Il mito nel genere epico

I ciclopi

 

Secondo il mito narrato da Esiodo, i Ciclopi erano arcaiche divinità, i fabbri divini inventori del fulmine; Omero ne fa invece un popolo di pastori, che vive in un ambiente appartato e selvaggio. Essi vengono infatti collocati in Sicilia o in Campania.

Il loro mondo risulta opposto alla civiltà, o per lo meno a quella Greca: essi non hanno città, vivono isolati, non conoscono leggi, non rispondono a nessun codice morale, men che meno a quello dell’ospitalità; ignorano inoltre il sacrificio e la cottura del cibo, vale a dire i primi fondamenti della vita civilizzata.

I Ciclopi sono cannibali giganteschi e mostruosi che possiedono un solo occhio in mezzo alla fronte, una deformazione del viso che è lo specchio dell’orrore della deformità morale. Essi rappresentano l’oggettivazione dell’istinto di violenza e di sopraffazione che l’uomo civilizzato riesce a dominare.

Ma se da una parte il Ciclope omerico è simbolo di tutto ciò che è barbaro e selvaggio, dall’altra egli sembra godere di una condizione di privilegio proprio per la sua capacità di instaurare un rapporto diretto con la natura. Il Ciclope, crudele con gli esseri umani, sa stabilire un contatto istintivo con gli animali.

Polifemo è figlio di un dio, Poseidone, e vive con i prodotti di una natura non forzata dal lavoro umano; la terra offre spontaneamente i suoi frutti e le greggi crescono miracolosamente.

 


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