Romanzo

STORIA VERA

Alberto Savino per il frontespizio della Storia vera di Luciano, 1944

(Il testo è riportato in sintesi e in traduzione)

Dei due elementi del romanzo classico, l'amore e l'avventura, nella" Storia Vera "di Luciano Samosata è presente soltanto il secondo.

Manca infatti in questo racconto il lato sentimentale, l'atmosfera tipica che creano due innamorati, tutto è invece incentrato sulla figura del protagonista, in questo caso l'autore stesso, e sul gran numero di avventure che gli capitano.

(Riflessioni)

Proprio per questo l'ansia che può prendere il lettore per la sorte dei protagonisti, è sostituita da un vivo senso di curiosità per quanto può ancora succedere, dal desiderio d'incontrare ancora strani esseri, di trovarsi di fronte a situazioni impensate, mondi nuovi, e seguire l'autore nelle sue fantastiche avventure, che spesso si richiamano al mondo greco. Durante la narrazione si perde di vista lo spunto polemico iniziale del romanzo, mentre si può notare l'anticipazione del genere fantastico. Per spunto polemico s'intende il motivo ispiratore dell'opera, con la quale Luciano apre un dibattito con gli storiografi del tempo, offrendo con Storia Vera una caricatura, una parodia del modo di scrivere la storia, che ne supera i limiti e sconfina nella filosofia e abbandona tutti i generi letterari tradizionali, per investire il nuovo genere del romanzo. Ma questo intento polemico è ben lontano dall'essere approfondito con serietà, resta solo motivo di riso. I personaggi che fanno parte del romanzo, siano essi storici, filosofi, grammatici poeti, sono visti come una lunga carrellata, nella quale Luciano, da buon regista, riesce a vedere di essi soltanto il lato comico, a ridere e a far ridere di loro.

 

Il protagonista di questo romanzo è a tal punto attirato dalla sua curiosità che decide di far scorta di provviste di cibo e di acqua per lungo tempo, e di armarsi di tutto punto, per partire alla volta dell'universo sconosciuto che ha sede oltre le colonne d'Ercole, insieme con altri cinquanta compagni, bramosi come lui di conoscere gli usi e i costumi delle popolazioni d'oltreoceano. Così l'allegra compagnia intraprende una rischiosa navigazione, che li porterà spesso a doversi confrontare con i mostri surreali della fantasia, e con la durezza delle tempeste e degli uragani marini.

(6) ... venimmo sbattuti dalla tempesta per settantanove giorni. L'ottantesimo, apparso d'un tratto il Sole, scorgiamo lontano un'isola alta e boscosa, alle cui rive mormoravano lievemente le onde: la furia della tempesta ormai s'era andata calmando. Approdammo e, sbarcati, saremmo a lungo rimasti per terra , scampati com'eravamo ad un sì grande travaglio; tuttavia ci rimettemmo in piedi e scegliemmo trenta di noi per restare a guardia della nave, mentre venti, con me, sarebbero saliti ad esplorare l'isola. In questa strana isola i nostri avventurieri poterono trovare ristoro presso le acque di un fiume che traeva la sua origine, non da sorgenti, bensì da viti cariche d'uva,

(7) ... le cui radici stillavano gocce di vino puro. I molti pesci che vi nuotavano avevano il colore e il sapore del vino, tanto che una volta mangiati provocavano ubriachezza. Oltre il guado del fiume, Luciano e i suoi compagni, trovarono altre viti, ma del tutto insolite :

