Verso la regionalizzazione del sistema di istruzione

(controllo regionale dei libri di testo, buoni scuola e altro)

La recente sortita del Consiglio regionale del Lazio, che ha approvato un o.d.g. che impegna la Giunta a promuovere una Commissione di controllo sui libri di testo in adozione nelle scuole, la delibera applicativa di quella che lo stesso Formigoni chiama la "Legge di parità della Lombardia", gli annunci di analoghe iniziative da parte di altre regioni, la stessa Legge di parità dell’Emilia Romagna, che ha fatto da apripista per tutte, il mancato sviluppo del processo di autonomia del sistema scolastico in favore dell’autonomia fragile delle singole scuole, aprono nuovi scenari nei quali le singole regioni e gli enti locali assumeranno poteri diretti di controllo e indirizzo culturale delle scuole.

Con la legge n. 59/97 (detta Legge Bassanini) vengono introdotti nella legislazione italiana alcuni principi che cambiano radicalmente il rapporto fra governo centrale e periferia.

Il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali avviene in base al principio di "sussidiarietà" inteso come "attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle provincie e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali… ".

Il Decreto legislativo 112/98 emanato in attuazione della legge afferma che restano allo Stato "i compiti e le funzioni concernenti i criteri e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica,…le funzioni di valutazione del sistema, le funzioni relative alla determinazione e all’assegnazione delle risorse finanziarie e del personale".

L’art. 138 del decreto assegna alle Regioni fra le altre le seguenti funzioni:

  1. la programmazione dell’offerta formativa integrata fra istruzione e formazione professionale e della rete scolastica;
  2. i contributi alle scuole non statali.
L’art. 139 affida alle provincie per la scuola superiore e ai comuni per gli altri ordini di scuola i compiti e le funzioni riguardanti fra l’altro:
  1. istituzione, aggregazione e fusione delle scuole;
  2. la costituzione e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali territoriali;
I comuni esercitano in particolare interventi sull’orientamento, educazione degli adulti, continuità, prevenzione della dispersione, pari opportunità…

E’ in via di approvazione il decreto di riforma del Ministero della Pubblica istruzione, che introduce gli Uffici dirigenziali regionali ai quali competono le funzioni in materia di reclutamento e mobilità del personale e di assegnazione delle risorse finanziarie e di personale alle istituzioni scolastiche.

E’ stata approvata in prima lettura alla Camera la legge di revisione costituzionale degli artt. 117 e seguenti della Costituzione che ridefinisce le competenze delle Regioni, Provincie e Comuni.

La maggioranza di governo ha approvato un testo che mantiene allo Stato una competenza legislativa limitata alla "determinazione dei principi fondamentali" e demanda alle Regioni ogni altra competenza legislativa in materia e l’esclusiva competenza regolamentare ed amministrativa.

In sostanza lo Stato avrebbe una competenza limitata alla definizione delle linee generali dell’ordinamento scolastico; tutti gli aspetti specifici e soprattutto i curricoli, l’organizzazione, la gestione del personale saranno a carico delle Regioni, che potranno poi delegare a loro volta agli Enti locali.

Il processo in corso, partito come semplice decentramento amministrativo, motivato dalla necessità della semplificazione e dello spostamento delle decisioni amministrative ad un livello più vicino possibile ai cittadini, sta diventando un vero e proprio decentramento di funzioni fondamentali e quindi la ridefinizione dell’assetto del sistema a livello locale.

La Costituzione assegna allo Stato il compito di definire le politiche sull’istruzione: la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i gradi." (art. 33, comma 2)

Tale scelta dei costituenti deriva da una concezione della scuola come "organo costituzionale", secondo la felice definizione di Pietro Calamandrei, che le affida un compito primario ed autonomo nel dare attuazione all’art. 3 della Costituzione: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

Non si può negare che l’autonomia riconosciuta alla scuola dalla Costituzione e dai Decreti delegati ha permesso in questi decenni il raggiungimento di importanti risultati.

Basti pensare alla crescita della percentuale di diplomati (il 70%) che ci pone ormai al livello degli altri paesi europei o al tasso di scolarità femminile che è diventato addirittura più alto di quello maschile.

In ogni caso ciò di cui la scuola aveva bisogno era un rafforzamento di tale autonomia "politica" nel senso della liberazione delle scuole dai vincoli amministrativo burocratici, che in questi 50 anni hanno ostacolato nei fatti l’affermarsi di una capacità di autogoverno del sistema scolastico al di fuori di ogni condizionamento.

Si sta costruendo un modello in cui il potere di controllo e di governo si rafforza e passa all’amministrazione regionale e locale.

Da una parte è stato introdotto un rapporto gerarchico nelle scuole affidando al Dirigente rilevanti compiti quali la "direzione, il coordinamento e la valorizzazione del personale" e la "gestione delle risorse".

Dall’altra il Dirigente è individuato come l’unico soggetto "responsabile dei risultati" e sottoposto al controllo dell’Amministrazione scolastica a livello regionale. Se il Dirigente scolastico regionale verrà nominato dalle Regioni, il controllo del sistema scolastico passerà sotto il controllo politico regionale.

E’ stato ridotto ampiamente il potere di governo e controllo degli organi collegiali.

Il potere di scioglimento degli organi collegiali a livello territoriale è affidato alle Provincie e ai Comuni. Gli Istituti scolastici non hanno più organi di rappresentanza a livello di sistema, visto che vengono ridotti ulteriormente i poteri dei Consigli provinciali e del C. N. P.I. ai quali viene tolto il potere vincolante in materia di provvedimenti disciplinari per il personale, che possedevano in analogia al Consiglio superiore della Magistratura.

E’ significativo poi che l’unico "pezzo" della riforma che manca è proprio quello relativo ai nuovi compiti degli organi collegiali d’Istituto.

Negli ultimi anni si è andato affermando un nuovo protagonismo che ha coinvolto tutte le Regioni, indipendentemente dalle maggioranze che le governano.

La Regione Emilia Romagna è stata una delle prime ad intervenire e già alla fine del 1998 ha dapprima approvato la sua legge sul federalismo, che estende le proprie competenze in materia di formazione professionale (ex art. 117 della Costituzione) definendo un nuovo sistema pubblico integrato nel quale istruzione e formazione vengono considerate unica materia.

La successiva legge sul diritto allo studio è una "legge di parità regionale", avente il compito di estendere a tutto il sistema scolastico la pratica del sistema integrato in vigore già dal 1995 per la scuola dell’infanzia.

La Regione si è assunta il compito di definire quali siano i soggetti che fanno parte del sistema integrato e i requisiti a cui debbano adeguarsi le scuole non statali che ne vogliano far parte.

La Regione si accredita le funzioni di "programmazione, indirizzo, coordinamento, sperimentazione, valutazione e controllo" in senso lato, comprendendo materie come la sperimentazione scolastica e gli interventi sull’istruzione all’interno del sistema integrato.

Intervenire a livello regionale su istruzione e formazione significa passare da una idea di scuola funzione, che forma il cittadino indipendentemente dal luogo ove ciò avviene, a quella di un servizio pubblico, che viene erogato in funzione dei benefici immediati al sistema produttivo del territorio ed è vincolato da problemi di redditività.

In tal senso l’intervento privato viene visto come capace da una parte di rompere l’autonomia del sistema scolastico, dall’altro di introdurre il criterio della competitività aziendale al fine di ridurre i vincoli di spesa.

Viene superato il principio della gratuità, che per i costituenti era considerato garanzia di uguaglianza, per introdurre il criterio dell’aiuto ai bisognosi.

La legge prevede il rimborso delle spese di iscrizione e frequenza a tutte le scuole statali o non statali.

La grande mobilitazione che si sviluppò in regione e a livello nazionale contro quella che gli stessi estensori hanno chiamato "legge apripista" e che culminò nella manifestazione dei 50.000 del 17 febbraio 1999, costrinse il Governo al rinvio della legge al Consiglio regionale, che attenuò la portata della legge per quanto riguarda l’introduzione del sistema integrato, ma confermò i finanziamenti diretti ed indiretti alle scuole private.

L’applicazione della legge per il primo anno ha comportato l’erogazione di oltre 5 miliardi alle scuole materne private, portando il contributo pubblico (da parte dello Stato, della Regione e dei Comuni) a oltre 30 miliardi all’anno,( 26 milioni per classe) e di 6 miliardi in assegni di studio agli alunni delle scuole superiori pubbliche e private con reddito famigliare entro i 50 milioni netti.

In media ogni alunno interessato della scuola privata ha ricevuto quasi 2 milioni, ogni alunno della pubblica solo 800.000 lire. Ciò che è più grave è che oltre 10.000 alunni delle scuole pubbliche con reddito famigliare sotto i 30 milioni non hanno ricevuto alcun contributo: avevano speso troppo poco per avere rimborsi.

La strada intrapresa dall’Emilia è stata seguita da molte altre regioni, soprattutto del Nord.

In primis dalla Lombardia che ha introdotto sia il finanziamento diretto alle materne che il cosiddetto "buono scuola", cioè gli assegni di studio emiliani riveduti e corretti.

La legge lombarda, prevedendo una franchigia alle spese rimborsate ed aumentando i livelli di reddito coinvolti, riesce ad erogare oltre 90 miliardi a favore degli studenti del privato contro i 12 degli studenti pubblici.

I conflitti di competenza Stato Regioni

Il rinvio in prima istanza, da parte del Governo, prima delle due leggi dell’Emilia e della Lombardia e ora della legge del Veneto sul referendum federalista, il ricorso della Lombardia contro la legge nazionale di "parità", il doppio rinvio alla Corte Costituzionale della legge regionale del 1995 da parte TAR dell’Emilia Romagna, che ha sollevato il dubbio di costituzionalità dei finanziamenti regionali diretti alle scuole materne private, il recente rinvio alla Corte della delibera attuativa della Legge lombarda, evidenziano la delicatezza istituzionale del momento politico che stiamo vivendo. Stato e Regioni, stanno combattendo una delicata battaglia di potere, innescata da una serie di provvedimenti legislativi perlomeno incauti e tendenti al superamento o all’aggiramento del dettato costituzionale.

Al di là della propaganda politica la differenza fra l’impostazione del centro sinistra e del centro destra non sta tanto nell’ipotesi del decentramento del livello di controllo del sistema scolastico, quanto nell’accentuazione del ruolo del privato.

Mentre nel centrosinistra sono presenti posizioni localistiche che pensano esplicitamente di mettere a carico degli Enti locali la gestione delle scuole, nel centro destra prevale l’idea di massima deregulation a favore dell’intervento privato.

E’ prevalente in entrambi gli schieramenti l’opposizione ad ogni idea di reale autonomia scolastica, che viene bollata come autoreferenzialità e la volontà di introdurre anche nella scuola elementi di mercato.

L’introduzione del principio della competitività ideologica ed economica fra le scuole apre la strada ad una scuola condizionata nelle sue scelte formative dalla necessità di reperire risorse o dalle famiglie, caratterizzandosi come prolungamento localistico del controllo educativo dei genitori sui giovani, o dal mercato, facendo condizionare le scelte dei contenuti e dei metodi dalle necessità delle imprese presenti nel territorio o comunque dalla mediazione di tali esigenze prodotta dal potere politico locale.

In questo quadro la decisione del Consiglio regionale del Lazio non è valutare solo nei termini di un tentativo di rivincita ideologica degli eredi del fascismo, ma come un atto tendente a mettere sotto controllo le scuole pubbliche e la libertà di insegnamento, quindi a colpire al cuore l’art. 33 della Costituzione. D’altra parte esperienze di questo tipo si sono in qualche modo già diffuse negli Stati Uniti, dove molti stati hanno Commissioni sui libri di testo e anche in Spagna.

Contro tale deriva è possibile reagire ridando spazio e fiato al protagonismo della società civile e del personale della scuola.

L’esperienza di questi due anni in Emilia Romagna dove tanti Comitati di cittadini hanno saputo essere di riferimento per la raccolta di oltre 60.000 firme (ne bastavano 40.000) necessarie per ottenere l’indizione del referendum abrogativo delle parti della legge regionale che producono finanziamenti diretti ed indiretti alle scuole private, dimostra che la sensibilità dei cittadini e la volontà di intervenire direttamente sul tema della scuola è alta.

Il referendum emiliano che si terrà entro il 2001, le mobilitazioni che si stanno sviluppando in Lombardia e in Lazio, fanno sperare che si possa creare un movimento capace di invertire la politica degli interventi in materia di istruzione.

Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione

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