DISTRUZIONE SUPERIORE
“Dove è l’indirizzo sportivo? A noi gli ispettori ministeriali ci avevano suggerito di sperimentare l’indirizzo sportivo, che sarebbe stata una chance vincente.” Questa è la domanda che mi sono sentito fare in una delle numerose assemblee illustrative del decreto sulla “riforma” della secondaria superiore che ormai da un mese vado tenendo un po’ ovunque. E’ una domanda che in sé contiene tutti gli elementi del clima un po’ disorientato che si respira nelle scuole. Le notizie su questo pezzo di “riforma” sono piombate sulle scuole superiori all’improvviso svegliandole da un torpore un po’ ovattato in cui le avevano tenute i silenzi e i segreti ministeriali.
Sarebbe arrivata alle superiori, la “riforma”? Improbabile! Troppe complicazioni (gli indirizzi, le discipline, le classi di concorso, insegnanti troppo diversi), troppo tempo! Era diffusa l’idea che lì l’attuazione avrebbe sforato i tempi della delega o quelli della legislatura. Idee non peregrine. Infatti sulla delega, che scadeva ad aprile, la Moratti ha dovuto chiedere la proroga e l’attuazione partirà dal settembre 2006, tre o quattro mesi dopo le elezioni. Ma, ahinoi, le iscrizioni dovranno comunque avvenire tre o quattro mesi prima. Una bella gatta da pelare comunque, anche se, come tutti nella scuola sembrano auspicare, ci dovesse essere un ribaltone.
C’erano sì elementi che deponevano per una conclusione dell’iter anche in quel ciclo di scuola e che qualche allarme lo avevano sollevato. Il decreto 212 del 2002, varato sei mesi prima della legge 53, che sostanzialmente dispone la licenziabilità dei soprannumerari, aveva mosso soprattutto gli insegnanti tecnico-pratici di laboratorio. La notizia del passaggio dei professionali alle regioni e poi l’avvio di corsi integrati con la formazione professionale regionale e convenzionata, vero e proprio regalo a queste ultime dell’utenza derivata dalla retrocessione da 15 a 14 anni dell’obbligo scolastico, aveva aperto polemiche nel settore. Il rischio che la stessa fine la facessero i tecnici, di fronte a un liceo tecnologico dove si sarebbe declinato rosa-rosae ma dal quale era bandito il cacciavite, aveva mosso gli Itis. La colmatura a 18 ore di tutte le cattedre aveva prefigurato il fatto che neppure i licei tradizionali l’avrebbero passata liscia. Ed infine tre anni di mancate nomine in ruolo e l’esiguità delle ultime immissioni, con un precariato arrivato a uno su otto tra gli insegnanti e due su cinque tra bidelli, tecnici e amministrativi, avrebbe dovuto suonar l’allarme non di un risparmio occasionale, ma di una dismissione generalizzata prossima ventura.
Ma si erano prontamente mossi emissari ministeriali che suggerivano a questi o a quelli soluzioni “rassicuranti”. Fate questa o quella sperimentazione! Non importa quale: da quelle più tradizionali a quelle più stravaganti. Naturalmente meglio chiamarle con nomi che richiamassero la riforma. Complice la maggior parte dei dirigenti scolastici, non importava neppure che fossero contraddittorie. Non volete finire alla regione? Sperimentate un liceo! Avete paura di perdere alunni? Sperimentate l’integrazione con la formazione professionale regionale!
Ancora pochi mesi fa tutte le scuole della Toscana erano state mobilitate su un’ipotesi di liceo economico, che orecchiava notizie filtrate dalla commissione che preparava gli OSA ( i programmi, per parlare come si mangia): se non che all’ultimo momento questi sono stati cambiati e quella sperimentazione non c’entra più niente con la “riforma”.
E poi l’eccellenza. C’era persino chi, vantando la complicità di qualche parlamentare in cerca di preferenze, prometteva percorsi di eccellenza ipotizzando un improbabile futuro fatto di camerieri eccellenti e di elettronici praticoni!
E si era mossa anche Confindustria. Incapace di dire che la riforma non andava bene ( in fondo,chi ce l’ha messa la Moratti lì?), si rendeva però conto che questa prefigurava uno smantellamento di tutto il fronte tecnico-professionale, coevo simbolico della seconda industrializzazione nazionale. E allora ecco la mediazione: salvare i tecnici e mandare a ramengo i professionali, i primi diventino licei tecnologici, i secondi al massimo delle dependances regionali dei secondi. Si chiamavano Poli Tecnologici per Confindustria. Il ministero ha ripreso l’idea: li chiama Campus. Praticamente in base a questa idea gli insegnanti di tecnica ridotti al lumicino nei nuovi licei passerebbero alle regioni per essere poi associati ai nuovi licei come insegnanti professionali in corsi professionali che surrogherebbero la povertà tecnologica del liceo che porta lo stesso nome.
Insomma: se la madre dei cretini è sempre incinta, al Ministero l’ufficio complicazione affari semplici è sempre all’opera. Ma la cosa non funzionerà comunque: il settore professionale prevede un orario di 30 ore ma di queste il 25% saranno facoltative e almeno un altro 25% saranno on the job. Insomma appena 15 ore di scuola ( alla faccia della pari dignità con i licei che ne fanno il doppio) e siccome nei primi due anni bisogna insegnare anche lettere, lingue, matematica e scienze per insegnamenti e insegnanti tecnici sia teorici che pratici non ci sarà in ogni caso molto spazio. Ma non saranno gli unici a scomparire o a ridursi: toccherà anche a quelli di diritto, di matematica applicata, di educazione fisica, di lettere, di economia aziendale, di trattamento testi e di inglese ( ma non doveva essere la scuola delle tre I ?!).
Tra dismissioni e passaggi alle regioni il Ministero in cinque anni si scaricherà di un numero di docenti variabile tra gli 89.000 e i 104.000 e di circa 30.000 non-docenti. Per attutire l’urto farà conto sulla mancata riassunzione dei 47.000 precari della secondaria e sul pensionamento di circa 50.000 insegnanti di ruolo
Il fatto è che le alchimie tra orari obbligatori, opzionali e facoltativi ( a cui si aggiungeranno le opzioni dell’autonomia scolastica e quelle regionali-dialettali) non possono nascondere il crollo della scolarità, per non dire la dissoluzione di interi ordini scolastici, come il professionale. Dalle stelle alle stalle: dopo aver avuto per anni l’istruzione professionale più pesante (40 ore), i ragazzi italiani saranno gli unici in Europa a non avere una istruzione professionale a tempo pieno. E al genitore che tra un anno chiederà che scuola dovrà fare suo figlio per diventare geometra, nessuno è in grado di rispondere. I docenti faticano a capire come i vecchi indirizzi scolastici si ricalibreranno sui nuovi. Il Ministero, coinvolto in polemiche dentro la stessa maggioranza, balbetta che si tratta di una bozza, che i tempi chiariranno. Ma, niente paura: gli emissari del Ministero sono già in giro a proporre sperimentazioni anticipatrici che, a loro dire, salveranno tutti!
PINO PATRONCINI
17 febbraio 2005