Romanzo

"SATYRICON"
(Petronio)

Satyricon

 

Le vicende del romanzo hanno come teatro dapprima Pozzuoli, e poi Crotone, e come protagonisti due giovani piuttosto libertini, Encolpio e Ascilto.

Al loro seguito c'è un giovane, anche lui di facili costumi, di nome Gitone, che è continuamente conteso fra i due.

Durante una lezione del retore Agamennone, Encolpio si accorge delle fuga di Ascilto, e vagabonda per la città nel tentativo di trovarlo, ma non conoscendo la bene è vittima dei raggiri di una vecchietta, prima di trovarlo in albergo, dove Gitone racconta di esser stato offeso da Ascilto, e fa scoppiare una furibonda lite tra gli altri due.

In un primo momento decidono di separarsi, ma dopo essersi riappacificati abbandonano la città in cerca di maggior fortuna. Lungo il loro pellegrinare incontrano prima un cavaliere romano di nome Licurgo, che li ospita nella sua villa, poi a Lica, un ricco possidente s'innamora di Encolpio e lo invita a casa sua.

Passate queste avventure giungono in una città della Campania, dove s'introducono sbadatadatamente in un piccolo tempio nel quale delle donne stavano celebrando un baccanale. I tre riescono a sfuggire all'ira delle sacerdotesse rifugiandosi in un albergo, ma poco dopo vengono raggiunti da una di loro, Quartilia, che pretende da Encolpio dei favori che lui non è in grado di darle, come espiazione dell'oltraggio subito.

Così Quartilia, per ripicca, li fa sottoporre a torture e punizioni disgustose.

In seguito sono invitati a cena da un certo Trimalchione, un arricchito, rozzo e saccente, che è solito far imbandire la sua tavola dei i cibi più costosi, per poi compiacersi del loro prezzo eccessivo con gli stessi convitati durante il banchetto.

Dopo aver dato sfoggio della sua ignoranza, parlando di argomenti di cui non conosceva nulla, e raccontando barzellette poco divertenti, Trimalchione crolla ubriaco fradicio, e si fa suonare un'aria funebre disteso su dei guanciali, con i vestiti destinati alla sua sepoltura.

Scena conviviale

(Riflessioni)

In questo modo termina la famosa cena, che costituitisce la parte più nota ed interessante del romanzo, in quanto stendardo della rappresentazione sarcastica del cattivo gusto di quell'epoca dell'impero.

C'è chi vede in questa figura una caricatura di Tigellino o di Claudio, ma è una fatica aleatoria, e irrilevante ai fini dell'arte.

Ritornati in albergo scoppia una nuova lite a causa della gelosia per Gitone, che, difronte alla decisione dei due di separarsi, sceglie di seguire Ascilto.

Encolpio però, rimane solo per poco tempo, perchè s'imbatte in un poeta di nome Eumolpo, che iprovvisa versi a getto continuo e racconta anche due interessanti novelle : La Matrona di Efeso e il Fanciullino di Pergamo.

Poco dopo i due, che viaggiavano insieme, ritrovano Gitone ed egli si unisce a loro, nelle mille avventure che devono affrontare, tra queste persino un viaggio in mare che finisce in un naufargio.

Salvatisi a stento, i tre compagni sbarcano a Crotone, e lì vivono di sotterfugi e di inganni per sbarcare il lunario.

Ma i loro traffici vengono presto scoperti, e mentre Encolpio e Gitone riescono a fuggire, Eumolpo fa una brutta fine ad opera di coloro che aveva ingannato.

(Riflessioni)

Esso è l'unico documento scritto completamente in lingua classica che ci sia pervenuto.

Questo romanzo ricorda, per la sua struttura molti generi letterari, da quello tipico della satira romana, alle satire menippee, per la varietà degli argomenti, fino alle novelle milesie per i contenuti spinti.

