Sono sempre più frequenti le dichiarazioni del Presidente della Regione
Emilia Romagna e dell'Assessore all'istruzione sulla imminenza di un nuovo provvedimento
legislativo in campo scolastico (sarebbe il quinto in 7 anni), che dovrebbe
essere approvato, a scuole chiuse, entro l'estate.
L'intenzione dichiarata è quella di utilizzare la competenza legislativa
concorrente in materia di istruzione assegnata alle Regioni dalla revisione
costituzionale del titolo V per contrastare la riforma scolastica del nuovo
Governo.
In realtà la bozza di lavoro della legge, il cui titolo è: "Sistema
regionale integrato dell'istruzione, formazione, orientamento, transizione al
lavoro e per la tutela e sicurezza del lavoro", ha, fra gli altri, i seguenti
obiettivi:
1) realizzare "percorsi formativi
.adeguati alla domanda delle famiglie;
2) "sostenere la progettazione di innovazioni riguardanti gli ordinamenti
degli studi;
3) intervenire "sull'esercizio dell'autonomia gestionale e organizzativa
e sulle interazioni fra le Istituzioni scolastiche e il territorio";
4) istituire "un organo di governo del sistema regionale integrato di cui
farebbero parte il Direttore scolastico regionale e x rappresentanti delle Istituzioni
scolastiche autonome, nominati dallo stesso";
5) intervenire sull'aggiornamento dei docenti della scuola statale in particolare
sulle modalità gestionali e organizzative.
Tanti altri punti dimostrano il tentativo della Regione E. R., tentativo non
nuovo e peraltro già respinto nel 1999 dal Governo D'Alema, di invadere
le competenze statali nel campo dell'istruzione.
Ma il fatto più preoccupante del provvedimento è il suo stesso
impianto.
La Regione vede prevalente, per la scuola, la finalità di avviamento
al lavoro, rispetto a quella della formazione del cittadino, che la Costituzione
assegna al sistema dell'istruzione statale.
Intende la scuola come un servizio che deve rispondere alla domanda dell'utenza
e non un Istituzione della Repubblica. In tal senso intende istituire un sistema
regionale misto pubblico privato.
Fonda il suo intervento sulle modalità organizzative e gestionali degli
istituti, secondo la tipica logica aziendale.
Non riconosce nei fatti l'autonomia del sistema scolastico sancita dalla Costituzione
"Le arti e le scienze sono libere e libero ne è l'insegnamento"
(art. 33, comma1) e dal comma 1 dell'art. 21 della Legge 59, oltre che dal nuovo
art. 117, ma solo la relativa autonomia delle singole scuole, che vengono messe
sotto tutela, indirizzate nelle sperimentazioni, condizionate nell'aggiornamento.
La Regione non riconosce la rappresentatività degli organi elettivi di
autogoverno del sistema scolastico, sia a livello territoriale, che a livello
di Istituto, arrogandosi il potere di nominare organi di rappresentanza del
sistema scolastico statale.
La Regione in sintesi ripropone la linea della frammentazione regionalistica
del sistema scolastico, già proposta nel 1999 con la famosa Legge "Rivola".
Appare estremamente preoccupante che la Giunta regionale stia ripercorrendo
la strada infausta già intrapresa allora; lavora in gran segreto per
preparare un testo da approvare entro l'estate, senza coinvolgere nella discussione
il mondo della scuola. Il movimento in atto in regione, che ha visto un momento
estremamente significativo nella manifestazione delle scuole dei 10.000 di Bologna
del 25 maggio, vuole essere protagonista di ogni intervento: come non accetta
la Legge delega del Governo così non accetterà alcuna delega in
campo scolastico alla Regione.
Appare poi frutto di arroganza e disprezzo per la volontà popolare avere
approvato il 25 luglio scorso una legge per evitare il referendum che intendeva
abrogare l'istituzione del sistema integrato e venirsene fuori dopo un anno
con una nuova legge che addirittura rende istituzionale tale sistema e che fa
diretto riferimento alla Legge di parità per giustificare questo.
E' inaccettabile ogni forzatura istituzionale in campo scolastico: la scuola
è una Istituzione centrale nel nostro ordinamento costituzionale. La
Costituzione assegna con chiarezza il compito di istituire e gestire il sistema
scolastico allo Stato nella consapevolezza che solo lo Stato possa garantire
a tutti i cittadini un'offerta scolastica uguale, finalizzata alla formazione
del cittadino, laica e pluralista.
L'art. 33 della Costituzione afferma: "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi."
Il nuovo art. 117 deve quindi essere interpretato alla luce del 33, che non
consente interventi sussidiari sia alle Regioni, sia ai privati.
Non c'è dubbio che la riforma del titolo V presenti lacune e ambiguità;
un minimo di senso di responsabilità istituzionale dovrebbe indurre la
Regione ad evitare di innescare un conflitto istituzionale fra Regioni e Parlamento
nazionale, che si aggiungerebbe a quelli già in atto fra Governo, Magistratura,
Polizia.
Non si può piegare alle necessità politiche la funzione delle
Istituzioni: la battaglia contro la riforma scolastica Moratti deve essere condotta
dal movimento delle scuole, dai sindacati e dai Partiti, non può essere
condotta dalle Regioni o dagli Enti locali.
In ogni caso ogni intervento regionale prima che il Parlamento italiano, nella
sua sovranità, definisca "i livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale" e le "norme generali sull'istruzione",
come previsto dai commi m) e n) del nuovo art. 117, ha carattere provvisorio
e sarebbe soggetto a revisioni dopo l'approvazione dei suddetti punti.
L'effetto che la legge dell'Emilia Romagna avrebbe a livello nazionale sarebbe
devastante: le Regioni del Nord avrebbero via libera ad intervenire anch'esse,
si aprirebbe un conflitto difficilmente governabile fra Governo e Regioni, già
paventato dal Presidente della Corte Costituzionale, il cui ruolo non a caso
viene messo in discussione dalla Lega.
Ciò che la Regione darebbe in cambio alla scuola emiliana (il 20% del
curriculum, che la legge delega darebbe alle Regioni) non interessa le scuole:
queste non vogliono tanti sistemi scolastici, ma uno solo per quanto riguarda
le finalità e gli ordinamenti.
In ogni caso c'è una condizione essenziale: ogni ipotesi di cambiamento
deve essere discussa preliminarmente ed approvata dalle Istituzioni scolastiche
autonome, non imposto già confezionato dall'alto.
La domanda che sorge immediata è se la Giunta regionale si renda conto
di ciò che fa.
Se è si sappia che si riaprirà lo scontro con il mondo della scuola
e con la maggioranza dei cittadini che ha già portato nel 2000 alla sottoscrizione
da parte di 60.000 elettori del referendum per l'abrogazione della Legge Rivola.
E' già in corso la raccolta di firme per il referendum abrogativo del
sistema integrato nazionale, derivante dalla Legge n. 62 (di parità),
alla quale la nuova legge si richiama: la grande quantità di cittadini
che sta sottoscrivendo conferma la volontà popolare di una scuola pubblica
statale di qualità, non di surrogati regionali.
Se la Regione continua nella sua politica sappia che questa volta non ci faremo
scippare il diritto costituzionale al pronunciamento popolare. Dopo il referendum
nazionale faremo anche quello regionale.
Il futuro della scuola pubblica statale e del modello di società che
rappresenta è cosa troppo importante per essere messa in discussione
da un uso strumentale e ideologico del tema.
Come alla Moratti anche ad Errani la comunità scolastica dice: giù
le mani dalla Scuola della Repubblica.
Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione