1849: da Roma a New York - I luoghi di Garibaldi

 

George Macaulay Trevelyan

George Macaulay Trevelyan (1876-1962), storico, si laureò al Trinity College di Cambridge, dove insegnò sino al 1903 e poi nuovamente dal 1927 al 1951. Noto in Italia soprattutto per la sua Storia dell'Inghilterra nel 19° secolo (1922) e per la Storia dell'Inghilterra (1926), edita anche in Italia più volte, ed in particolare per la trilogia dedicata a Garibaldi: Garibaldi e la difesa della Repubblica Romana (1907), Garibaldi e i Mille (1909) e Garibaldi e la formazione dell'Italia (1911), tutti tradotti senza indugio in italiano rispettivamente nel 1909, 1910, 1913, e tutti di enorme successo.
Scrisse a meno di sessant'anni dagli eventi, e nella sua passione per quelle vicende decise di fare "ricerca sul campo": non solo testimonianze scritte - memorie, lettere, diari, romanzi ecc. - ma contatti personali con coloro che, tra i testimoni oculari, erano ancora in vita.
Si avventurò così in prima persona, in un lungo e romantico tour, sulle orme di Garibaldi in fuga da Roma, ripercorrendo con la giovane moglie, Janet Penrose Ward (1879-1976, sua collaboratrice a a sua volta scrittrice) villaggi e vallate, in bicicletta, sulle strade dell'inizio del 1904, in un viaggio di nozze decisamente fuori dai canoni classici!
Lo animava una profonda ammirazione e simpatia per quei soldati, eletti a propri "beniamini": lo stesso Trevelyan diceva che senza "simpatia", umana e politica, non sarebbe stato possibile per lui scrivere su Garibaldi e sui suoi uomini.

Così Trevelyan nell'introduzione spiega cosa il lettore troverà nelle pagine del suo libro:

"Questi ultimi eventi comprendono la marcia di Garibaldi attraverso l'Italia, incalzato dalle forze francesi, spagnuole e napoletane, per l'Umbria e la Toscana, verso una rete di quattro eserciti austriaci distesa sull'Umbria settentrionale e la Romagna; i prodigi di destrezza e di energia per i quali il più grande fra i condottieri di guerriglia distrigò la sua piccola banda di seguaci dagli eserciti accerchianti, e la trascinò, varcando lo spartiacque dell'Appennino, alla spiaggia dell'Adriatico; la caccia finale per il territorio della Repubblica di San Marino, con gli austriaci alle calcagna, crudeli come i dragoni di Claverhouse , pronti a uccidere e a torturare tutti quelli che prendevano; poi lo sbandarsi del grosso delle forze romane nel territorio amico e neutrale dell'alpestre Repubblica, e la fulminea corsa di Garibaldi verso la costa, attraverso i cordoni del nemico con gli ultimi duecento compagni, che finché Venezia resisteva, non vollero rinunciare alla sacra guerra, soltanto per aver salva la vita; il loro imbarco notturno sulle barche peschereccie di Cesenatico; lo sbarco di Garibaldi con la moglie morente sulle braccia fra le lagune al nord di Ravenna, e con lui di Ugo Bassi e Ciceruacchio, destinati a perire di lì a pochi giorni. E dirò come l'uomo del destino, vagando, macero Odisseo, per le paludi e la pineta di Ravenna, in mezzo a reggimenti di soldati avidi della sua vita come premio di guerra, fu salvato dalla strana opera del caso, dal coraggio ferreo e dalla tenacia sua propria, e dall'accortezza, dall'energia e dalla devozione dei romagnoli, che lo salvaguardarono con pericolo della loro stessa vita, come gl'inglesi salvaguardarono un tesoro meno prezioso dopo la battaglia di Worcester . […]

E cosa lo ha spinto a dedicarsi alla storia di Garibaldi e delle sue imprese:

"Nella speranza di rendere la storia della difesa di Roma, della ritirata dei garibaldini e della fuga del loro capo in tutta la vivezza dei suoi dettagli di località e di colorito, io non solo ne ho visitate le scene nella capitale e nelle sue vicinanze, ma ho anche ricalcato l'intero cammino percorso dalla colonna di Garibaldi, dalle porte di Roma a Cesenatico sull'Adriatico, e visitato le scene delle peripezie di lui presso Comacchio e Ravenna. Forse sarebbe impossibile trovare in tutta Europa una regione più incantevole all'occhio per forme, colori, atmosfera, o una più ricca di città, fiumi e montagne famose, che quella delle valli del Tevere, della Nera, della Chiana, del Metauro e del Rubicone, attraverso le quali essi marciarono. Io ho seguito a piedi le loro piste di dolore e di morte per questa terra di antica bellezza con tal conoscenza dei luoghi ove andarono e delle loro vicende d'ogni giorno, quale non tocca spesso in fortuna ai pellegrini che rintracciano le orme degli eroi.
Capitare in posti solitari, presso le stesse fontane sul ciglio della strada alle quali, secondo il ricordo lasciato dai superstiti, essi smorzarono la sete ardente, e ad altre svolte, presso sorgenti dove essi non trovarono acqua in quel luglio terribile; soffermarsi sulla collina da cui videro per l'ultima volta la cupola di San Pietro, e su quell'altra dove il viso di Garibaldi si illuminò alla vista dell'Adriatico; attraversare i boschi di quercie per cui essi marciarono al raggio delle stelle o dove dormirono nei lunghi meriggi italiani; riprender lena nei quieti giardini dei monasteri appollaiati in alto sopra colline a olivi e pianure a viti, nei quali essi gustarono brevi ore di verde frescura e di riposo; scalare le nude montagne sulle quali essi trascinarono il loro piccolo pezzo d'artiglieria, e calarsi nella gola dove essi alla fine se lo lasciarono dietro perché gli austriaci li pressavano da ogni parte; veder le strade e le piazze in cui i cittadini al loro passaggio festeggiarono ancora una volta il tricolore, e i villaggi dove la retroguardia si battè e i neghittosi furono uccisi dagli inseguitori; udire le onde rompersi contro il molo da cui il residuo della banda salpò nella tempesta notturna; fermarsi sulla spiaggia solitaria e sulle dune sabbiose dove Garibaldi guadagnò la riva a guado con la sua Anita sulle braccia e entrare nella rustica stanza dove egli la vegliò morente, mentre gli austriaci avrebbero potuto bussare alla porta a ogni istante; veder questi luoghi e trovare quanto questa storia sia cara al povero e al ricco, al dotto e all'ignorante, in un paese libero e progressista, consapevole che deve progresso e libertà a questi eroi, tanto ai caduti quanto ai sopravvissuti, tutto questo mi ha insegnato ciò che non si può chiaramente imparare sulle pagine del Ruskin o del Symonda, o di nessun altro autore di melodiosi lamenti sull'Italia, che cioè essa non è morta ma risorta, che contiene non solo rovine ma uomini, che non è la dimora di ombre, ma la terra che i vivi condividono con i loro antenati immortali. (Introduzione, pp.4-7)"