Ma è del tutto nuovo il modo che l'autore ha di rappresentare il cattivo gusto e la depravazione dell'epoca.

Gli estratti di cui siamo in possesso non sono che una piccola parte dell'opera originale, che doveva essere molto più lunga, e appartengono probabilmente al XV e XVI.

Ma non si può dire nulla di certo nemmeno sulle vicende a cui il Satyricon andò incontro, poiché, di un testo così originale non si trova menzione, se non a partire dal III secolo, nel testo del grammatico Terenziano Mauro.

Altre citazioni sono riportate da Macrobio (IV-V secolo), dal poeta Sidonio Apolinare (V secolo) e dai grammatici Servio e Diomede (IV-V) e Prisciano (V secolo).

Forse del romanzo, dopo il VII secolo, non esistevano altro che frammenti, ridotti col passare del tempo a quello che oggi possediamo.

 

 

PETRONIO

Petronio Arbitro è uno dei personaggi più singolari della letteratura latina, autore di un'opera tra le più vive e originali di ogni tempo.

E' alquanto controversa l'epoca in cui visse: i più, con fondate ragioni, lo collocano nei tempi di Nerone, altri sostengono ch'egli appartenga ad un'età posteriore, forse al II-III secolo dell'impero.

Per noi Petronio è legato all'età neroniana per cultura e formazione: le allusioni, le polemiche, i contrasti si intendono e si apprezzano nel loro giusto valore, solo se riferiti al tempo in cui vissero Nerone e Luciano Quindi, con molta probabilità, questo Petronio dev'essere proprio quello di cui Tacito fa un memorabile profilo:

"Petronio trascorreva le giornate dormendo, la notte invece la passava negli obblighi del suo ufficio e nei piaceri; e come altri con l'operosità, così costui era divenuto famoso proprio con la sua ignavia; era peraltro ritenuto non un crapulone né un dissipatore, come lo sono la maggior parte di coloro che sperperano il patrimonio, ma un raffinato nel lusso.

Era stato proconsole in Bitinia e poi console, mostrandosi pieno di vigore e pari all'alto compito.

Poi ricaduto nei vizi oppure dandosi l'aria di vizioso, fu assunto tra gli intimi di Nerone, come arbitro di eleganza, al punto che l'imperatore non stimava piacevole o elegante, se non ciò che Petronio gli avesse approvato.

Di qui venne l'invidia di Tigellino (il potente ministro di Nerone) nei riguardi di un rivale più abile di lui nella scienza dei piaceri...."

Fu per questo che Nerone, istigato da Tigellino, accusò Petronio di simpatizzare per la congiura di Pisone, che mirava ad eliminare il folle principe (65 d.C.), e che per disgrazia venne scoperta e sanguinosamente repressa.

Come Seneca e Luciano, anche Petronio recevette l'ordine di morire, e scelse lo svenament, come usava allora.

"Cenò - continua Tacito (Annales XVI, 19) - si pose poi a dormire, affinché la sua morte, sebbene imposta, apparisse fortuita.

Neppure nel testamento adulò Nerone e Tigellino o qualche altro potente, come faceva la maggior parte dei condannati; anzi, descrisse la vita scandalosa del principe e le sue nuove dissolutezze, facendo i nomi delle persone; sigillò il plico e lo mandò a Nerone."

Il profilo e il carattere dell'autore, come possiamo immaginarli attraverso la sua opera, potrebbero benissimo coincidere col ritratto che ci dà Tacito di lui: Petronio appare davvero erudito luxu ed eleganziae arbiter: un raffinato signore che gode di piaceri scelti e rari, che perciò non può soffrire quelle persone che invece sono grossolane nel godimento della ricchezza.

Dall'opera esce inoltre l'immagine di uno spirito superiore, che si mantiene impassibile e sorridente in tutte le circostanze, soprattutto in quelle estreme. Perciò si è con ragione portati ad identificare nel Petronio tacitiano l'autore del Satyricon.

 

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