Lo Stemma del Comune di Bologna

Sono pochi gli studiosi che hanno trattato diffusamente dello stemma del Comune che vanta un’antica origine e rispecchia vicende storiche senza dubbio gloriose.

Una prima fonte documentaria sull’argomento, conservata presso l’Archivio Storico Comunale, è rappresentata da una nota manoscritta di Luigi Frati, bibliotecario dell’Archiginnasio, inviata ad un tipografo di Treviso che ne aveva fatto richiesta per una pubblicazione sugli stemmi delle città. Le notizie, redatte nel 1869 e probabilmente desunte dalle antiche cronache cittadine, attraverso un breve excursus sulla storia del sigillo del Comune, illustrano la sua evoluzione nel corso dei millenni. (1)

Altre preziose informazioni, custodite presso l’Archivio, sono contenute nel "Cenno storico sullo stemma della città di Bologna", allegato alla richiesta di riconoscimento legale dello stemma civico, scritto nel 1935 da Albano Sorbelli, allora direttore della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, nonché nella relazione presentata il 22 dicembre 1936 dallo storico Giorgio Cencetti alla Regia Commissione Araldica per le Province di Romagna, per l’espressione di parere su quella richiesta, in quanto non era mai intervenuto un atto governativo di approvazione dello stemma comunale. (2)

E’ certo che lo stemma più antico di Bologna era formato da una croce rossa in campo bianco o d’argento. Diverse e contrastanti sono invece le ipotesi formulate dagli studiosi sul periodo al quale far risalire questa insegna.

La croce di colore rosso nacque sicuramente prima del periodo comunale come elemento identificativo degli eserciti feudali e rimase successivamente come insegna dipinta sullo scudo dei soldati bolognesi. Passò parecchio tempo prima che lo stemma perdesse quella connotazione militare per assurgere ad emblema esclusivo della città.

Cencetti, integrando ed in parte modificando le notizie contenute nel "Cenno storico" di Sorbelli, affermava che la figurazione più antica pervenutaci non risale oltre il 1259 e si trova disegnata in margine ad una rubrica degli Statuti del Comune di quell’anno, riguardante il vessillo.

La raffigurazione più antica a colori sotto forma di scudo è riportata invece in un codice degli Statuti dell’Arte dei Drappieri del 1311.

Poiché l’immagine della croce nelle insegne era comunemente usata all’epoca delle Crociate, gli studiosi di araldica preferirono collegare alle imprese militari per la liberazione del Santo Sepolcro l’origine degli stemmi posteriori.

Cherubino Ghirardacci, storico vissuto nel Cinquecento, nella sua "Historia di Bologna" racconta, probabilmente sulla base di antiche cronache oggi perdute, che molti bolognesi parteciparono alla Crociata indetta dal Pontefice Urbano II nel Concilio di Clermont-Ferrand del 1095. Fra questi Lodovico Bianchetti, il quale, rimasto in Terrasanta con il re Goffredo, affidò a Tartaro Tencarari la bandiera recante la croce rossa in campo bianco con cui si identificavano i crociati bolognesi, affinché la consegnasse al Magistrato di Bologna che la adottò come pubblica insegna della città. (3)

Cencetti escludeva, non condividendo l’ipotesi di Sorbelli, la derivazione dello stemma bolognese dalla Lega Lombarda, suggerita forse dalla presenza della croce nello scudo di molte tra le città federate, ma smentita dall’adozione della medesima "pezza" araldica da parte di altre città che appoggiavano l’imperatore Federico Barbarossa.

Sappiamo tuttavia che abbastanza diffusa era la croce nello stemma delle città che godettero di ampia autonomia nel periodo comunale dal XII al XIV secolo.

Notevole importanza ebbe il sigillo nella vita del Comune medievale, in quanto era il segno tangibile della sua autonomia ed espressione della sua volontà. Inoltre, era uno strumento di garanzia contro possibili falsificazioni di documenti ufficiali del Comune ed imprimeva autenticità al documento rendendolo probatorio. Perciò, nelle iscrizioni dei loro sigilli i Comuni italiani spesso affermavano la loro grandezza e la loro potenza.

Il simbolo del Comune di Bologna venne rappresentato dallo scudo rossocrociato sino alla fine del Duecento.

Secondo Cencetti, allorquando la lotta fra il Papato e gli ultimi Svevi volse a favore del primo grazie all’appoggio dei francesi, un nuovo elemento araldico si aggiunse allo stemma rossocrociato: il "capo" d’Angiò.

