessario riaccendere i riflettori sul lavoro da ogni lato, da molte postazioni, da svariate angolature.
Vi sono queste e infinite altre difficolta' nel ridefinire e rilanciare il metodo dell'inchiesta ma alla base della paralisi e dell'indifferenza verso l'inchiesta c'e' una colossale, gigantesca svalutazione economica, culturale e politica del lavoro. Solo dei visionari potrebbero negare la dilatata presenza sociologica del lavoro, tutti pero' dobbiamo constatare il crollo del valore del lavoro che, a mio avviso, ha la sua radice principale nella rottura drammatica del nesso tra lavoro e politica, tra lavoro e
trasformazione sociale. Ci vuole anticonformismo, e' necessario spezzare senza pieta' il conservatorismo delle pratiche e delle idee, occorre consapevolezza piena dei mutamenti di fondo, coraggio, come diceva Raniero, di rompere radicalmente, ma rompere per continuare. Non rompere per liquidare.

Note all'articolo di Pino Ferraris e bibliografia su Panzieri, di Severino Vardecampi, da "La nonviolenza in cammino", 15 luglio 2005

Se e' lecito esprimere en passant un'opinione su un punto specifico di questo per il resto assai pregevole intervento, sorprende che un militante e studioso della storia e del prestigio di Pino Ferraris esprima un giudizio entusiasta su un'esperienza per molti aspetti ancora embrionale, per altri equivoca, e complessivamente frutto di una sconfitta storica e di un arretramento politico e culturale come il cosiddetto "movimento dei movimenti" (Severino Vardacampi).

Pino Ferraris, militante e studioso del movimento operaio, docente universitario, autore di numerose pubblicazioni, una delle figure piu' vive della sinistra critica lungo tutto il secondo Novecento.
Raniero Panzieri, intellettuale e militante del movimento operaio, nato a Roma nel 1921 e deceduto a Torino nel 1964, dirigente del partito socialista, condirettore della rivista "Mondo Operaio", redattore alla Einaudi, animatore dell'esperienza dei "Quaderni rossi". Opere di Raniero Panzieri: oltre alla serie dei "Quaderni Rossi", cfr. tre raccolte di suoi scritti: La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Sapere, Milano 1972, poi Nuove Edizioni Operaie, Roma 1977; La crisi del movimento operaio (Scritti interventi lettere, 1956-1960), Lampugnani Nigri, 1973; Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, Einaudi, Torino 1976. Opere su Raniero Panzieri: oltre agli ampi apparati critici dei volumi citati, cfr. ora Paolo Ferrero (a cura di), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni Punto rosso - Carta, Milano-Roma 2005