(8)...nella parte che usciva di terra, nel tronco, erano rigogliose e grosse, nella parte superiore, invece, erano donne, perfette dai fianchi in su, come nel nostro mondo dipingono Dafne in atto di trasformarsi in albero mentre Apollo la sta afferrando. Dalla punta delle dita nascevano i tralci, pieni di grappoli, e viticci, foglie e grappoli avevano per capelli. Ma l'affabilità dimostrata da queste strane creature in principio, celava il pericolo di rimanere intrappolati nelle loro radici, come accadde a due dei suoi compagni. Fatto rifornimento d'acqua e di vino, fuggirono di corsa da quel luogo, ma una volta salpati il pericolo li attendeva di nuovo in mare; infatti un terribile uragano li sollevò dalla distesa d'acqua e li tenne sospesi per ben sette giorni e sette notti. L'ottavo riuscirono ad ancorarsi ad un isola e vi scesero. Mentre esploravano il paese, furono catturati dagli Ippogrifi, uomini che si servono di grandi uccelli come cavalli, e da essi condotti al cospetto del re. Quest'ultimo, Endimione, era stato strappato dalla terra un giorno mentre dormiva, per giungere poi in quel paese che noi chiamiamo Luna. In quei giorni, egli stava combattendo una guerra contro Fetonte, il re del Sole, che da tempo lo infastidiva. Luciano e i suoi folli navigatori vennero coinvolti nella spedizione militare del giorno seguente, accettando di buon grado di aiutare il sovrano, anche per sdebitarsi della sua cortese ospitalità.

(13) ... Restammo dunque lì, suoi ospiti, ed il giorno dopo, all'alba ci alzammo e, poiché le vedette annunziavano che i nemici erano vicini, ci schierammo. Senza i salmeristi, i genieri, i fanti e gli alleati di altri paesi, il numero degli armati era di 100000 : di questi 80000 erano ippogrifi, 20000 i soldati su Ali d'erba (anche questi sono uccelli grossissimi, coperti in tutto il corpo di erbaggi anzichè di penne, con le ali proprio simili a foglie di lattuga). Accanto a questi erano schierati i Lancia-miglio e gli Agli pugnanti. In aiuto di Endimione erano venuti alleati anche dall'Orsa, 30000 Pulci-saggittarii e 50000 Corri-col-vento. Di questi i Pulci-saggittarii cavalcavano pulci grossissime, (e da questo appunto prendono il nome), grosse ciascuna circa dodici elefanti; i Corri-col-vento sono fanti e vengono portati dal vento, senza ali, a questo modo : si legano ai fianchi delle tuniche lunghe fino ai piedi e, facendole gonfiare dal vento a guisa di vele, sono trasportati come navi. Per lo più tali combattenti hanno in battaglia il ruolo di truooe leggere. Si diceva anche che dalle stelle che stanno sopra la Cappadocia sarebbero venuti 5000 Cavalli-gru, ma, siccome non vennero, io non li vidi e per questo non oso descriverne la natura: si raccontavano infatti su di loro cise prodigiose e incredibili.

(15) ... Quando venne il momento si disposero a battaglia così : gli Ippogrifi e il re coi i suoi migliori uomini, e noi con questi, tennero l'ala destra, gli Ali-d'erba l'ala sinistra : al centro stettero gli alleati, ciascuno col proprio contingente di armati. I fanti circa 60000 furono schierati aqursto modo. Nascono presso quella gente molti e grossi ragni, molto più grandi ognuno, delle isole Cicladi: a questi Endimione ordinò colla loro tela lo spazio di cielo fra la Luna e Lucifero. Appena ebbero compiuta l'opera e fatta la pianura, vi dispose la fanteria, al comando di Notturno, figlio di Sereno, e di altri due. Così il piccolo regno della Luna si preparava alla battaglia. La battaglia fu lunga e sanguinosa, e si concluse con la sconfitta di Endimione, e la cattura dei nostri eroi da parte di Fetonte. Questo non distrusse la città, come sarebbe lecito aspettarsi da un crudele vincitore, ma innalzò un irto muro di nuvole nello spazio di cielo tra il Sole e Luna, cosicché quest'ultima sarebbe vissuta per sempre nell'oscurità. Trovatosi allora in tale disperata situazione, Endimone mandò i suoi ambasciatori sul Sole per domandare il ritiro di quella oena, mostrndodi disposto anche a pagare tributi a Fetonte, il quale acconsentì a queste condizioni e così il muro venne abbattutoe i prigionieri liberati, ciascuno secondo il prezzo stabilito. Inoltre i Lunari si impegnarono a non impugnare più le armi contro i solari, ma ad essere loro alleati in caso di attacco, e il re dei lunari pagherà ogni anno al re dei solari, un tributo di 10000 anfore di rugiada e come garanzia darà 10000 dei suoi in ostaggio. Liberati definitivamente, i nostri eroi ripresero il loro viaggio.