Questo elemento araldico in origine venne assunto dai partigiani di re Carlo prima e di re Roberto poi. Il Comune, probabilmente, impiegò in guerra sia il proprio vessillo, sia quello degli Angiò, e da ciò derivò l’utilizzo, testimoniato da miniature, dei due stemmi posti l’uno vicino all’altro. Presto però furono uniti insieme riducendo quello degli Angioini (il "seminato" di Francia spezzato da un "lambello" rosso) al solo capo, mantenendo la spezzatura e ordinando i gigli in fascia. Col tempo i pendenti del lambello divennero quattro e i gigli tre.

Anche su questo tema, occorre liberarsi da un errore di interpretazione di una cronaca di Graziolo Accarisi stampata nel 1665, secondo la quale Carlo VI nel 1389 mise Bologna sotto la sua protezione, donandole la propria bandiera, l’"orifiamma", che i Magistrati vollero vessillo del Comune. L’evento è da ritenersi senza dubbio verosimile. Ma occorre tenere presente che, per quanto concerne la sua relazione col capo d’Angiò nello stemma, quella pezza araldica trovasi in quasi tutte le numerosissime figurazioni che ci sono rimaste dell’"arma" di Bologna nei secoli XIII e XIV. Inoltre l’orifiamma è di Francia, cioè azzurro seminato di gigli d’oro senza la spezzatura del lambello, e avrebbe potuto dare origine al capo di Francia, azzurro caricato di tre gigli d’oro ordinati in fascia, e non al capo d’Angiò che è simile, ma con la spezzatura del lambello rosso.

Il blasone di Bologna fu per l’ultimo quarto del secolo XIII e per quasi tutto il XIV la croce rossa su campo d’argento con il capo d’Angiò.

A questi elementi, alla fine del Trecento se ne aggiunse un altro.

Da Ghirardacci apprendiamo che nel 1376 i bolognesi cacciarono il Cardinale legato Guglielmo di Noellet con l’aiuto dei fiorentini, i quali donarono uno stendardo azzurro con il motto Libertas che venne adottato come stemma del popolo, contrapposto a quello con la croce rossa che fu mantenuto come simbolo del Comune. (4)

Per Cencetti lo scudo con il motto Libertas si trovava anche dieci anni prima del 1376 riportato in una copertina membranacea di un registro d’archivio recante il disegno dell’"arma del popolo" e la data del 1366.

L’arma del popolo rimase per sempre nel blasone comunale, mentre il seminato di Francia scomparve quasi subito.

Lo stemma di Bologna fu quindi costituito da due scudi affiancati, a destra quello del Comune, a sinistra quello del popolo. Dalla metà del XV secolo i due scudi si fusero in uno solo inquartandosi, cioè formando quattro quarti. Il nuovo scudo venne riprodotto in alcune monete di Sante Bentivoglio.

Questa configurazione è rimasta invariata fino ad oggi. Tuttavia, poiché il sigillo cittadino si identificava con la città e rispecchiava determinate vicende storiche, altre figure si aggiunsero allo scudo bolognese a testimonianza dell'alternarsi di diverse famiglie al governo della comunità. Per cui, accanto agli originali emblemi civici, comparve anche il sigillo del signore.

A differenza di altre città, lo stemma di Bologna non era ornato da una corona, ma da una testa di leone, collocata nella parte superiore, che regge i due scudi fusi in uno solo, a ricordo del dono di un leone da parte del marchese Obizzo d’Este al Comune nel 1293, come afferma nella sua opera "Bologna perlustrata" Antonio Masini, mercante di seta e scrittore di cose patrie, vissuto nel Seicento. (5)

Gli storici tuttavia nutrono riserve su questo legame, in quanto, prima del Cinquecento, non risulta alcuna traccia di tale ornamento in scudi, documenti, o monumenti.

Secondo Cencetti l’origine di questo nuovo elemento va collegata agli eventi del 1376 che sortirono "una nuova costituzione, interamente basata sulle corporazioni artigiane". Il simbolo di quella "rinnovata democrazia" era rappresentato da un "leone rampante che tiene fra le zampe anteriori una bandierina crociata". Le vicende storiche portarono Bologna alla perdita della propria sovranità nel Cinquecento, per cui del leone rimase nello stemma solo la testa, anche se questa rappresentazione non diventò una consuetudine. Dobbiamo aspettare il Settecento per vedere sempre utilizzato anche questo signum, simbolo della nobiltà e della forza legato "alla gloriosa tradizione italica del libero comune".

