Contro la Moratti, ma per la Scuola della Repubblica
Il successo pur se parziale della mobilitazione dal basso, sostenuta unitariamente
dall’associazionismo e dalle forze politiche e sociali, a difesa del “tempo
pieno e contro il primo decreto legislativo di attuazione della legge delega,
pone il problema della ridefinizione di una strategia complessiva che integri
questa battaglia in una più generale contestazione degli attacchi che
da diverse parti vengono portati al disegno costituzionale della scuola pubblica.
La recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 13/2004) e le valutazioni
che se ne sono fatte hanno chiaramente dimostrato che la politica governativa
finalizzata alla destrutturazione del sistema scolastico nazionale può
esser favorita da certe interpretazioni dei processi di autonomia e di decentramento
avviati dai precedenti governi.
In particolare la riforma del titolo V della Costituzione, almeno per quanto
riguarda la scuola, si sta rivelando fonte di pericolose ambiguità e
inestricabili contraddizioni
Si tratta difatti di una riforma confusa, introdotta nel vano tentativo di bloccare
le spinte eversive e localiste della Lega, ma nel contempo destinata ad aprire
contraddizioni nel sistema scolastico statale e sulla sua funzione istituzionale,
come emerge dalla suddetta sentenza..
La Corte, movendo da una riflessione più generale sugli effetti della
riforma del Titolo V Cost. sull’ordinamento scolastico, si è pronunciata
su due questioni specifiche.
In primo luogo la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 22, comma 3 L. n. 448/01 (legge finanziaria per il 2002) che
attribuiva agli Uffici scolastici Regionali la competenza di determinare gli
organici delle singole istituzioni scolastiche nell’ambito della ripartizione
tra le diverse regioni stabilita dallo Stato; la Corte ha difatti stabilito
“la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, ... in
quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora
di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente
riservata per intero allo Stato”.
La sentenza della Corte ha quindi un’efficacia concreta limitatamente
alla ripartizione degli organici (nei limiti del contingente regionale stabilito
dallo Stato) nell’ambito regionale; peraltro la stessa Corte dopo aver
dichiarato l’illegittimità di detta norma, ne ha anche dilazionato
l’efficacia, subordinandola ad un necessario intervento legislativo da
parte delle Regioni.
Si tratta di un principio non solo conforme ai criteri di ripartizione delle
competenze previsti dal Titolo V, ma anche condivisibile; difatti era illogico
attribuire alle regioni una competenza nella programmazione delle istituzioni
scolastiche nel territorio e non anche delle relative dotazioni organiche.
La Corte con la stessa sentenza ha, invece, dichiarato che spetta alla competenza
legislativa dello Stato l’assegnazione di ore aggiuntive d’insegnamento
al personale docente delle istituzioni scolastiche.
Su queste ambiguità si sono innestate valutazioni contraddittorie: si
è detto di tutto e l’opposto di tutto; si è affermato che,
per effetto di tale sentenza, la gestione e l’organizzazione delle scuole
e quindi anche del personale spetterebbe alle Regioni: cioè sarebbe già
realizzata la devolution voluta dalla Lega, proprio quello che si voleva evitare.
Si è anche affermato che il decreto Moratti, recentemente approvato,
sarebbe illegittimo perché invasivo delle competenze delle Regioni in
materia di tempo pieno..
La necessaria opposizione alla politica scolastica di questo Governo non può,
però, indurre ad utilizzare la sentenza della Corte per avviare una sorta
di “regionalizzazione” della scuola. Una dura contestazione della
politica della Moratti, non deve favorire tentazioni di soluzioni “localiste”.
La sentenza della Corte deve essere letta nel quadro dei principi generali sanciti
negli articoli. 33 e 34 della Costituzione e non modificati dalla riforma del
titolo V.
L’istruzione è un compito istituzionale dello Stato e quindi, pur
dopo la riforma del Titolo V. spetta allo Stato garantire a tutti e in tutte
le regioni una scuola laica, democratica, aperta al confronto e qualificata;
i diversi ordinamenti didattici e relativi curriculi, l’organizzazione,
il reclutamento e la gestione del personale, la libertà d’insegnamento,
ecc. sono tutti aspetti ordinamentali che devono essere definiti con le norme
generali da parte dello Stato; nel contempo l’organizzazione didattica
ed amministrativa delle singole istituzioni rientrano nella loro autonomia che
il Titolo V esplicitamente garantisce.
Né può esserci dubbio che, pur dopo la riforma del titolo V il
personale delle scuole statali, rimane personale statale, reclutato sulla base
di leggi statali e gestito sulla base di accordi sindacali e di leggi statali,
con una possibile mobilità territoriale nazionale e con le garanzie costituzionali
per la libertà d’insegnamento.
Questi rischi e questi obiettivi non possono essere ignorati dai coordinamenti
locali e nazionali, che unitariamente si oppongono alla politica scolastica
del governo, nel definire le linee d’intervento a difesa e per il rilancio
della funzione istituzionale del sistema scolastico statale e nazionale essenziale
per lo sviluppo culturale e democratico dell’intero Paese: nell’art.
33 è sancito che “La Repubblica detta le norme generali ed istituisce
scuole statali di ogni ordine e grado”.
Comitato “Per la scuola della Repubblica” associazione onlus –
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