(22) ... Voglio ora dire le cose strane e meravigliose che vidi nella Luna durante il tempo che vi restai. Prima di tutto non nascono dalla donna, ma dall'uomo: si sposano infatti tra maschi e della donna non conoscono addirittura neppure il nome. Fino a venticinque anni ciascuno fa la parte della femmina, da quest'età in poi quella del maschio. Portano non nel grembo ma nel ventre delle gambe. Il polpaccio infatti, concepito l'embrione, ingrossa, e dopo un po’ di tempo, mediante un'incisione, ne estraggono dei feti morti, che rendono vitali esponendoli al vento a bocca aperta.

(23) ... Quando un uomo invecchia non muore, ma dissolvendosi in fumo, diventa aria. Il cibo è uguale per tutti: acceso il fuoco, arrostiscono sui carboni delle rane (ce ne sono tante nel loro paese e volano nell'aria) e, man mano che vengono arrostite, seduti in cerchio come intorno ad una tavola, leccano il fumo che ne esala, e banchettano. Questo è il loro cibo; per bevanda hanno aria spremuta in un calice, dalla quale esce un liquido simile a rugiada....Bello presso di loro è ritenuto chi è calvo e senza capelli, mentre hanno addirittura orrore per chi è fornito di chiome.

(24) ... Sgorga dal loro naso, quando se lo soffiano, un miele di sapore molto acre e, ogni volta che compiono qualche sforzo o fanno ginnastica, il loro corpo si irrora di latte: sicché facendovi gocciolare un pò di quel miele, ne fanno anche formaggio....Hanno molte viti, che danno acqua : infatti gli acini dei grappoli sono come chicchi di grandine e io credo che, quando il vento piomba su quelle viti e le scuote, allora quegli acini si staccano e cade sulla terra la grandine. Della pancia poi ne servono come una bisaccia, riponendovi, poiché si può aprire e chiudere, tutto ciò di cui hanno bisogno. Internamente non si vedono né intestini né fegato né alcun'altra cosa, se non pelame tanto folto che i bambini, quando hanno freddo, vi entran dentro.

(25) ...I ricchi hanno vestiti di morbido vetro, i poveri di tessuto di rame, di cui quel paese è molto ricco, che lavorano spruzzandolo d'acqua a mò di lana. Provo ritegno adire che occhi hanno, per timore che qualcuno creda che io racconti frottole....Hanno occhi asportabili e, chi vuole, se li toglie e resta cieco finchè non abbia necessità di vedere : allora se li rimette e vede.

