La politica del decentramento

Inaugurazione Centro Civico Lame
Uno dei manifesti dell'inaugurazione del Centro Civico Lame.
La nascita del "quartiere cittadino" così come lo intendiamo oggi, ovvero centro politico e propositivo locale, è il frutto di un lungo processo nato dall'esigenza di uniformare le diversità presenti in una città fortemente in crescita. La successiva applicazione e il parziale coinvolgimento dei cittadini nelle scelte propositive furono i mutamenti necessari per rendere questo strumento efficace e utile alle comunità locali.

«Gli elementi peculiari, che contrassegnano la politica di decentramento democratico del comune di Bologna, si possono sintetizzare in termini elementari. L'esigenza di un decentramento di uffici, servizi, attrezzature è generalmente sentita, nella fase attuale del dibattito politico in Italia. E a Bologna non meno che altrove. L'elemento di differenziazione e di caratterizzazione sta nel fatto che a Bologna si è ritenuto che non bastasse dislocare alla periferia il momento esecutivo di siffatta ristrutturazione, ma che fosse essenziale trasferire, con il momento esecutivo, anche il momento delle decisioni. Si è ritenuto che sulla dislocazione e sul funzionamento degli elementi che costituiscono articolazione avanzata delle singole comunità non dovesse decidere solo il potere centrale, fosse questo comunale o quello statale, ma anche, e con espressione permanente ed organica di volontà, la comunità locale o periferica interessata. Viene da questa esigenza il sorgere degli organismi democratici di quartiere: il consiglio di quartiere e l'aggiunto del sindaco, magistrature nuove, estratte dalla comunità di quartiere e capaci di esprimerne la volontà e le esigenze.»

In: Residenza municipale di Bologna, Decentramento democratico a Bologna, in "Bologna. Rivista del Comune", 3/luglio 1963, p. 5.


