da:
Tullio De Mauro La cultura degli italiani
a cura di Francesco Erbani,
Editori Laterza
D. Lei si è fatto un’idea di Letizia Moratti?
R. Sì, ma non mi pare troppo rilevante esprimerla, Sia chiaro: a mio avviso, e
non solo a mio avviso, e una persona poco competente in fatto di scuola. Quando
ne parla, fa veri e propri errori di grammatica. Per esempio ha affermato una
volta che il rapporto Pisa (Programm for International Student Assessment)
dimostra il «crollo» (le scappò detto proprio così) della nostra scuola
elementare. Ma il Pisa riguarda i livelli di preparazione dei quindicenni, non
si occupa di scuola elementare e questa, la nostra scuola elementare, secondo
le ultime indagini comparative internazionali del 2001 continua a rivelarsi una
delle più buone del mondo, per giunta in ulteriore miglioramento rispetto a
precedenti indagini. Letizia Moratti ha una gran paura di incontrarsi con
insegnanti ed esperti in un confronto libero. Si sottrae a questo e predilige
il farsi intervistare in televisione, al chiuso, da giornalisti più o meno
ignari di cose scolastiche, e spendere in spot pubblicitari. Ma il punto è un
altro: anche con questi suoi comportamenti si rivela una eccellente interprete
della complessiva politica scolastica e culturale che l’intero governo sta
cercando di sviluppare. Non è una politica di poco conto, non poggia sulle
scelte dei personaggi che oggi sono riusciti ad andare al governo, ma fa corpo
con un orientamento che ha una dimensione internazionale.
D. In che senso? Ci sono Moratti in altre parti del mondo?
R C’è di peggio: ci sono persone di grande abilità e perfino intelligenza che
suggeriscono ai Berlusconi, alle Moratti e ai Bush junior che cosa debbono
fare.
D. E che cosa suggeriscono?
R. Suggeriscono di smantellare l’apparato pubblico dell’istruzione e della
ricerca, ridurre l’istruzione da obbligo, garantito dalle leggi, a un fatto
privato, regolato da scelte delle famiglie, Milton Friedman, non l’ultimo
arrivato, Nobel per l’economia nel 1976, lo sostiene da mezzo secolo. È restato
a lungo isolato. Ma dagli anni Novanta ha trovato alleati nei gruppi dirigenti
dell’economia e, in parte, della politica di vari paesi. Ho ricordato prima lo
sforzo eroico di paesi in via di sviluppo per accrescere i livelli di istruzione
dei loro popoli. Ma la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale
contraddicono consapevolmente questi sforzi. Lo ha denunziato Joseph Stiglitz.
Una denunzia preziosa: Stiglitz ha avuto anche lui il Nobel per l’economia nel
2001. In più dal 1997 è stato chief economist e vicepresidente della Banca
mondiale, finché nel 2002 non è stato costretto ad andarsene per queste sue
denunce.
D. Quali denunce?
R. Stiglitz dall’interno ha potuto documentare che la Banca mondiale chiede ai
paesi più poveri di bloccare i loro stanziamenti per l’istruzione di base e per
l’alfabe-tizzazione degli adulti se vogliono accedere ai prestiti e al sostegno
della Banca. Dollari contro dealfabetizzazione, dollari contro ignoranza.
Quest’idea piace a molti gruppi industriali e finanziari, in Usa e anche in
Europa, per fortuna non a tutti. L’idea che l’istruzione garantita dallo Stato
sia, come dice Friedman, una «industria socialista» non convince interamente i
potentati, anche se non sanno liberarsi dal fascino dell’idea lanciata nel 1995
alla riunione della Fondazione Gorbacev a New York, l’idea di una società dei,
«cinque quinti»: un quinto di ricchi e, se vogliono, colti, che si pagano le
scuole e università di alto livello, tre quinti di consumatori a basso reddito
e basso livello di istruzione, un quinto di barboni residuali, un profondo
sottosuolo nel quale i tre quinti possono essere ricacciati se non rispettano
le regole del gioco. A settembre 2003 si è svolto negli Usa un altro seminario
internazionale di cervelloni economico-finanziari. Era stata invitata anche
Emilia Ferreiro, grande esperta dei problemi di alfabetizzazione primaria. Mesi
dopo, in un altro (più modesto!) seminario a Roma organizzato da Clotilde
Pontecorvo, Emilia ha raccontato che nel seminario dei cervelloni è stato
rinnovato il pianto sugli insegnanti che sono troppi e costano troppo ed è
stato avanzato il programma di sostituire agli insegnanti i computer e le
tecnologie della comunicazione: insegniamo ai ragazzini, alla massa dei
ragazzini, via computer e telecomunicazioni, quel che secondo costoro i
computer possono insegnare e cacciamo via gli insegnanti. Chi può e chi vuole
di più, si scelga gli insegnanti e se li paghi. Il resto, l’istruzione seria
per tutti per costoro è «socialismo» (negli Usa) o «comunismo» (per il nostro
sempre sorridente, Berlusconi). Non la Moratti, non Berlusconi: questa è la
sfida che abbiamo dinanzi, in Italia e nel mondo. E un pezzo importante della
sfida è evitare il luddismo e piegare l’uso delle tecnologie alle esigenze di
una scuola critica e democratica.
D. Può essere più chiaro?
R. La sfida è tra l’idea che un buon mondo sia il mondo dei cinque quinti,
straordinariamente simile al Brave New World di Aldous Huxley: sopra gli Alpha
Plus, colti, ricchi, forse capaci di autonomia, capaci di controllo mondiale, e
sotto via via tutte le altre caste, ben divise e ben irreggimentate. Per
costoro, proprio in uno dei simposi dei cervelloni finanziari, Zbigniew
Brzezinski ha inventato anche una parola e un concetto: tittytainment, fusione
di tits «tetta, mammella» e entertainment «intrattenimento, divertimento»; in
italiano si potrebbe dire forse intettolimento. E ha spiegato: per tenere buono
il popolo bue, bisogna dargli una razione di benes-sere e molto divertimento. Guarda
guarda: panem et circenses, vecchia formula per rabbonire le plebi della Roma
imperiale. Lo dico perchè persone come Friedman presentano questa prospettiva
come il non plus ultra della modernità, rispetto all’arcaico ideale
«settecentesco», dice Friedman, della scuola pubblica obbligatoria per tutte e
tutti. Che l’ideale abbia profonde e più antiche radici cristiane, dal
plurilinguismo evangelico e da Lutero, dalle scuole di gesuiti e salesiani a
don Lorenzo Milani, Friedman non lo sa o finge di non saperlo. Come nemico
preferisce avere solo la cultura democratica illuminista e, come lui direbbe,
«socialista». Panem et circenses per tutti e capacità di governo e intelligenza
per pochi.
D. E l’alternativa?
R. E l’ alternativa è un mondo in cui tutte e tutti possano essere, a turno,
governanti e governati (ho letto da qualche parte questa formula, non ricordo
dove, ma mi pare felice), e quindi tutte e tutti abbiano una sufficiente dote
di competenze per muoversi interamente nello spazio delle società e delle
culture (alte e basse, tecniche e intellettuali) e per capire la follia dello
scannarsi a vicenda tra popoli, culture, credenze. E anche Internet -a
condizione di saperlo usare - può aiutare, e molto, su questa strada. Sogno
utopico? Io credo che siamo già in molti a sognarlo nel mondo, dal Sud al Nord
del mondo, nelle Americhe, in Africa, nella eterogenea Eurasia. Del resto
qualcosa del genere sognavano nel 1947 i nostri padri costituenti, quando con
l’ articolo 3 della Costituzione prescrivevano come «compito della Repubblica»
l’eguaglianza sostanziale di tutte e tutti, il libero sviluppo di tutte le
persone perchè tutti potessero partecipare alla pari alla vita sociale e
pubblica. Non siamo pochi e non siamo soltanto sognatori. Forse tra noi ci conosciamo
ancora poco. Ma, insieme, il mondo che vorremmo potrebbe essere vicino, anche
in Italia.