(26) ... Nella reggia vidi anche un'altra meraviglia. C'è, sopra un pozzo non molto profondo, un grandissimo specchio; se uno scende nel pozzo sente tutto quello che si dice da noi sulla terra, se poi guarda nello specchio vede tutte le città, tutti i popoli, come se ci stesse sopra ....Se mai qualcuno non crede che queste cose stiano così, nel caso che giunga lassù saprà che dico il vero. Salutato il re e salpati dalla Luna, la nostra compagnia passò davanti a molte città, fino a giungere al calar della sera in quella di Lucernaria, che si trova tra le Pleiadi e le Iadi, molto più in basso dello Zodiaco. Qui non trovarono esseri umani, ma un popolo di lucerne animate, che come gli uomini, avevano ognuna un proprio nome, e una propria casa, e che li accolsero benevolmente, offrendogli ospitalità per la notte. La reggia della città è posta al centro di essa, e il re siede sul trono per tutta la notte chiamandole un ada una, e se qualcuna risponde, è condannata a morte: cioè essere spenta. La mattina seguente ripartirono, e non poterono distinguere l'oceano prima di tre giorni, a causa del loro incessante navigare nell'aere. Il quarto giorno, dalla gran gioia di essere finalmente stati deposti in mare, Luciano e la sua compagnia si diedero a nuotarvi dentro. Ma, una balena d'incredibili dimensioni e di terribile aspetto, si avvicinava verso di loro. Terrorizzati e atterriti, tutti aspettarono di essere inghiottiti, cosa che accadde anche per la nave. Nella pancia della balena lo spettacolo era di morte e desolazione, pesci e mostri marini maciullati, vele di navi ed ancore sparse per ogni dove, e la luce scompariva ogni volta che la balena chiudeva la bocca, sprofondandoli nel buio più opprimente. Dapprima i nostri eroi si fecero prendere dallo sconforto, ma poi abituatisi a quel soggiorno, scoprirono persino di no essere soli; nella pancia dell'orribile mostro, infatti, c'era anche un altro uomo, costretto a vivere come un essere marino. Questo li ospitò nella casa che si era incredibilmente costruito nella pancia della balena, e gli raccontò la sua storia. Egli era stato inghiottito ventisette anni prima, insieme ai superstiti dell'equipaggio della sua nave, e dopo aver costruito un tempio a Poseidone, e resi gli onori necessari ai morti, si erano rassegnati a vivere dentro la balena. Infatti erano più di mille ad abitare l'orribile animale, e, sebbene gli altri fossero inospitali e di orribile aspetto, sconfiggerli sarebbe stato possibile, in quanto erano disarmati, ed avrebbe significato poter risieder per il resto della loro vita , nella pancia della balena, senza essere disturbati da nessuno. Così, tornati alla loro nave si prepararono all battaglia. Il giorno seguente sconfissero i Testa-di-tonno, i Mani-di -granchio, e i Tritonocapri, in una sanguinosa battaglia che fece risuonare la balena come una spelonca. I nostri eroi non vollero stringere alleanza con i sopravvissuti dei due popoli, e così, vedendosi a mal partito, questi fuggirono attraverso le branchie, preferendo buttarsi in mare. Così passarono un anno e otto mesi, senza che nessuno li disturbasse, e nel quale poterono dedicarsi alle attività più disparate, come la ginnastica, la caccia o il lavoro della vigna. Ma ben presto non sopportarono più di vivere dentro la balena, ed escogitarono di darle fuoco, per costringerla a farli uscire. La balena cominciò a soffrire il calore solo dopo sette giorni, ma fu nel sedicesimo che si resero conto che avrebbero rischiato di morire nella sua carcassa se non le avessero impedito di chiudere la bocca. Così, posizionate delle travi tra i suoi denti, allestirono una nave piena di acqua e viveri, e uscirono di lì. Ma una volta ripresa la navigazione, un forte vento da Nord ghiacciò tutto il mare, e furono costretti ad aspettare che tornasse il caldo per proseguire. Il vagabondare li condusse in un mare di latte, nel quale sorgeva un'improbabile isola che in realtà era un cacio gigante, e nella quale crescevano numerose viti da cui non si ricavava vino, ma latte. Qui trascorsero otto giorni, e poi ripresero a navigare non più nel latte, ma nell'acqua salata; la stranezza questa volta, stava in alcuni uomini, simili a loro nell'aspetto, tranne che per i piedi; erano infatti chiamati Piè-di-sughero, e questa diversità gli permetteva di camminare sul pelo dell'acqua. Furono loro compagni di viaggio per un piccolo tratto, e poi li salutarono dirigendosi verso al loro patria Sugheria, un isola costruita su un grande pezzo di sughero, di fianco alla quale sorgevano altre piccole isole. Una di queste emanava un profumo così gradevole, mandava nell'aria cinguettii di uccellini, creando un'atmosfera così invitante che i nostri eroi decisero di sbarcarvi. Ma avvicinandosi sentirono voci concitate, come di alcuni litiganti. Sull'isola trovarono dei guardiani che li condussero dal signore di quel luogo : Radamanto, infatti erano giunti nella mitica isola dei beati. Non si erano comunque sbagliati, e Radamanto stava cercando di dipanare alcune contese. La prima riguardava Aiace Telamonio; si discuteva se dovesse o no essere ammasso tra gli eroi, perché accusato di pazzia. Radmanto dunque decise che fosse affidato alle cure di Ippocrate, ed in seguito ammesso al banchetto degli eroi. La seconda era sorta intorno ad Elena, per decidere se dovesse vivere con Teseo o con Menelao; e in questo caso Radamanto decise che stesse con Menelao, poiché aveva tanto sofferto per quel matrimonio. La terza ed ultima causa fu per dare la precedenza ad Alessandro, figlio di Filippo, o ad Annibale , il cartaginese. e a spuntarla fu il primo dei due, a cui fu posto un trono vicino al re di Persia, Ciro. Ma anche i nostri eroi furono processati, e quasi di buon grado, visto che c'era tra i giurati anche Aristide l'ateniese, il Giusto. La risposta fu che avrebbero dovuto render conto della loro eccessiva curiosità dopo la morte, e che pertanto potevano restare sull'isola e godersela per non più di sette mesi.