La teoria del decentramento e la nascita dei quartieri
Per una città come Bologna che dal 1951 al 1961 aveva visto aumentare il numero della propria popolazione di cento mila abitanti (con un ritmo di crescita di quindici mila abitanti l'anno, secondo solo a quelli di città come Torino e Roma), la gestione della periferia avrebbe potuto rappresentare un problema di non poco conto se non affrontato con tempestività e nel modo migliore. Gli aspetti di cui tenere conto da parte dell'Amministrazione comunale ed, in particolare, di Pietro Crocioni assessore, in quegli anni, al decentramento e ai centri civici, erano molteplici divisi tra diversità sociologiche da uniformare, espansione urbanistica da regolamentare e organizzazione tecnico-amministrativa da ridefinire. La struttura comunale che, secondo Crocioni, risentiva di una sorta di "stanchezza istituzionale" necessitava di nuovi strumenti che permettessero di raccogliere la voce dei cittadini, mediando anche le soluzioni più opportune. L'idea, in realtà, era stata già precedentemente lanciata dal programma elettorale della Democrazia Cristiana che, rappresentata da Giuseppe Dossetti alle elezioni amministrative del 1951, aveva presentato nel "Libro bianco per conoscere Bologna" le critiche al PRG della Giunta di Giuseppe Dozza e l'idea innovativa di quartiere organico, ovvero un centro costitutivo di tutti servizi fondamentali e un punto di riferimento primario per il cittadino.
Soltanto con la relazione sulla divisione dei quartieri presentata dall'assessore Giorgio Conato il 21 settembre 1960, maggioranza e opposizione cominciarono ad interagire sul concetto di decentramento e ragionarono sulla possibile creazione di quindici porzioni. I quartieri denominati Borgo Panigale, Santa Viola, Lame, Bolognina, Corticella, San Donato, San Vitale, Mazzini, Murri, San Ruffillo, Aldini, Colli, Andrea Costa, Barca e Centro, vennero pensati secondo un'indagine che teneva conto sia della situazione storica, fisica e amministrativa allora presente, sia delle previsioni di piano riguardo le vie di comunicazione ed i servizi pubblici. Il 21 febbraio 1962 venne finalmente approvata la delibera del 1960 e nei mesi successivi l'assessore Crocioni presentò il progetto di regolamento della commissione paritetica e la prima analisi della politica che si stava delineando.
Il 29 marzo 1963 il Consiglio comunale approvò la costituzione di alcuni importanti organismi, ovvero, l'Aggiunto del sindaco e il Consiglio di quartiere. Il primo, organo con funzioni esecutive, si distingueva dal Delegato del sindaco ricoprendo le funzioni di sostituto del sindaco e capo dell'amministrazione comunale all'interno del quartiere. Al Consiglio di quartiere, organismo deliberativo-consuntivo, invece, venne affidato il compito di valutare, consigliare, criticare l'operato dell'aggiunto del sindaco ed il funzionamento degli uffici e servizi dislocati nel quartiere. La data significativa, tuttavia, è quella del 5 giugno 1964, quando i primi consigli s'insediarono solennemente nei quartieri della periferia. Non si trattava, di un semplice sdoppiamento della sede del governo locale, ma di un punto di confronto dove assecondare i bisogni di partecipazione della popolazione emergenti in quegli anni. Comunque ormai l'impostazione politica decisa dal Consiglio comunale non poteva più essere fermata: dopo la conferma della presenza dei quartieri nel 1965, dopo l'elezione del nuovo sindaco Guido Fanti e con il beneplacito al progetto dal cardinale Lercaro, nel 1966 si sperimentò anche la divisione del centro storico in quattro quartieri.
Parallelamente per attuare il decentramento anche sul piano urbanistico l'Amministrazione comunale varò alcune importanti disposizioni che, nell'ottica di una nuova visione architettonica ed urbanistica nascente proprio in quegli anni, vedevano la nascita di una "città-regione" aperta dove domare i problemi sociali con una divisione sempre più netta dalla campagna. Così, il 3 luglio 1961 vennero presentati al Consiglio comunale i criteri programmatici del Piano Intercomunale che prevedevano una ristrutturazione e crescita policentrica del comprensorio, attraverso la realizzazione di una normativa efficace e di una pianificazione demografica. Il ruolo di realizzatore concreto di questo quadro politico-amministrativo venne affidato a all'architetto Giuseppe Campos Venuti, nominato assessore all'urbanistica nella giunta nominata il 23 dicembre 1960. Nel luglio 1962, dopo le indagini sui diversi aspetti della vita provinciale promossi dall'Assessorato allo Sviluppo Economico Sociale della Provincia di Bologna, il Consiglio comunale approvò un atto deliberativo concernente la qualificazione del decentramento attraverso la creazione di attrezzature collettive atte a valorizzare la periferia. Sull'onda di questo rinnovamento il bilancio del 1963 si aprì con la voce "politica dei servizi", materia fondamentale del progetto democratico del territorio.
Nel biennio 1966-67, gli anni più intensi della contestazione e dopo la fine del dialogo tra Comune e Chiesa locale dovuto alle forzate dimissioni di Lercaro richieste dai vertici vaticani, l'amministrazione comunale si trovò in un certo senso spiazzata. Dante Stefani, nuovo assessore al decentramento, il 9 dicembre 1968 presentò una lunga relazione in Consiglio comunale nella quale tentò di interpretare questi mutamenti. In particolare, si riaprì la discussione su quello che venne chiamato il "secondo tempo del decentramento", ovvero la fase nella quale l'Amministrazione intendeva attribuire nuovi compiti e nuove funzioni ai quartieri. Per la prima volta vennero coinvolti direttamente gli aggiunti del sindaco all'interno dei consigli comunali e vennero ascoltate le relazioni degli architetti incaricati della progettazione dei centri civici dei quartieri Barca, Lame e Mazzini. L'idea di centro civico che lentamente andò a definirsi fu quella di un luogo non solo adibito ad ospitare gli uffici decentrati e le attività del consiglio, ma anche un'espressione "sociale e urbanistica" di quello che voleva rappresentare il punto d'incontro delle attività direzionali, democratiche, culturali e amministrative. Il cuore del confronto si manifestò nella primo Convegno nazionale sul decentramento democratico dei comuni, inaugurato a Bologna il 16 maggio 1969. Nonostante l'emergere di una prematura preoccupazione riguardo al sistema dei partiti, si delinearono le scelte dell'amministrazione volte all'esercizio di una forma limitata e parziale della democrazia diretta, attraverso la creazione di strumenti giuridici specifici e praticabili.

