La proposta di legge dell’Emilia Romagna sull’istruzione: applicazione della Legge Moratti o "devolution" ?
Agli inizi di maggio inizierà la discussione in Commissione e poi in aula della legge di proposta della Giunta, che applica la riforma del Titolo V della Costituzione nell’ambito dell’istruzione.
La legge si propone da una parte di costruire un approccio alternativo alla "devolution" del centro destra e dall’altra di "correggere" gli effetti negativi della Riforma Moratti.
Il centro destra sta sviluppando un attacco "eversivo" e definitivo alla nostra Costituzione per smantellarne l’impianto ugualitario e di tutela dei diritti primari.
Si vuole togliere ai giovani provenienti dai ceti più deboli la possibilità di accedere ad un’istruzione di qualità e di promuovere la propria condizione sociale ed economica, in contrasto con l’art. 3, per orientarli precocemente verso l’addestramento professionale.
Il Governo e la maggioranza delle Regioni vogliono passare alle Regioni parte dei programmi e tutta l’istruzione tecnica e professionale, mettendo in discussione il principio costituzionale che assegna alla Repubblica il compito di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Si prefigura un sistema incostituzionale in cui la scuola di qualità e statale è garantita solo ai ceti medio alti, mentre agli altri viene offerto un sistema integrato locale basato su una formazione essenzialmente professionale orientata dal mondo delle imprese.
Occorre giudicare se la nuova legge sia capace di contrastare tali processi.
Sulla questione federalista la Regione Emilia Romagna non punta ad una battaglia politica perché venga definito almeno il quadro entro il quale le singole Regioni possono intervenire sull’istruzione attraverso la definizione consensuale fra Stato e Regioni delle prestazioni essenziali e delle norme generali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in base ai commi m) e n) del nuovo art. 117.
Essa interviene in modo unilaterale utilizzando al massimo le nuove competenze assegnatele dalla revisione costituzionale del Titolo V. In tal modo rischia di invadere le competenze dello Stato introducendo nuovi indirizzi (biennio integrato fra istruzione e formazione), istituendo organi di governo del sistema che si sovrappongono agli organi collegiali statali, prefigurando un modello gestionale simile a quello in campo sanitario.
Per quanto riguarda il tema della alternatività alla Riforma Moratti occorre rilevare che il progetto è stato pubblicato dopo l’approvazione definitiva della L. 53/2003. Si afferma nella relazione di accompagnamento che il progetto si propone di attuare la riforma con alcuni correttivi.
Effettivamente la linea strategica della legge regionale accetta il terreno imposto dal centro destra, cioè quello di trasformare la scuola da luogo privilegiato e libero di formazione del cittadino a strumento di "addestramento al lavoro" al servizio delle esigenze delle famiglie e del settore produttivo.
La legge non si propone di rafforzare il modello costituzionale, migliorando la sua efficienza.
Intende modificare il modello ugualitario e nazionale, per introdurre il principio della differenziazione dell’offerta e quindi dei risultati, a livello locale.
Poggia il suo intervento su un giudizio negativo sui risultati della scuola della Repubblica.
In realtà i recenti dati OCSE dimostrano che il sistema scolastico italiano è stato capace di assolvere positivamente al suo compito di innalzare il livello culturale e del paese ( ad esempio ha triplicato in trenta anni il numero dei diplomati), di contrastare la differenziazione sociale e di favorire la mobilità sociale dei ceti più disagiati.
I risultati ottenuti invece nei tests dell’Ocse dagli studenti di tutti i paesi con un sistema scolastico differenziato e localistico ( Germania, Belgio, Svizzera, U.S.A.) mostrano una forbice preoccupante fra le conoscenze dei migliori e i peggiori e una pesante penalizzazione degli studenti provenienti da famiglie di bassa condizione economico sociale.
La legge pone al suo centro il tema dell’integrazione fra istruzione e formazione professionale, senza venire incontro alla spinta sociale verso un maggiore livello di istruzione e ripropone il problema del rapporto fra sapere e saper fare nei soli termini, arretrati, di una integrazione fra istruzione e formazione professionale.
Ritiene erroneamente finito il tempo dell’alfabetizzazione in un paese dove il numero dei diplomati (57 % CONTRO 74% nella fascia d’età 25-34) e laureati è ancora nettamente più basso di quello europeo.
La legge ratifica il modello del sistema integrato pubblico privato sia in campo scolastico, che in quello del forzoso obbligo ad un rapporto fra istituzione scolastiche e Enti di formazione professionale, caratterizzati da finalità e modelli organizzativi contrastanti.
Non sarà certo il neo dirigismo regionale in ambito scolastico, che saprà contrastare il centralismo morattiano, ma solo un nuovo protagonismo della scuola italiana e regionale.
Noi proponiamo al Consiglio regionale di emanare una vera legge di svolta: una legge che ponga a suo fondamento gli articoli 3, 33, 34 della Costituzione, che persegua l’obiettivo dell’integrazione sociale contro le politiche liberiste, che investa risorse a favore delle scuole pubbliche statali, a partire da quelle dell’infanzia, che rilanci la funzione del tempo pieno, per proporre loro la costruzione di un progetto di rinnovamento e rilancio del sistema scolastico nazionale, capace di portare l’80% dei giovani al diploma in linea con i paesi più sviluppati.
Solo così la legge regionale potrà diventare un punto di riferimento e di sostegno per gli operatori, per gli studenti e per i genitori della scuola pubblica, che tutti credono nel ruolo costituzionale della scuola della Repubblica.
Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione