Primo
Forum nazionale dell’educazione – Firenze 23/24 ottobre 2005
Seminario
Il
valore sociale della conoscenza. Saperi e progetto culturale
Relazione introduttiva di Simonetta Fasoli (Proteo Fare Sapere)
L’affermazione che dà il titolo a questo incontro seminariale, per uscire dal terreno delle petizioni di principio sempre preziose ma non altrettanto efficaci sul piano dell’approfondimento e dell’aggregazione, chiede di essere declinata su una serie di coordinate che proverò sinteticamente a proporre.
La prima riguarda i fondamenti istituzionali dell’asserzione. E qui il riferimento d’obbligo, più che mai pregnante in questa fase politica di palese destrutturazione della nostra Carta costituzionale, va all’articolo 3. Nello spirito, oltre che nella lettera, del dispositivo rintracciamo la matrice del valore sociale della conoscenza: in questa angolazione, la conoscenza è uno, se non il principale, strumento di “rimozione” degli “ostacoli” che di fatto impediscono una piena e sostanziale uguaglianza dei cittadini e delle cittadine. Esposto nella formulazione negativa, il concetto è immediatamente evidente…Chi possiede strumenti inadeguati, altamente deperibili e parziali di comprensione della realtà; chi non è in grado di accedere all’universo multiforme delle informazioni, di padroneggiare i diversi codici simbolici che le connotano, di assumere decisioni supportate da “scienza e coscienza” sconta un divario di condizione che rischia di diventare un vulnus irreparabile del suo stare al mondo e dell’essere cittadino/a di un Paese.
Non si tratta di un passaggio, per così dire, ritualistico: resta da individuare quali sono le condizioni alle quali la conoscenza promuove davvero uguaglianza di opportunità, e produce azioni positive di compensazione di ogni forma di svantaggio (sociale, culturale, economico). Quali forme, quali luoghi istituzionali devono o possono essere garanti e soggetti di tali azioni. Quali titolarità devono essere esercitate per presidiare processi di conoscenza congruenti con i principi e le condizioni posti in essere. La “conoscenza” in sé non soddisfa questa istanza. Anzi, la storia e l’evoluzione delle forme sociali stanno a testimoniare come sul suo crinale siano stati eretti steccati, si siano consumate divisioni sociali, siano state legittimate ideologie fondate su visioni essenzialistiche delle disuguaglianze.
Quest’ultima osservazione mi pare ci conduca alla seconda delle coordinate di cui dicevo in apertura e che definirei i fondamenti valoriali dell’affermazione. Affinché la conoscenza diventi una valore sociale come tale riconosciuto, è necessario che sia intrinsecamente correlata ad un’idea e una pratica di etica pubblica e in particolare ad un’accezione della conoscenza e del sapere come bene pubblico. Cercando di articolare questa nozione, proverei ad andare oltre la generica connotazione di “pubblico”, per interrogarne il senso. Pubblico, non solo perché, genericamente, “di tutti”, ma perché “indivisibile”: i livelli di corresponsabilità e di interrelazione sono così alti e inestricabili nella realtà del mondo globalizzato che ogni zona o pretesa di privilegio, nel campo della diffusione di conoscenza e saperi, finisce per subire negativamente le conseguenze del sistema diseguale che ha contribuito a costruire, sconfessando se stessa. Da questo punto di vista, vedo sostanziali analogie tra i temi dell’ecologia ambientale e quelli della conoscenza.. Bene pubblico, dunque, che fonda l’altra essenziale asserzione della funzione pubblica di cui, necessariamente, sono investite le istituzioni che, storicamente, promuovono e organizzano i processi di acquisizione della conoscenza; la stessa funzione che, per lo stesso fondamento, esercitano i docenti, gli educatori e gli operatori di quelle istituzioni.
Per questo, il tentativo in atto di privatizzare i processi di conoscenza, asservendoli alla dinamica mercantile della domanda/offerta, non solo deve essere combattuto sul terreno delle opzioni politiche, ma va contrastato come un attentato al cuore stesso della conoscenza, alla sua natura profonda oltre che alla sua ragion d’essere. La conoscenza ridotta a merce è una non conoscenza, è un prodotto residuale e perfino uno sgradito effetto collaterale di processi decisionali collocati altrove, mossi da tutt’altre logiche e interessi.