L’Archivio Comunale conserva anche copia del carteggio, intercorso nel Novecento fra il Comune e gli organi statali competenti, riguardante il diritto di utilizzare lo stemma. (6)

Il 7 luglio 1928, il Podestà di Bologna, Leandro Arpinati, in esecuzione della propria deliberazione del 19 maggio dello stesso anno (7), rivolgeva istanza al Capo del Governo, Presidente della Consulta Araldica, al fine di ottenere l’autorizzazione ad inserire nello stemma del Comune di Bologna l’emblema del fascio littorio.

La Regia Commissione Araldica per le Province di Romagna, il 20 novembre 1928, esprimeva la seguente opinione:

  • "che in mancanza di una disposizione governativa che regoli tale modifica, sia preferibile attenersi alle disposizioni emanate dal Capo del Governo a tale proposito per enti statali e parastatali…affiancando all’antico stemma del Comune di Bologna quello del littorio;
  • che il progetto presentato sembra abbia l’inconveniente di modificare essenzialmente l’antico e storico stemma del Comune in una forma che non pare estetica e nemmeno troppo araldica…".

In data 30 novembre dello stesso anno, il Commissario del re per la Consulta Araldica scriveva di non poter concedere quanto richiesto dal Podestà di Bologna, non consentendolo le disposizioni e i decreti emanati dal Capo del Governo. Autorizzava l’abbinamento dello stemma della città a quello dello Stato, qualora ne fosse chiesta la prescritta autorizzazione.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunicava con lettera del 16 maggio 1935, di non poter dare corso alla richiesta, a suo tempo presentata, in quanto il riconoscimento legale dello stemma del Comune non era ancora avvenuto.

Facendo seguito alla propria deliberazione del 31 gennaio 1936 (8), il Commissario prefettizio Renato Pascucci, in data 27 febbraio 1936, chiedeva formalmente il riconoscimento dello stemma conforme a quello rappresentato in un bozzetto allegato alla domanda, alla quale univa anche il "Cenno storico" redatto da Albano Sorbelli per documentare, sulla scorta delle risultanze dell’indagine storica, le antiche origini, il continuo possesso da parte del Comune e le intrinseche caratteristiche del simbolo municipale.

La Regia Commissione Araldica per le Province di Romagna, udita la relazione presentata da Cencetti, nella seduta del 22 dicembre 1936, espresse parere favorevole all’approvazione dello stemma sottoposto al suo esame e segnalò alla Consulta Araldica l’opportunità di proporre una speciale concessione alla città di Bologna affinché fosse autorizzata "a cimare il proprio scudo con la testa di leone in fronte, anziché con la normale corona civica".

Con decreto del 6 novembre 1937, il Capo del Governo riconobbe alla città di Bologna il diritto di fare uso dello stemma.

Il sigillo venne consegnato dalla Consulta Araldica al blasonista Marcello Tomadini che ne realizzò la miniatura al costo di lire 240.

Oggi lo stemma di Bologna, secondo la descrizione araldica, è composto da quattro quarti, di cui il primo e il quarto sono del Comune, il secondo e il terzo del popolo. Lo scudo ha come emblema una croce rossa in campo d’argento e reca inoltre un capo azzurro caricato da tre gigli di Francia d’oro posti fra i quattro pendenti di un lambello rosso. Lo scudo del popolo ha campo azzurro e come emblema il motto Libertas a lettere d’oro posto "in banda" (diagonalmente da sinistra a destra di chi guarda).

 

maggio 2008 Lucia Marani

(1) ARCHIVIO STORICO COMUNE DI BOLOGNA (d’ora in poi ASCBo), Carteggio Amministrativo, 1869, tit.IV, rub. 4.

(2) ASCBo, Stemmi, 1935-1937.

(3) CHERUBINO GHIRARDACCI, Historia di Bologna, Bologna, Forni editore, 1973, vol. I, p. 58 (rist. anast.)

(4) C. Ghirardacci, Historia di Bologna, cit., vol. II, p. 342.

(5) Antonio Masini, Bologna perlustrata (1666), Bologna, Forni editore, 1986, vol. II, p. 124 (rist. anast.).

(6) ASCBo, Stemmi, 1928 e 1935-1937. La documentazione originale trovasi presso l’Archivio Centrale dello Stato nel fondo della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Araldico - fascicoli comunali, Bologna, n. 1514. (7) ASCBo, Deliberazioni del Podestà, 19 maggio 1928, II trimestre.

(8) ASCBo, Deliberazioni del Podestà, 31 gennaio 1936, I trimestre.