"Preti operai, resiste la trincea", di Filippo Gentiloni, "il Manifesto", 3 novembre 2002

Sulla esperienza dei preti operai due bilanci sono usciti in questi giorni: ambedue autorevoli, ma nettamente contrari l'uno all'altro. Sul «Venerdì» di Repubblica il bilancio negativo, sottolienato da un titolo drastico: «Contrordine, fratelli. E il prete operaio va in pensione», a firma di Marco Cicala. Va detto, comunque, che il sommario è più incerto: «Entrarono di nascosto, lottarono con i comunisti. I padroni tentarono di licenziarli, e spesso ci riuscirono. Poi vennero i terroristi, il riflusso. E, ora, la crisi della Fiat, gli immigrati...Davvero quella esperienza non serve più?» Risponde , in una lunga intervista - per fortuna molto più problematica del titolo dell'articolo - don Carlo Carlevaris, il decano del gruppo, ora in pensione. Su Famiglia cristiana, al contrario, il «Prete operaio resiste» ed il sommario ha toni decisamente positivi: «Negli anni Settanta in Italia erano 300. Oggi sono un centinaio, pronti a dare nuove forme alla loro azione. Ma ben decisi a rimanere dove sono: sulla trincea del lavoro». L'articolo prende lo spunto da un seminario di studi che si è tenuto recentemente a Torino. Nei prossimi giorni, intanto, si terrà anche un convegno europeo a Parigi, città dove l'esperienza dei preti operai era nata nell'immediato dopoguerra, sotto la spinta dell'arcivescovo cardinale Suhard.
Quale dei due testi ha ragione? Direi quello positivo, anche se lo slancio non è più quello dei primi tempi, anche se l'età media è ormai elevata e nuove reclute scarseggiano.
Ma più delle cifre, contano la storia e il valore dell'esperienza. La storia è nota. Si tratta di una esperienza veramente rivoluzionaria, prima benedetta dalla gerarchia ecclesiastica che vi vedeva la possibilità di penetrare nel mondo operaio fortemente secolarizzato; poi contestata dalla stessa gerarchia che la trovava , da una parte, inutile agli effetti di una evangelizzazione delle fabbriche, dall'altra rischiosa perché troppo «rossa».
Comunque nessuno nega che si è trattato di una delle esperienze più interessanti , prima e dopo il concilio Vaticano II. I preti operai hanno messo in discussione la stessa figura del prete nonché il valore del lavoro anche manuale. Un vero pugno nello stomaco per una chiesa abituata alla figura di un prete «ridotto» a semplice amministratore dei sacramenti e della parrocchia e abitata soprattutto, se non esclusivamente, dal mondo, dalla cultura e dalla società borghesi.
Nessuna meraviglia se oggi questa difficile esperienza, ostile a tutti i grandi poteri dominanti, sia quelli laici che quelli ecclesiastici, sia in crisi. Lo sono tutte o quasi le esperienze che hanno cercato di rinnovare la presenza cristiana nella società. Hanno cercato e cercano, sia pure con difficoltà maggiori di quelle di ieri. Non a caso la destra sta vincendo quasi dappertutto; non a caso uno degli impegni prioritari dei preti operai e dei loro incontri è quello per la pace.
Per saperne di più e con maggiore partecipazione si possono utilmente leggere i due recenti volumi di Marta Margotti dell'università di Torino e soprattutto ci si può abbonare alla rivista trimestrale Preti operai (67030, Torre dei Nolfi, Aquila) che rappresenta, a tutt'oggi, uno dei più preziosi laboratori in cui si cerca di costruire un cristianesimo convincente. Si pensi al tema di uno dei più recenti incontri dei preti operai: «Vivere il tempo oggi è sapersi misurare con l'ultimum che non è il dopo della vita ma il suo punto di arrivo, cioè l'oggi cosciente e responsabile».