Gino Bianco, giornalista e storico, studioso del movimento operaio e
di figure e vicende della tradizione socialista e libertaria, redattore
negli anni '60 a Milano della rivista "Critica Sociale", e' stato corrispondente
da Londra dell'"Avanti!" e successivamente del "Giornale nuovo", ed inviato
speciale del giornale radio della Rai; ha collaborato con saggi di storia
contemporanea a "Movimento operaio e socialista", a "Tempo presente",
alla rivista londinese "Survey"; e' direttore responsabile della bella
rivista forlivese "Una citta'" (sito: www.unacitta.it). Opere di Gino Bianco:
con Gaetano Perillo, I partiti operai in Liguria nel primo dopoguerra,
Istituto storico per la Resistenza in Liguria, Firenze 1965; La tradizione
socialista
in Inghilterra, Einaudi, Torino 1970; Tra bolscevismo e fascismo, La
Nuova Italia, Firenze 1976; Un socialista "irregolare": Andrea Caffi, intellettuale
e politico d'avanguardia, Lerici, Cosenza 1977; Nicola Chiaromonte e il
tempo della malafede, Piero Lacaita Editore, Manduria-Roma-Bari 1999.
Andrea Caffi, nato a Pietroburgo nel 1886 e deceduto a Parigi nel 1955,
intellettuale e militante, una delle figure piu' limpide ed affascinanti
(e ingiustamente dimenticate) dell'impegno e della riflessione socialista
ed antitotalitaria europea del Novecento. Opere di Andrea Caffi: cfr. per
un avvio il recente volumetto Critica della violenza, Edizioni e/o, Roma
1995.
Opere su Andrea Caffi: Gino Bianco, Un socialista "irregolare": Andrea
Caffi, Lerici, Cosenza 1977; Giampiero Landi (a cura di), Andrea Caffi,
un socialista libertario, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1996]
(Nota da "La nonviolenza in cammino", N. 999, 22 luglio 2005)
Nato a Pietroburgo nel 1886, cospiratore nella Russia zarista, studente
universitario a Berlino, fuoriuscito sovversivo in Italia e in Francia,
dalla sua partecipazione alla rivoluzione russa del 1905 alla lotta contro
il fascismo negli anni tra le due guerre, alla Resistenza europea, Caffi
e' stato fino alla sua morte, avvenuta a Parigi nel 1955, partecipe di
tutti gli eventi del secolo. In un tempo in cui l'ideologia, la retorica
e la violenza avevano dominato il pensiero e l'azione politica, gli scritti
e la vita di Caffi forniscono, con rara forza e coerenza, l'esempio di
un radicale rifiuto delle degenerazioni cui e' andato incontro il movimento
socialista nella duplice versione del leninismo e del riformismo socialdemocratico.
Critico del totalitarismo comunista non meno che della socialdemocrazia,
Caffi denuncio' le corresponsabilita' dello stalinismo e della sinistra
occidentale nel declino degli ideali socialisti. Il rifiuto del bolscevismo
e del totalitarismo, la critica radicale all'idea dello Stato-nazione,
e una concezione per molti versi originale del socialismo libertario, hanno
caratterizzato l'impegno culturale e politico di Caffi. Il suo federalismo,
tuttavia, si coniugava con il riconoscimento delle identita' nazionali
e con il senso del radicamento, una condizione - come diceva Simone Weil
- che risponde alla necessita' di riconoscersi in un passato, nel bisogno
di una identita' collettiva.
Critico degli elementi autodistruttivi del capitalismo e della cosiddetta
economia di mercato, era attento - e i suoi scritti lo testimoniano -agli
effetti devastanti della "meccanizzazione" del mondo contemporaneo, ai
processi di desacralizzazione della societa' provocati dalla "modernizzazione",
dalla cultura di massa e dalla mercificazione del prodotto culturale. La
pubblicita' e i mezzi di comunicazione di massa hanno inoltre contribuito
- ripeteva Caffi - a modificare la nostra percezione, a corrompere qualita'
e critica, a falsificare la realta'. La sua fu una critica radicale e ribelle
della cosiddetta modernita' che lo avvicina a
Hannah Arendt e a Walter Benjamin, e che si espresse in una tenace
resistenza alla dilagante rozzezza, al nichilismo e alle forze disgregatrici
che minacciano l'umanita' moderna. Era un intellettuale scomodo, impermeabile
a sistemi e ideologie, un inquieto demistificatore del progresso e delle
contraddizioni del mondo contemporaneo.