(11) ... Ci caddero automaticamente i serti di rose e, resi da quel momento liberi, venimmo condotti in città, al banchetto Beati. La città è tutta quanta d'oro, le mura che la cingono sono di smeraldo ; ha sette porte, tutte di cannella, d'un sol pezzo; la pavimentazione e il suolo entro le mura sono d'avorio. I templi di tutti gli dei sono costruiti con berillo, e vi sono altissimi altari d'ametista, sui quali fanno le ecatombe. Torno torno alla città scorre un fiume di essenza profumata, squisita, della larghezza di cento cubiti regali e profondo cinquanta, sicché lo si può facilmente navigare. Hanno per bagni edifici grandissimi, di vetro, riscaldati con cannella: nelle vasche, anziché acqua, c'è rugiada calda.

(12) ... Usano per vestirsi sottili ragnatele, di colore porporino. Privi di corpo, sono impalpabili e senza carne; hanno, e lo si vede, solo figura e forma, tuttavia, pur senza corpo, stanno fermi si muovono, pensano e parlano : insomma sembra che l'anima vada in giro nuda, rivestita di un qualche cosa che somiglia al corpo. Senza toccarli non si potrebbe dimostrare che non è corpo quello che si vede. Sono come ombre che stanno dritte, però non di colore scuro. Nessuno invecchia, ma ognuno resta in quell'età che ha quando ci giunge. Non c'è né il buio della notte né la luminosità del giorno; avvolge bensì la terra una luce simile all'albore dell'Aurora, quando non è ancora sorto il sole. Conoscono in tutto l'anno una sola stagione; è sempre primavera e spira un solo vento, zefiro.

(13) ... Il paese è ricco di fiori d'ogni genere di ogni sorta di piante, da giardino e ombrose: le viti mettono germogli dodici volte all'anno e danno frutti ogni mese, i melograni, i meli, e le altre piante danno frutti tredici volte, mi dicevano, perché in un mese, quello che chiamano di Minosse, fruttificano due volte. Anziché grano le spighe producono, sulla loro cima, pani bell'e pronti, come funghi. Intorno alla città ci sono 365 fontane d'acqua, e altrettante di miele, 500 di profumo, più piccole quest'ultime, 7 fiumi di latte e 8 di vino.