Il "secondo tempo" del decentramento
Dopo le elezioni amministrative del 1970, il nuovo assessore al decentramento, Federico Castellucci, tenne una relazione in Consiglio comunale nella quale espresse a livello pratico quali erano le sue idee riguardo alla realizzazione di quello che negli anni passati era stato l'oggetto di discussioni e confronti ovvero il "secondo tempo" del decentramento. La svolta sostanziale risiedeva nella sua idea della necessaria chiamata dei cittadini a collaborare con gli amministratori locali: un nuovo modo di fare politica ispirato dalle contestazioni degli anni precedenti. Il coinvolgimento comprendeva tutta quella rete di strutture sociali e associazioni locali che, operando fisicamente nel territorio, lo conoscevano profondamente. Seguendo le linee direttive anticipate da Castellucci, nel 1973 la Commissione per il decentramento presentò al Consiglio comunale e alla cittadinanza una Proposta per il nuovo regolamento dei quartieri che rappresentava la traduzione in norma di due linee emerse dalla discussione ovvero, lo sviluppo della partecipazione e l'attribuzione di poteri decisionali. Gli strumenti a partecipazione popolare individuati per assicurare il dibattito e l'informazione vennero identificati nelle assemblee, di cui si sottolineava il ruolo consultivo; nelle petizioni, in cui si richiedeva la firma di almeno cento cittadini o di enti o formazioni sociali operanti nel quartiere; nella consultazione popolare, attraverso il referendum e l'inchiesta d'opinione. Per favorire la nascita di una vita comunitaria del quartiere, la Proposta prevedeva anche la possibilità per i quartieri di istituire uno o più "consigli di zona" i cui consiglieri venivano eletti dal consiglio di quartiere. Parallelamente si prevedeva maggiore interazione tra il quartiere ed il consiglio comunale attraverso la facoltà di proporre progetti di deliberazione o testi di risoluzione nelle materie proprie o delegate dal Comune, la costituzione di commissione di lavoro permanenti o di commissioni "speciali" per l'esame e lo studio dei dati relativi a problemi specifici del quartiere o non ordinari e con la relativa formulazione di proposte.
Il Regolamento definitivo in materia venne approvato dal Consiglio comunale il 13 marzo 1974, ma con notevoli variazioni rispetto alla Proposta formulata l'anno precedente. L'iniziale progetto di utilizzare l'assemblea di quartiere come strumento per l'esercizio di una democrazia "diretta" venne accantonata, così come scomparvero gli articoli relativi alla consultazione popolare e ai risultati della consultazione stessa (referendum e inchiesta di opinione). Tuttavia questa scelta di omogeneità rispetto alle altre esperienze italiane non impedì che il Regolamento prevedesse un'espressione paritaria tra Consiglio comunale e la rete dei quartieri, favorendo anche la comunicazione diretta con il cittadino attraverso l'utilizzo di organi di stampa locale, sempre più diffusi ed utilizzati in tutto il territorio.
Parallelamente, anche l'approvazione nei primi mesi del 1973 della "Variante generale al PRG vigente" presentata nel 1970, rappresentò uno dei strumenti per l'attuazione efficace di questa seconda fase di decentramento. La pianificazione si divideva in diversi piani che coinvolgevano lo sviluppo della zona industriale, la zona collinare, il centro storico e la zona dedicata all'edilizia economica e popolare. In particolare la Variante prevedeva una rivalutazione di un centro storico "a misura d'uomo", con interventi di valorizzazione del centro inteso come monumento e simbolo della città non ancora soffocata dallo sviluppo economico.

