1849: da Roma a New York - I luoghi di Garibaldi

 

La trafila di Garibaldi

Con questo nome viene indicata la catena di patrioti, in genere mazziniani, che, in gran segreto e facendosi forti dell'esperienza "clandestina" della Giovine Italia, della sua rete di contatti e della fede incrollabile negli ideali da essa propugnati, organizzarono quello che all'epoca venne definito lo "scampo", o il "trafugamento" di Giuseppe Garibaldi e degli uomini che con lui erano giunti in Romagna. Garibaldi, lasciata Roma con circa 4.000 uomini la sera del 2 luglio 1849, attraverso Lazio, Umbria, Marche e infine Romagna e Toscana, riuscì a sfuggire alla polizia pontificia e ai soldati austriaci che lo stavano cercando.
Più della metà di quei 4.000 uomini si sbandò, disertò o comunque lasciò la legione garibaldina prima dell'arrivo a San Marino. Qui il Generale, la sera del 31 luglio 1849, conscio dell'impossibilità di continuare a portare con sé nelle Romagne, presidiate sin dal maggio precedente dagli austriaci, i 1.500 uomini che ancora lo seguivano, redasse un Ordine del Giorno con il quale li rendeva liberi:

[…] Militi, io vi sciolgo dall'impegno di accompagnarmi; tornate alle vostre case, ma ricordatevi che l'Italia non deve rimanere nel servaggio e nella menzogna.

Il giorno successivo Garibaldi e i circa 200 uomini che ancora una volta avevano deciso di seguirlo, entrarono in Romagna e si imbarcano sui bragozzi da pesca presi ai pescatori di Cesenatico. Il drammatico epilogo di questo ultimo tentativo di raggiungere Venezia fallì per la presenza in mare di unità della marina austriaca, che riuscirono a bloccare alcuni bragozzi e ad arrestare molti degli uomini imbarcati. Tra gli scampati, Garibaldi, Anita - che però morirà di stenti il 4 agosto alla Fattoria Guiccioli vicino a Ravenna - e il maggiore Giovan Battista Culiolo detto Leggiero verranno invece presi in "consegna" dagli uomini della "trafila": una "trafila" romagnola, ed una "trafila" toscana, congiunte dall'operato di Don Giovanni Verità, parroco di Modigliana.
Nel giro di un mese, guidandoli nottetempo attraverso strade principali e carraie, campi e argini, nascondendoli di giorno in capanni, case, casali, prestando loro cavalli e birocci, gli uomini della "Trafila" riuscirono a portarli all'imbarco di Cala Martina, nel grossetano, sì da consentirne la salvezza.
I nomi di questi uomini dopo l'unificazione del paese divennero noti: molti di loro dettero la propria versione dei fatti, altri furono ringraziati negli anni successivi dallo stesso Garibaldi tornato in Romagna dopo il 1859, altri scrissero o dettarono memorie, molti vennero fotografati, ma tutti vennero ricordati come gli artefici della salvezza dell'Eroe dei due mondi.