(17) ... Voglio dirvi anche quali personaggi illustri vidi lassù : tutti i semidei e gli eroi che mossero contro Troia eccetto Aiace di Locri; lui solo dicevano che era punito nel paese degli empi. Tra i non greci vidi i due Ciri e lo scita Anacarsi e il tracio Zalmoxis e l'italico Numa e poi anche Licurgo spartano e Focine e Tello ateniese e i sapienti, eccetuato Periandro.Vidi anche Socrate, figlio di Sofronisco, a conversazione con Nestore e Palmede; intorno c'erano Giacinto spartano, Narciso di Tebe, Ila molti altri e bei giovani.

(19) Questi dunque erano i più illustri dei presenti. Sopra ogni altro onorano Achille e, dopo di lui , Teseo. Circa i rapporti sessuali e le faccende d'amore, la pensano così : si congiungono apertamente, alla vista di tutti, con uomini e donne, e questo non sembra affatto sconveniente. Solo Socrate giurava di accostarsi ai giovani senza secondi fini, ma tutti pensavano che spergiurasse; lui negava, ma spesso Giacinto e Narciso confessavano. Le donne sono comuni a tutti e nessuno è geloso del vicino: in questo sono quantomai seguaci della dottrina di Platone. I ragazzi si offrono a chi li desidera senza, obbiezione alcuna. Luciano, nel periodo che trascorse sull'isola dei beati, spesso si dilettò ad interrogare Omero sui grandi misteri che ottenebravano la sua vita presso gli antichi. E in questo modo venne a sapere che presso i suoi concittadini era chiamato Tigrane, anche se non specifica il nome della sua contestata patria, e che i versi a lui attribuiti erano realmente tutti suoi. E così trova anche il modo di farsi beffa dei grammatici dell'epoca, (scopo col quale aveva cominciato a narrare le sue inverosimili avventure)che sostenevano diverse congetture sui questi punti cardine. Tra i Beati si tenevano dei giochi detti Tanatusie, che Achille stesso organizzava per la quinti volta e Teseo per la settima. I giochi descritti sembrano del tutto simili alle Olimpiadi, e per tutti il premio era uguale : una corona intrecciata di penne di pavone. Ma nemmeno l'isola dei Beati poteva dirsi immune dai conflitti, e appena finiti i giochi fu annunciato che i detenuti del paese degli empi si erano liberati dalle catene e si dirigevano minacciosamente verso di loro. Così Radamanto schierò gli eroi sulla spiaggia, comandati da Achille, Teseo e Aiace Telamonio, ma fu soprattutto grazie agli sforzi del primo che i Beati ebbero la meglio. Catturati i vinti li ricondussero nuovamente a scontare la pena, resa però più grave. Omero descrisse in un poema anche quest'ultima battaglia, e lo consegnò a Luciano e ai suoi compagni, perchè lo portassero agli uomini, ma durante le loro peripezie andò perduto. Ma durante il sesto mese delle loro permanenza accadde un fatto interessante. Il figlio di Scintaro, Cinira, si era innamorato della bella Elena, e lei pareva ricambiarlo di buon grado. Così progettarono il rapimento della stessa Elena, servendosi dell'aiuto di tre dei compagni di Luciano, con l'intenzione di rifugiarsi in una delle isole vicine. Una notte dunque, atteso che Menelao si addormentasse, Cinira e i tre audaci navigatori si introdussero nelle stanze di Elena e al rapirono. Verso mezzanotte Menelao svegliatosi e avendo trovato il letto vuoto, si recò dal re Radamanto e venne organizzata in tutta fretta una spedizione di navi che in poco tempo avvistò i fuggiaschi e li catturò trscinando la loro nave nel porto legandola con una catena di rose. Cinira e gli altri tre vennero fustigati e condotti nel paese degli empi, e a Luciano e i suoi fu intimato di andarsene entro il giorno seguente. Colto dallo sconforto Luciano chiese a Radamanto di predirgli il futuro dei suoi viaggi, e seppe che avrebbe dovuto affrontare molte altre difficoltà, ma prima o poi sarebbe ritornato in patria e non molto lontano nel tempo un trono posto tra quelli dei più grandi eroi, lo attendeva sull'isola, dunque lo salutò consegnandogli una radice di malva a cui indirizzare le sue preghiere nel momento del bisogno. Prima della loro partenza Omero dedicò a Luciano un'iscrizione, e Ulisse, di nascosto a Penelope, gli consegnò una lettera da portare a Calipso. Quando finalmente salparono, appena allontanatisi dall'isola, il profumo fu sostituito da un forte e disgustoso odore di zolfo, di bitume e di pece, come bruciassero insieme, e i canti degli uccelli dalle grida e dai pianti di molti uomini. Essi provenivano da un isola vicina : l'isola degli empi. Sbarcati sull'isola si accorsero che il terreno era arido e scosceso, nella desolazione del paesaggio si incespicava solo in folti rovi, e presso il luogo di tortura crescevano aculei e spade come erba, e scorrevano tre fiumi : uno di fango, uno di sangue e uno di fuoco. Per tutti e tre c'era un solo passaggio sorvegliato da Timone ateniese. Riuscirono a passare guidati da Naupilo, e riconobbero molti re e molti comuni cittadini, tra cui anche Cinira, puniti per aver ingannato dicendo e scrivendo menzogne, come Ctesia di Cnido ed Erodoto.La vista di quei tormenti atroci divenne così insopportabile che abbandonarono l'isola, e ripreso il mare giunsero di lì a poco nell'isola dei sogni.