Nuovo regolamento sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell’amministrazione del Comune
L’ultima fese del decentramento venne attuata negli anni ’80 sotto l’assessorato agli affari istituzionali di Walter Vitali. Il 25 marzo 1985, infatti, venne approvato il nuovo Regolamento sul decentramento, nato con l’intento di riformare il Comune e gli organi in esso operanti, rinnovando la partecipazione dei cittadini stessi alla vita cittadina. Tra le principali innovazioni il Regolamento previde l’istituzione della figura del Presidente e di un eventuale Vicepresidente di Quartiere, da affiancare al Consiglio di Quartiere. Il loro ruolo era quello di rappresentare il quartiere, convocare e presiedere le attività del Consiglio di quartiere, sovrintendere all’attività amministrativa del quartiere, interrogare Sindaco e presidenti delle commissioni consiliari dipartimentali circa proposte e problemi inerenti il quartiere, esercitare le funzione delegate loro dal Sindaco. Parallelamente, tutti i Presidenti dei consigli di quartiere avevano l’obbligo di presenziare alla Conferenza che periodicamente doveva allestirsi, secondo un turno semestrale, nelle sedi dei diversi consigli. Il suo scopo era quello di garantire il migliore espletamento dei compiti demandati ai Presidenti e di favorire e promuovere ogni forma di comunicazione e scambio di esperienze. Gli strumenti per la partecipazione cittadina alla vita politica del quartiere rimasero le riunioni e le assemblee, le consultazioni e le petizioni. Oltre alle competenze decisionali attribuite ai Quartieri secondo un sistema di collaborazione e ripartizione delle materie d’intervento tra organi centrali e organi periferici dell’Amministrazione comunale, i Quartieri si videro investiti di una nuova autonomia economica e politica. In particolare, venne loro affidata la gestione diretta delle risorse finanziarie destinate alla spesa corrente e alle attività d’investimento; la gestione del personale necessario ai servizi e alle attività di quartiere; la gestione del patrimonio necessario per l’espletamento delle attività rientranti nelle materie delegate al quartiere (tra cui le aree verdi), ma anche la loro manutenzione; e la gestione di tutte le risorse facenti capo ai consumi economali necessarie alle attività dei quartieri (tra cui le Unità Sanitarie Locali e le aziende municipalizzate). L’autonomia politica, invece, venne formalizzata attraverso l’elezione diretta degli organi di rappresentanza da parte dei cittadini di quartiere e venne rafforzata attraverso l’attuazione di un ruolo consultivo e propositivo nella definizione delle attività di pianificazione dell’amministrazione; un’incisione maggiore sulle scelte effettuate dall’amministrazione centrale (in particolare relativamente a concessioni edilizie e licenze di commercio); una comunicazione tempestiva ed efficace attraverso il nuovo Sistema Informativo del Territorio; un maggior dialogo con i cittadini relativamente alle tematiche ambientali di cui si stava facendo promotrice l’Amministrazione comunale.
Infine, per rendere maggiormente efficaci i processi di autonomia prospettati dal nuovo Regolamento, il Consiglio comunale approvò la riduzione del numero dei quartieri cittadini da diciotto a nove:
- Borgo Panigale (rimasto immutato)
- Reno (in sostituzione dei quartieri Barca e Santa Viola)
- Saragozza (in sostituzione dei quartieri Costa, Saragozza, Malpighi)
- Porto (in sostituzione dei quartieri Saffi e Marconi)
- Navile (in sostituzione dei quartieri Lame, Bolognina, Corticella)
- San Donato (rimasto immutato)
- San Vitale (in sostituzione dei quartieri San Vitale e Irnerio)
- Savena (in sostituzione dei quartieri Mazzini e San Ruffillo)
- Santo Stefano (in sostituzione dei quartieri Murri, Galvani, Colli).

e.e.

Bibliografia di riferimento:
- Residenza municipale di Bologna, Decentramento democratico a Bologna, in "Bologna. Rivista del Comune", 3/luglio 1963.

- Una nuova e decisiva fase del decentramento democratico. Il rinnovo dei consigli di quartiere, in "Bologna. Documenti del Comune", 10-11(ottobre- novembre 1975).


