La Corte Costituzionale con la sua sentenza n. 13, depositata il 13/01/2004,
interviene sul contenzioso fra Lo Stato e Regione Emilia Romagna, che ha impugnato
i commi 3 e 4 dell’art.22 della Legge finanziaria del 2001 (n. 448).
La Corte ha dichiarato l’illegittimità della Legge “nella
parte in cui non prevede che la competenza del dirigente scolastico regionale
venga meno quando le Regioni, attribuiscano a propri organi la definizione delle
dotazioni organiche del personale docente.”
La Corte afferma che, in base alla riforma costituzionale del Titolo V, la ripartizione
del numero dei posti a livello regionale spetta alle Regioni e non agli Uffici
scolastici regionali, articolazione del Ministero dell’Istruzione.
Nel contempo la Corte specifica che tale competenza, pur legittima, si potrà
esplicitare compiutamente solo quando “le singole Regioni si saranno dotate
di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo…” in modo
da “evitare soluzioni di continuità del servizio”, visto
che “alla erogazione del servizio scolastico sono collegati diritti fondamentali
della persona”.
La stessa Corte ha respinto come manifestamente infondata la questione sollevata
dalla Regione sulla legittimità costituzionale del comma 4 dell’art.
22 della L. 448/2001, che interviene sull’orario di lavoro dei docenti.
La sentenza non mette in discussione, anche perché non impugnata, l’assoluta
competenza statale sui principi generali dell’istruzione e quindi sulla
legislazione ordinamentale, sulla gestione del personale e sulla determinazione
nazionale del numero dei docenti ( di cui ai commi 1 e 2 della L. 448).
La regione Emilia Romagna ha dato della sentenza un’interpretazione “rivoluzionaria”
con diverse prese di posizione, che di volta in volta accreditavano a se stessa
competenze esclusive sulla gestione del personale, sulla definizione degli indirizzi
didattici e di una parte dei programmi, ecc…
L’interpretazione forzata della sentenza da parte della Regione induce
a due importanti riflessioni:
1) la sentenza riconferma che il numero degli insegnanti in servizio nelle singole
regioni è fissato centralmente e che la Regione può solo intervenire
sulla distribuzione degli stessi; per cui se volesse assegnare più insegnanti
al tempo pieno dovrebbe toglierli dal sostegno o da altri settori. L’unica
competenza che la Regione può esercitare riguarda il tempo di permanenza
a scuola. E infatti l’Assessore Bastico rivendica la decisione sul numero
di ore di mensa degli alunni. In tal modo la Regione sostiene proprio la tesi
della Moratti che il “tempo pieno” non sia un modello pedagogico
comunitario, ma solo un servizio di 40 ore, di cui una parte riservata alla
mensa.
2) l’enfasi posta sull’aumento delle competenze in materia di istruzione
evidenzia l’ambizione regionale di direzione ed indirizzo delle politiche
scolastiche. Addirittura la Regione sostiene che lo Stato dovrebbe limitarsi
a definire minimi e massimi orari dei diversi indirizzi e corsi e che spetterà
alle singole Regioni gestire le ore oltre il minimo. Tale posizione appare in
evidente sintonia con chi si batte per una competenza esclusiva di gestione
delle Regioni in ambito scolastico. In tal modo si favorisce la creazione di
tanti sistemi scolastici regionali e la dissoluzione del sistema scolastico
nazionale.
Occorrerà aprire un dibattito serio sulla questione del regionalismo
scolastico.
La recente indagine dell’OCSE PISA ha evidenziato che gli studenti di
tutti i paesi a gestione regionale ( ad esempio la Germania) ottengono risultati
scarsi e soprattutto molto diversificati, a seconda della provenienza sociale
degli alunni.
Il grande merito della scuola italiana è proprio quello di essere di
tutti e per tutti, una scuola nella quale lo scarto nei risultati fra gli studenti
migliori e peggiori é sotto la media dei paesi più sviluppati.
Il tempo pieno è uno dei fiori all’occhiello della scuola italiana:
un modello significativo di integrazione sociale e culturale proprio perché
permette lo sviluppo dell’apprendimento con tempi distesi e si rivolge
anche a fasce sociali di basso livello culturale di partenza.
Per i bambini provenienti da un ambiente poco acculturato è più
difficile raggiungere certi livelli di apprendimento. Il movimento di lotta
in difesa del tempo pieno è consapevole di difendere non solo un modello
di scuola, ma di società.
Questo movimento vuole affermare il modello del tempo pieno in tutta Italia,
non solo in alcune regioni.
Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione