La banda Baader Meinhof
Regia di Uli Edel

Può la Germania raccontare in modo diretto e frontale gli anni caratterizzati dalla formazione, consolidamento,  lotta armata, e processo della Rote Armee Fraktion?
L'argomento è molto spinoso e la responsabilità storico politica nell'affrontarlo dovrebbe essere doverosa, non relegata a quella di confezionare un buon prodotto che "funzioni". In effetti il prodotto filmico commerciale "La banda Baader-Meinhof" funziona, è stato costruito seguendo una ricetta collaudata: incidente scatenante, obiettivi dei protagonisti, complicazioni successive, climax, risoluzione. Peccato però che l'approccio critico agli eventi sia molto opinabile.
Innanzitutto la formazione politica di Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin e degli altri compagni di scelte così estreme, affidata giustamente alla primissima parte del film, è a dire poco superficiale, quasi assente, col risultato che già da subito vengono descritti come impulsivi giovanotti carichi di energia e proiettili, che da un'auto in corsa sparano all'impazzata e ad altezza uomo la loro euforia.
Per tutto il film si mostra Baader come il trascinatore carismatico del gruppo, ma non capiamo il perché, visto che è sempre descritto come un esaltato idealista aggressivo e infantile. Un'altra grande perplessità riguarda poi l'ideologia del gruppo ormai formato. Ovviamente bollati anarchici dalla stampa e dai telegiornali, possibile che in centoquarantanove  minuti di film i protagonisti non si siano mai definiti comunisti? O marxisti? Eppure l'ideologia di cui erano infarciti e i discorsi accennati erano piuttosto chiari!
C'è poi il processo, il più lungo e costoso che la Germania ricordi. Una cosa buona qui, come anche in un altro punto del film, è che viene fuori abbastanza quanto consenso "orizzontale" – contrariamente a quanto accaduto in Italia con le BR – avesse la RAF presso gli studenti, probabilmente dovuto al fatto che molti padri di quegli studenti erano, o erano stati, nazisti. Tuttavia le carceri dov'erano detenuti i cinque sembrano quasi modello e non si accenna nemmeno alle torture subite.
E così, dal libro di Stefan Aust "Der Baader Meinhof Komplex", grazie ad un plot ben costruito, ad una scena iniziale perfetta e dolorosamente attuale (almeno per l'Italia, almeno per Roma, almeno per piazza Navona qualche settimana fa), a terroriste bellissime - emblema della rivoluzione sessuale di quegli anni (molto più centrato in questo senso un film che solo allude alla RAF, "Paradiso. Una tragicommedia imperialista" di Zelimir Zilnik, Germania RFT del '76) e che in carcere non perdono neanche un filo di rossetto - grazie a descrizioni minuziose sui morti per mano RAF e dolorose constatazioni di pochi eccessi della polizia da parte di saggi capo-poliziotti (l'ineccepibile Bruno Ganz), si confeziona solo un Romanzo Criminale ad anni luce dagli spessori di Costa-Gavras, Von Trotta, Pontecorvo. Il film, quindi, che dopo aver fatto intravedere la possibilità che i cinque siano stati uccisi in carcere, "ragionevolmente" propende per il noto suicidio di Stammheim, non portando neanche un raggio di luce nell'autunno di quella Germania degli anni di piombo.

Antonio Morabito, "Umanità nova", 11 gennaio 2009