- Dieci anni di decentramento a Bologna, a cura di B. Zacchini per la Ripartizione Decentramento del Comune di Bologna, Bologna 1976.


- Comune di Bologna, Problemi del decentramento e del riordino istituzionale. Conclusione del dibattito in consiglio comunale, a cura dell'ufficio studi per il decentramento, Bologna 1985.

- Comune di Bologna, Nuovo regolamento sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell'amministrazione del Comune. Quartieri cittadini: competenze e nuove configurazioni territoriali, a cura dell'Ufficio Affari Istituzionali, Bologna 1986.

- F. Ceccarelli, M.A. Gallingani, Bologna: decentramento, quartieri, città 1945-1974, Bologna 1987 (Istituto per la storia di Bologna).


- Gruppo gli eventi del XXI Secolo, I quartieri e il decentramento. Bologna 1956-1975, Imola (BO) 2004.

Questa storia attraversa i seguenti mandati elettorali

  • 1960 (21.9.1961) vedi
  • 1964 (5.12.1966) vedi
  • 1970 (11.3.1974) vedi
  • 1980 (25.3.1985) vedi

Fatti/Avvenimenti

Consigli di Quartiere

5.6.1964

Celebrazione per l'insediamento dei Consigli di Quartiere.

Nascita Quartieri

21.9.1961

Il Consiglio comunale, visto il forte aumento della popolazione, delibera la suddivisione del territorio comunale in quindici quartieri (Borgo Panigale, Santa Viola, Lame, Bolognina, Corticella, San Donato,…

Inaugurazione Centro civico del Quartiere Lame

21.12.1974

Il 21 dicembre 1974 viene inaugurato dal sindaco Renato Zangheri il primo centro civico di Bologna nel quartiere  Lame. I discorsi ufficiali sono tenuti dall'aggiunto del sindaco del quartiere Lame Osmar…

Quartieri - Nuovo regolamento

11.3.1974

Il Consiglio approva il nuovo regolamento per gli organismi democratici di quartiere e l'impegno programmatico per un ulteriore sviluppo della politica di decentramento.

Regolamento sul decentramento

25.3.1985

Il Consiglio comunale approva il nuovo Regolamento sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell'amministrazione del Comune. Tra le variazioni, il regolamento prevede la riduzione dei quartieri…

Suddivisione del Quartiere Centro

5.12.1966

Il Consiglio delibera la suddivisione del territorio denominato quartiere Centro in quattro quartieri che assumono la denominazione di quartiere Marconi, quartiere Irnerio, quartiere Galvani e quartiere…

Progetto di ristrutturazione dei Servizi Tecnici e Manutentivi

8.7.1974

Il Consiglio approva il progetto di ristrutturazione dei Servizi Tecnici e Manutentivi, che prevede anche l'articolazione del settore manutenzione in gruppi operativi autosufficienti e decentrati e la…

Ristrutturazione dei Servizi Tecnici e Manutentivi

28.4.1975

Il Consiglio Comunale approva  lo schema attuativo del progetto di ristrutturazione dei Servizi tecnici e Manutentivi elaborato dalla commissione consiliare  per lo studio della ristrutturazione degli…

Completamento del progetto di ristrutturazione dei Servizi Tecnici e Manutentivi

28.7.1976

Il Consiglio approva lo schema di completa attuazione del progetto di ristrutturazione dei servizi tecnici e manutentivi elaborato dalla Commissione per lo Studio della ristrutturazione degli Uffici e…

Persone

Castellucci, Federico

  Federico Castellucci viene eletto consigliere comunale per tre mandati, dal 1970 al 1985 nella lista Due torri, Partito comunista italiano. Viene nominato assessore nella giunta del sindaco Renato…

Vitali, Walter

Walter Vitali matura giovanissimo le prime esperienze politiche nei movimenti studenteschi quando frequenta il Liceo Enrico Fermi di Bologna. S'iscrive alla facoltà di filosofia dell'Università degli…