PER UNA SCUOLA PUBBLICA, DEMOCRATICA E LAICA


Docenti e non docenti dell'Istituto statale Kandinsky di Milano riuniti in assemblea confermano il netto rifiuto, espresso in un precedente documento relativamente ai decreti attuativi del primo ciclo, dell' impianto complessivo della riforma Moratti.

In particolare per quanto concerne il Decreto per la secondaria superiore esprimono le seguenti valutazioni.

La riforma Moratti, nel ridisegnare l'intero sistema scolastico italiano, si innesta in un più generale processo politico-istituzionale di riduzione e di privatizzazione di servizi essenziali, in primis sanità e istruzione, e di precarizzazione del rapporto di lavoro ( Legge 30 ).

La riforma, infatti, prevede la riduzione dei servizi offerti dalla scuola e subordina istruzione e formazione ai bisogni immediati del mercato, senza

tener in alcun conto i processi economici di lunga durata che vedono nella valorizzazione della scuola, della cultura e della ricerca imprescindibili punti di forza.

Gli articoli delle leggi finanziarie degli ultimi anni, compresa l'attuale, relativi alla scuola hanno determinato e determineranno una riduzione della spesa per l'istruzione e sposteranno parte delle risorse economiche dalla scuola pubblica alla privata: riduzione del numero degli insegnanti (blocco del turnover), possibilità di affidare a privati alcuni servizi finora di pertinenza del personale ATA. In prospettiva potranno essere esternalizzati anche alcuni settori dell'attività didattica, con l'apertura a privati della quota regionale.

Il nostro Istituto, come gran parte degli istituti professionali presenti sul territorio nazionale, ha saputo finora svolgere un ruolo decisivo di promozione e di sviluppo culturale nei confronti di studenti per lo più appartenenti a ceti sociali medio-bassi;

senza tale risorsa questi adolescenti non avrebbero potuto sviluppare le loro potenzialità umane ed intellettuali e avrebbero subito un ulteriore processo di marginalità sociale.

Gli istituti professionali hanno saputo elaborare nel corso degli anni forme inedite e proficue di integrazione, collaborazione e confronto tra le discipline della cosiddetta area di equivalenza e le discipline degli specifici indirizzi, tra i momenti di preparazione e di riflessione teorica e gli stages svolti nelle aziende, favorendo negli studenti l'acquisizione di conoscenze e competenze che non ne facessero dei puri esecutori, scarsamente dotati di capacità critica e di una formazione culturale complessiva, ma persone professionalmente preparate e in grado di interagire in modo intelligente e creativo con la realtà sociale e produttiva.

Del resto i dati forniti dall'ISTAT evidenziano come agli studenti in uscita dagli istituti professionali vengano offerti interessanti sbocchi professionali: il 75,7 dei diplomati, a tre anni dal diploma, ha un'occupazione; inoltre i tassi di successo a livello universitario dimostrano che su 100 immatricolati con il diploma professionale, si laurea il 28,3 %.

Anziché valorizzare ulteriormente tale realtà scolastica che, in concreto, ha cercato di ottemperare all'articolo 3 della Costituzione, anche apportando alcune necessarie modifiche, molte delle quali già elaborate e verificate su campo da interessanti progetti sperimentali, la Legge di riforma distrugge, di fatto, la realtà positiva degli istituti professionali e degli istituti tecnici con l'introduzione del doppio canale.

Tale impianto duale, pur proclamando pari dignità tra i due sistemi,accentua in realtà la separazione tra il percorso liceale e il percorso di formazione professionale, attribuendo ad essi finalità non equivalenti.

Appare del tutto demagogica la possibilità di un passaggio dall'uno all'altro sistema, o meglio, tale passaggio potrà essere esclusivamente unidirezionale, ovvero dal liceo al professionale, dato che la riduzione drastica del monte ore teorico-culturale non permetterà certo di acquisire strumenti adeguati per il passaggio dal professionale al sistema dei licei. Quanto detto vale a maggior ragione per quel quinto anno di liceo che dovrebbero frequentare i "temerari" che volessero tentare il salto dal lavoro precoce all'università.

Quale fantasmatica ambizione!

Torneremo, invece, a una realtà che pensavamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle, perlomeno sul piano legislativo:

l'istruzione come condizione di privilegio per cui solo chi proviene da famiglie di status sociale medio-alto può accedere agli studi universitari, sia pure con qualche eccezione.

Gli "altri", gli "esclusi", gli "iniziati" al lavoro precoce (ricordiamoci che si sceglierà a 13 anni quale percorso intraprendere) saranno incanalati lungo linee educative costruite per prepararli a una vita di meri esecutori, per indurli a ragionare poco sulle cose; saranno indirizzati a un percorso di formazione nel quale è sufficiente imparare il minimo indispensabile.

Il premio finale sarà un lavoro atipico, precario, totalmente subalterno e, naturalmente, privatizzato. In tal senso denunciamo la perfetta simmetria tra la riforma Moratti e la Legge 30 che precarizza il lavoro e di conseguenza la vita delle giovani generazioni e non solo.

E' tale legge che fa la differenza tra gli anni remoti dell'Avviamento professionale e il sistema della formazione professionale previsto dalla riforma:il rapporto di lavoro era, allora, per lo più a tempo indeterminato, nel prossimo futuro sarà precario.

Parallelamente i tagli degli organici previsti ed effettuati in base alle leggi finanziarie di questi anni ( in tutti gli ordini di scuola, in particolare per gli insegnanti di sostegno e per quelli che seguivano progetti di integrazione, di mediazione culturale per gli studenti stranieri e di orientamento), l'aumento del numero di alunni per classe e la riduzione del finanziamento a progetti di prevenzione della dispersione scolastica favoriranno forme di abbandono e abbasseranno la qualità della formazione scolastica.

Denunciamo la confusa definizione delle competenze regionali che potrebbe portare non solo a un'eccessiva frammentazione del sistema scolastico nazionale , ma adombra il rischio di condizionamenti ideologici e l'influenza delle diverse condizioni socio-economiche delle regioni italiane.

Il sistema dei crediti ("esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage professionali e dei servizi") previsto dalla Riforma conferma, a nostro giudizio, la volontà del Governo di non reputare più un suo obbligo garantire un sistema scolastico con percorsi almeno in parte unitari, anzi lo stato può tranquillamente essere surrogato da altri enti, quali scuole private e aziende, nel compito di soddisfare la domanda d'istruzione del paese.

Siamo d'accordo con quanti hanno evidenziato che nella Riforma si introducono finalità dubbie sul piano costituzionale, infatti la formazione pubblica deve ispirarsi ai principi costituzionali, prioritariamente, non "anche", come è scritto nel testo. Siamo convinti che i principi fondativi della nostra Costituzione, che ha visto in essa confluire tre filosofie costitutive: la liberale, la cattolica e la marxista,come ha scritto uno dei padri fondatori della nostra democrazia, don Giuseppe Dossetti, non abbiano bisogno di ulteriori aggettivi, quali "morale" e "spirituale", che si prestano a dubbie e fuorvianti interpretazioni.

Sottolineiamo infine che i recenti dati della Ricerca OCSE Pisa 2003 dimostrano che gli studenti che ottengono risultati migliori vengono da paesi ( Finlandia, Giappone, Svezia .) che hanno un sistema scolastico unitario fino a 18 anni.

Siamo pertanto convinti della necessità di un sistema statale unitario almeno fino ai 16 anni, se vogliamo essere competitivi con i paesi più sviluppati.

Ancora oggi , nella fascia d'età 25-34 anni, abbiamo solo il 57% di diplomati, mentre la media OCSE è del 74%.