"La lezione di Andrea Caffi", di Gino Bianco, da "La nonviolenza in cammino", N. 999, 22 luglio 2005, bollettino telematico che ha ripreso dal sito www.unacitta.it  l'introduzione di Gino Bianco alla raccolta di saggi di Andrea Caffi, "Critica della violenza", Edizioni e/o, Roma 1995

Gino Bianco, giornalista e storico, studioso del movimento operaio e di figure e vicende della tradizione socialista e libertaria, redattore negli anni '60 a Milano della rivista "Critica Sociale", e' stato corrispondente da Londra dell'"Avanti!" e successivamente del "Giornale nuovo", ed inviato speciale del giornale radio della Rai; ha collaborato con saggi di storia
contemporanea a "Movimento operaio e socialista", a "Tempo presente", alla rivista londinese "Survey"; e' direttore responsabile della bella rivista forlivese "Una citta'" (sito: www.unacitta.it). Opere di Gino Bianco: con Gaetano Perillo, I partiti operai in Liguria nel primo dopoguerra, Istituto storico per la Resistenza in Liguria, Firenze 1965; La tradizione socialista
in Inghilterra, Einaudi, Torino 1970; Tra bolscevismo e fascismo, La Nuova Italia, Firenze 1976; Un socialista "irregolare": Andrea Caffi, intellettuale e politico d'avanguardia, Lerici, Cosenza 1977; Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Piero Lacaita Editore, Manduria-Roma-Bari 1999.
Andrea Caffi, nato a Pietroburgo nel 1886 e deceduto a Parigi nel 1955, intellettuale e militante, una delle figure piu' limpide ed affascinanti (e ingiustamente dimenticate) dell'impegno e della riflessione socialista ed antitotalitaria europea del Novecento. Opere di Andrea Caffi: cfr. per un avvio il recente volumetto Critica della violenza, Edizioni e/o, Roma 1995.
Opere su Andrea Caffi: Gino Bianco, Un socialista "irregolare": Andrea Caffi, Lerici, Cosenza 1977; Giampiero Landi (a cura di), Andrea Caffi, un socialista libertario, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1996]

(Nota da "La nonviolenza in cammino", N. 999, 22 luglio 2005)