(33) Si erge intorno ad essa una selva : le sue piante sono papaveri e mandragore, dove stanno appollaiati un gran numero di pipistrelli (è questo l'unico uccello che nacse nell'isola). Nei pressi scorre il fiume chiamato dagli abitanti Vaga-di-notte; vicino alle porte ci sono due fontane, che hanno esse pure il loro nome, l'una Sonneterno, l'altra Nottintera. La cinta delle mura della città è alta e di vari colori, proprio come quelli dell'arcobaleno. Le porte non sono due, come ha detto Omero, ma quattro, e guardano due verso la pianura dell'indolenza (una di ferro, l'altra di mattoni, attraverso le quali si diceva che uscissero i sogni paurosi, micidiali, funesti), due verso il porto ed il mare (una di corno, per la quale passammo noi, l'altra d'avorio). Sulla destra di chi entra in città si trova il tempio consacrato alla Notte che, insieme al Gallo, il cui tempio è costruito vicino al port, è venerata in sommo grado tra tutti gli dei; sulla sinistra c'è invece la reggia del Sonno. Questi detiene il potere coadiuvato da due governatori e sottocapi, Turbatore, figlio di Nativano, e Soldi-e-fama, figlio di Fantasione. In mezzo alla piazza c'è una fontana detta l'Assonnata, e vicino a questa due templi, uno di Inganno e uno di Verità : qui è il loro sacrario e il loro oracolo a cui sovraintende facendo profezie Antifonte, interprete dei sogni, al quale questo ufficio è stato concesso dal Sonno. Alcuni dei sogni, tra quelli più delicati e piacevoli, accolsero benevolmente tutti loro, e facendoli addormentare, promisero cariche importanti, e ricchezze d'ogni sorta, e condussero alcuni in patria, nella loro casa; ma tutti furono improvisamente svegliati da un tuono, e salparono in fretta e furia. Dopo tre giorni giunsero nell'isola di Ogigia, dove furono benevolmente accolti da Calipso, a cui fu consegnata la lettera in cui Ulisse diceva quanto rimpiangesse di averla lasciata. Il soggiorno sull'isola di Ogigia fu molto breve e il mattino seguente, in mare, incontrarono le Zucche-pirati, che esercitavano la pirateria in quei luoghi. Erano così detti perchè navigavano su grandissime zucche, e li attaccarono ferendoli con i semi delle zucche stesse, ma il combattimento fu presto interrotto dall'arrivo dei Nocenauti, uomini che navigavano su gusci di noce, che a loro volta attaccarono gli Zucche-pirati. I nostri avventurieri levarono in fretta le vele da quel luogo, e proseguirono il viaggio. Nella notte urtarono senza accorgersene contro un enorme nido di alcione che covava uova contenenti pulcini di prodigiose dimensioni. Ma, allontanatisi da questo, una serie di strani prodigi non lasciava presagire nulla di buono : il papero della prora cominciò ad animarsi, il loro pilota, da tempo calvo, a riavere i capelli, e l'albero della nave a germogliare. Proseguendo si trovarono di fronte a quella che sembrava una foresta d'alberi, e quindi la terraferma, ma gli alberi galleggiavano sulla superficie dell'acqua e dunque pensarono di attraversarli issando la nave sulle cime degli alberi, fino a che non fossero di nuovo giunti nel mare. Ma vennero travolti da una voragine d'acqua, che si era formata a causa della divisione delle acque, e riuscirono fortuitamente a valicare un ponte d'acqua che collegava i due mari, giungendo in un isola dimora di selvaggi chiamati Testa-di-bue, simili al Minotauro. Questi subito li attaccarono e uccisero tre di loro, ma anche gli avventurieri navigatori fecero dei prigionieri che barattarono con del cibo. Lungo il cammino incontrarono uomini con uno strano sistema di navigazione consistente nell'utilizzare il loro corpo, ed altri che si facevano trainare da delfini su zattere di sughero. Approdarono in un'isola abitata solo da donne, che li accolsero fin troppo benevolmente per non sospettare. Infatti esse si nutrivano degli ospiti che approdavano sulla loro isola, e Luciano, accortosi di ciò, pregò la malva di aiutarli a scampare tutti quei pericoli imminenti. Così fu, e radunati salparono di nuovo. Giunsero poi, finalmente sulla terra ferma, e pensarono che fosse il continente opposto a loro, ma le avventure che capitarono da quel momento in poi, sono narrate in altri libri.