Aveva un fortissimo senso della storia e attraverso la memoria riusciva
a dare colore e immediatezza al presente, ma la sua opera, ricca di straordinarie
intuizioni, di spunti di analisi, di interpretazioni originali, rimase
frammentaria. Fu in un certo senso un testimone dell'impossibilita', per
l'uomo del nostro tempo, di formulare un pensiero sistematico.
Caffi mette in questione stereotipi e idee fatte, solleva interrogativi
imbarazzanti, pone in luce con rigore e al di la' di ogni facile astrazione
o ideologia la complessita' del reale. Aron ha spiegato nell'Oppio degli
intellettuali come aveva gia' dimostrato Julien Benda nel Tradimento dei
chierici che l'intellettuale del nostro tempo mente o si sbaglia il piu'
delle volte volontariamente, giacche' per la maggioranza degli intellettuali,
degli uomini politici, degli stessi ricercatori scientifici ed economici,
la parola e la ricerca servono non tanto per esprimere la verita' ma per
imporre il proprio punto di vista o quello degli interessi che egli rappresenta.
E per imporlo tutti i mezzi sono buoni, compresa la deformazione dei fatti,
la manipolazione dei dati e le campagne di disinformazione. L'esperienza
di Caffi conferma in qualche modo che nel mondo contemporaneo e' possibile
restare uomini davvero liberi solo se non ci si "integra", in altre parole,
solo se si e' di una coerenza eccezionale.
Caffi richiama a una considerazione severa e realistica della funzione
e dei limiti della politica. Intuiva che entro le societa' tecnologiche
e nei rapporti internazionali le disuguaglianze e le gerarchie stavano
diventando qualcosa di sempre piu' completo. Avvertiva cioe' che i fenomeni
politici della nostra epoca sono resi piu' complessi da un mutamento di
scala senza precedenti, dall'interdipendenza globale dei fenomeni, dal
rovesciamento - come diceva Paul Valery - nell'ordine d'importanza, d'urgenza
e di valori dei problemi che la politica vorrebbe affrontare.
I suoi scritti sulla condizione operaia nella fabbrica, sullo sradicamento
del proletariato industriale e delle grandi masse urbane mettono in luce
che non esiste una sola cultura popolare, ma diverse culture a seconda
delle tradizioni ed esperienze di vita associata, delle diverse capacita'
di lavoro (operai specializzati e no), delle diverse religioni e nazioni
(o etnie) di provenienza.
Caffi delinea inoltre una concezione della politica che non sia solo
comando o esercizio del potere ma al contrario resistenza al comando ed
educazione all'autogoverno. Sottolinea al tempo stesso l'irriducibilita'
dello spirito umano alle forze brute del potere e agli automatismi dell'organizzazione
del lavoro, e l'importanza del mito nelle aspettative e nei comportamenti
degli uomini.
Nell'eta' dei totalitarismi e del nichilismo, il socialismo avrebbe
dovuto trovare il suo terreno d'intesa piu' congeniale nel rifiuto del
darwinismo sociale e nella riduzione della violenza. "Il nome del socialismo"
osserva Caffi, "e' stato trascinato in tante poco edificanti peripezie
(nazionalsocialismo, Mosca patria del socialismo, socialismo della Falange
spagnola, della Repubblica Sociale Italiana e del regime di Vichy, senza
dimenticare Noske, De Man, ecc.) che si puo' dire 'mitridatizzato' contro
ogni discredito". Diceva di sentirsi - nonostante tutte le delusioni
del secolo - un socialista libertario per spirito di conservazione, intendendo
per conservazione la difesa dell'uomo, della cultura e della storia.
Il suo antiprogressismo significa soprattutto rottura con il falso
nuovo e rifiuto dei falsi messia. Ma c'era in lui anche qualcosa d'altro:
il socialismo inteso come civilta', la piu' alta che l'umanita' avesse
espresso, il convincimento che la giustizia non meno della liberta' fossero
esigenze insopprimibili dello spirito umano.