L’altro versante etico della conoscenza come bene pubblico chiama in causa il modello solidaristico di convivenza e di organizzazione sociale come corollario necessario. Se la conoscenza in quanto bene pubblico è indivisibile, esclude dal suo orizzonte ogni approccio individualistico-competitivo: ogni criterio di accaparramento delle fonti e dei mezzi di acquisizione del sapere istituisce un regime di scambi ineguali che attenta al carattere pubblico, all’indivisibilità del patrimonio conoscitivo disponibile a tutti/e. Reciprocamente, è insito in questo carattere il principio e il metodo della cooperazione come quello che meglio lo esprime e lo rende pratica possibile.
Con questi ultimi rilievo, entriamo in quel territorio di confine tra etica e pedagogia, che disegna la terza coordinata che vorrei proporre in questo ragionamento attorno al valore sociale della conoscenza. Gli stessi processi conoscitivi sono rappresentabili come una costruzione sociale; l’apprendimento è certamente un fatto/evento individuale, nel senso ovvio che fa capo a un soggetto che apprende e ne postula la necessità. Non si tratta di assumere il punto di vista, fragile e discutibile, di un collettivismo cognitivo…Possiamo però sostenere che la conoscenza nasce sul terreno del confronto degli apprendimenti, del conflitto (pacifico e costruttivo…) delle interpretazioni, di quella negoziazione dei significati che fa della cosiddetta “verità” non un assunto dogmatico sovraindividuale, ma un prodotto, sempre aperto e provvisorio anche quando frutto di procedimenti rigorosi, del lavoro intersoggettivo. La cosiddetta “comunità scientifica” è il paradigma più significativo di questa “koiné” che rende possibile un autentico percorso di conoscenza. Costruzione sociale, dunque: nel duplice senso, del gruppo da cui prende le mosse e del valore aggiunto di socialità che, alla fine, produce, permettendo ai/alle singoli/e di sperimentare la possibilità di una narrazione comune, istituendo mondi di significato in cui tutti/ i/le partecipi all’impresa educativa possano riconoscersi.
Penso di aver delineato, con queste seppure sintetiche considerazioni e prospettive, le connotazioni esenziali di un progetto culturale che faccia da sfondo all’individuazione di una possibile “tavola dei saperi” per i diritti di cittadinanza. Il dibattito sui saperi ha caratterizzato, in tempi recenti, l’impegno politico-istituzionale della passata legislatura, con risultati alterni e naturalmente discussi e discutibili. Saperi “essenziali”, nella dicitura di quei documenti. Resta aperta la questione dell’essenzialità, che non si deve ridurre ad un minimum (quantitativo o qualitativo) troppo vicino ai criteri di una competenza meramente addestrativa. Essenziale: rispetto a cosa? a quali finalità, a quali profili di cittadinanza attiva? In estrema sintesi, a quale idea di società, a quale modello di convivenza? Ecco perché il progetto culturale non può che essere lo sfondo integratore che permette all’architettura dei saperi di rappresentare alcune istanze irrinunciabili, per un sistema inclusivo dell’istruzione. A partire da quella, essenziale, che riguarda il circolo virtuoso tra vissuti e saperi, la generatività di un rapporto che permetta all’esperienza di interrogare la conoscenza e alla conoscenza di rendere pienamente dicibile e comunicabile l’esperienza. Per proseguire con la necessaria integrazione dei saperi formali, non formali e informali che, lungi dal creare steccati e gerarchie, restituisce al sistema dell’istruzione quella imprescindibile funzione pubblica e sociale grazie alla quale i saperi come codici simbolici sono strumento necessario per l’elaborazione critica della massa di informazioni messe a disposizione dallo sviluppo esponenziale dei media. L’accesso alle informazioni non è affare della tecnica…e non garantisce di per sé una vera pratica democratica se non è supportato dai saperi di cittadinanza che presidiano la comprensione/decodifica dei meri fatti/fenomeni. Circolazione di informazioni e circolazione di idee devono stare in un equilibrio virtuoso, ugualmente aperte e disponibili a tutti le une e le altre. Solo un sistema pubblico che assume il valore sociale della conoscenza, districandolo senza ambiguità dall’economicismo che riduce le molteplici relazioni umane a mercato e i multiformi oggetti culturali a merce, può farsi garante di questa istanza.