 

 

LUCIANO DI SAMOSATA

Luciano naque a Samosata, città della Siria posta sulle rive dell'Eufrate, verso il 125 d.C., da una famiglia di modeste condizioni.

Per la sua particolare propensione per la scultura, i suoi genitori, al termine degli studi elementari, lo misero a fare l'apprendista presso uno zio materno, scultore di professione.

Ma la sua inesperienza causò numerosi danni a quest'ultimo, e Luciano decise di riprendere gli studi.

Dove e con chi li abbia compiuti non lo sappiamo; forse nelle scuole di retorica della Ionia.

Verso i 25 anni esordì come avvocato ad Antiochia, ma per obbedire al suo spirito critico ed insofferente, lasciò presto la professione per la vita da sofista.

Compì lunghi viaggi in Asia Minore, in Grecia, in Macedionia,in Gallia dove tenne anche una cattedra di retorica.

Quando poi tornò ad Antiochia stabilì contatti con Lucio Vero, durante la guerra coi Parti, poi da Samosata si trasferì ad Atene, dove rimase per vent'anni, fino a quando, forse per desiderio di una vita più tranquilla, si stabilì ad Alessandria d'Egitto, dove morì verso la fine del secolo.

Le sue opere si compongono di ottantadue scritti, dei quali non tutti autentici, tra i restanti ricordiamo: l'autobiografico Sogno,la monografia Come si deve scrivere la storia, i Dialoghi dei morti, i Dialoghi degli Dei, i Dialoghi marini, i Dialoghi delle cortigiane, il Gallo, le Sette all'incanto, Sulla morte di Peregrino.

 

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