Nato a Pietroburgo nel 1886, cospiratore nella Russia zarista, studente universitario a Berlino, fuoriuscito sovversivo in Italia e in Francia, dalla sua partecipazione alla rivoluzione russa del 1905 alla lotta contro il fascismo negli anni tra le due guerre, alla Resistenza europea, Caffi e' stato fino alla sua morte, avvenuta a Parigi nel 1955, partecipe di tutti gli eventi del secolo. In un tempo in cui l'ideologia, la retorica e la violenza avevano dominato il pensiero e l'azione politica, gli scritti e la vita di Caffi forniscono, con rara forza e coerenza, l'esempio di un radicale rifiuto delle degenerazioni cui e' andato incontro il movimento
socialista nella duplice versione del leninismo e del riformismo socialdemocratico.
Critico del totalitarismo comunista non meno che della socialdemocrazia, Caffi denuncio' le corresponsabilita' dello stalinismo e della sinistra occidentale nel declino degli ideali socialisti. Il rifiuto del bolscevismo e del totalitarismo, la critica radicale all'idea dello Stato-nazione, e una concezione per molti versi originale del socialismo libertario, hanno caratterizzato l'impegno culturale e politico di Caffi. Il suo federalismo, tuttavia, si coniugava con il riconoscimento delle identita' nazionali e con il senso del radicamento, una condizione - come diceva Simone Weil - che risponde alla necessita' di riconoscersi in un passato, nel bisogno di una identita' collettiva.
Critico degli elementi autodistruttivi del capitalismo e della cosiddetta economia di mercato, era attento - e i suoi scritti lo testimoniano -agli effetti devastanti della "meccanizzazione" del mondo contemporaneo, ai processi di desacralizzazione della societa' provocati dalla "modernizzazione", dalla cultura di massa e dalla mercificazione del prodotto culturale. La pubblicita' e i mezzi di comunicazione di massa hanno  inoltre contribuito - ripeteva Caffi - a modificare la nostra percezione, a corrompere qualita' e critica, a falsificare la realta'. La sua fu una critica radicale e ribelle della cosiddetta modernita' che lo avvicina a
Hannah Arendt e a Walter Benjamin, e che si espresse in una tenace resistenza alla dilagante rozzezza, al nichilismo e alle forze disgregatrici che minacciano l'umanita' moderna. Era un intellettuale scomodo, impermeabile a sistemi e ideologie, un inquieto demistificatore del progresso e delle contraddizioni del mondo contemporaneo.
Aveva un fortissimo senso della storia e attraverso la memoria riusciva a dare colore e immediatezza al presente, ma la sua opera, ricca di straordinarie intuizioni, di spunti di analisi, di interpretazioni originali, rimase frammentaria. Fu in un certo senso un testimone dell'impossibilita', per l'uomo del nostro tempo, di formulare un pensiero sistematico.
Caffi mette in questione stereotipi e idee fatte, solleva interrogativi imbarazzanti, pone in luce con rigore e al di la' di ogni facile astrazione o ideologia la complessita' del reale. Aron ha spiegato nell'Oppio degli intellettuali come aveva gia' dimostrato Julien Benda nel Tradimento dei chierici che l'intellettuale del nostro tempo mente o si sbaglia il piu' delle volte volontariamente, giacche' per la maggioranza degli intellettuali, degli uomini politici, degli stessi ricercatori scientifici ed economici, la parola e la ricerca servono non tanto per esprimere la verita' ma per imporre il proprio punto di vista o quello degli interessi che egli rappresenta. E per imporlo tutti i mezzi sono buoni, compresa la deformazione dei fatti, la manipolazione dei dati e le campagne di disinformazione. L'esperienza di Caffi conferma in qualche modo che nel mondo contemporaneo e' possibile restare uomini davvero liberi solo se non ci si "integra", in altre parole, solo se si e' di una coerenza eccezionale.
Caffi richiama a una considerazione severa e realistica della funzione e dei limiti della politica. Intuiva che entro le societa' tecnologiche e nei rapporti internazionali le disuguaglianze e le gerarchie stavano diventando qualcosa di sempre piu' completo. Avvertiva cioe' che i fenomeni politici della nostra epoca sono resi piu' complessi da un mutamento di scala senza precedenti, dall'interdipendenza globale dei fenomeni, dal rovesciamento - come diceva Paul Valery - nell'ordine d'importanza, d'urgenza e di valori dei problemi che la politica vorrebbe affrontare.
I suoi scritti sulla condizione operaia nella fabbrica, sullo sradicamento del proletariato industriale e delle grandi masse urbane mettono in luce che non esiste una sola cultura popolare, ma diverse culture a seconda delle tradizioni ed esperienze di vita associata, delle diverse capacita' di lavoro (operai specializzati e no), delle diverse religioni e nazioni (o etnie) di provenienza.
Caffi delinea inoltre una concezione della politica che non sia solo comando o esercizio del potere ma al contrario resistenza al comando ed educazione all'autogoverno. Sottolinea al tempo stesso l'irriducibilita' dello spirito umano alle forze brute del potere e agli automatismi dell'organizzazione del lavoro, e l'importanza del mito nelle aspettative e nei comportamenti degli uomini.
Nell'eta' dei totalitarismi e del nichilismo, il socialismo avrebbe dovuto trovare il suo terreno d'intesa piu' congeniale nel rifiuto del darwinismo sociale e nella riduzione della violenza. "Il nome del socialismo" osserva Caffi, "e' stato trascinato in tante poco edificanti peripezie (nazionalsocialismo, Mosca patria del socialismo, socialismo della Falange spagnola, della Repubblica Sociale Italiana e del regime di Vichy, senza dimenticare Noske, De Man, ecc.) che si puo' dire 'mitridatizzato' contro
ogni discredito". Diceva di sentirsi - nonostante tutte le delusioni del secolo - un socialista libertario per spirito di conservazione, intendendo per conservazione la difesa dell'uomo, della cultura e della storia.
Il suo antiprogressismo significa soprattutto rottura con il falso nuovo e rifiuto dei falsi messia. Ma c'era in lui anche qualcosa d'altro: il socialismo inteso come civilta', la piu' alta che l'umanita' avesse espresso, il convincimento che la giustizia non meno della liberta' fossero esigenze insopprimibili dello spirito umano.