Il mito nel genere eoico

PARIDE

Paride

Figlio di Priamo re di Troia e di Ecuba, sua moglie, Omero preferisce chiamarlo alexandros. Non è chiaro se fosse il primogenito, perché secondo Omero nacque dopo Ettore ma nell’Iliade si narra invece di quando venne inviato a Sparta a diciannove anni prima della morte del padre che quindi sembrerebbe più giovane. Fu a causa del privilegio della primogenitura che Paride riuscì a tenere con sé Elena contro un’opposizione pur molto forte. Viene considerato uno dei figli più giovani, probabilmente per giustificare la sua prestanza fisica. Le leggende che riguardano la sua nascita e l’infanzia non vengono menzionate da Omero e potrebbero essere più tarde . Poco prima della nascita la madre sognò di dare alla luce un tizzone ardente grazie a cui la città veniva distrutta e incendiata, oppure un mostro centimane che distruggeva Troia. Un indovino di nome Esaco figlio di Priamo e della ninfa Alexirroe (oppure una sibilla) avvisò Priamo che quel sogno annunciava il disastro e che perciò il bambino doveva morire. Priamo affidò Paride a un pastore di nome Agelao che lo abbandonò sul monte Ida, ma trovandolo ancora vivo dopo 5 giorni (un’orsa l’aveva nutrito) ne ebbe pietà e lo tenne con sé.

Crescendo si rivelò un giovane di straordinaria bellezza e a tempo debito ritornò in seno alla sua famiglia. Un giorno Priamo mandò alcuni uomini sulla montagna per catturare un toro che avrebbe costituito il premio dei giochi funebri che stavano per avere inizio. Il toro scelto era il prediletto di Paride che seguì gli uomini gli uomini mandati dal padre fino al padre deciso a prendere parte ai giochi e a riconquistare l’animale. Si dimostrò tanto coraggioso da scatenare la gelosia degli altri figli di Priamo: Deifobo cercò di colpirlo con la spada e Paride si rifugiò presso l’altare di Zeus, dove Cassandra lo vide e lo riconobbe, Priamo, dimentico del sogno di Ecuba, lo accolse. Paride era sposato con una ninfa di nome Enone, figlia del fiume Cebreno. Non si trasferì nella reggia del padre ma continuò ad abitare con lei sul monte Ida, pascolando le greggi del padre insieme ai compagni d’infanzia.

A questo punto Ermete, per richiesta di Zeus, condusse Era, Atene e Afrodite sul monte Ida per risolvere la contesa sul pomo d’oro gettato da Eris (Discordia) alle nozze di Peleo e Teti, pomo che doveva andare alla più bella. A Paride toccò il giudizio e le tre dee cercarono di guadagnarsi il premio offrendogli rispettivamente il dominio dell’Asia, la vittoria in tutte le battaglie e la donna più bella del mondo. Paride si lasciò sedurre da quest’ultima offerta e attribuì il premio ad Afrodite che da quel giorno lo protesse e cercò di organizzargli il matrimonio con Elena.

Infatti Priamo, sotto l’influenza della dea, mandò Paride da Menelao, re di Sparta. Si narra che alla sua partenza che alla sua partenza Eleno e Cassandra predissero la caduta di Troia e Enone, sapendo che Paride l’avrebbe abbandonata, gli disse di tornare da lei sul monte Ida solo se fosse stato ferito, poiché lei era l’unica in grado di guarirlo.

Quando Paride giunse a Sparta, Menelao lo accolse cordialmente, a causa di Afrodite se ne innamorò perdutamente. Dopo nove giorni Menelao partì per Creta, dove doveva presenziare alla cerimonia funebre per il nonno Catreo. La notte stessa, Paride, fuggì con Elena portando con se anche una grande parte del tesoro privato di Menelao. Non è chiaro quanto tempo ci impiegarono per raggiungere Troia. Secondo alcuni venne spinti fino a Sidone, in Fenicia, a causa di una tempesta scatenata da Era, e Paride conquistò la città. Secondo un’altra versione raggiunsero Troia in tre giorni. Ma, secondo un’ulteriore versione, Era fabbricò un fantasma di Elena mentre la donna veniva portata al sicuro in Egitto, e fu con questo fantasma che Paride giunse a Troia.

Il ratto di Elena, metà del quattrocento, Benozzo Gozzoli

Dopo molti anni, rivelatosi impossibile riavere Elena con la diplomazia, i principi greci riuniti in un grande esercito attaccarono Troia sotto il supremo comando di Agamennone, fratello di Menelao. "L’Iliade" di Omero narra gli avvenimenti accaduti durante i dieci lunghi anni di assedio, in cui Paride non ebbe che un insignificante ruolo marginale. Il nome che gli da Omero, cioè Alexandros, significa "difensore degli uomini" suggerisce grande valore. Ma scegliendo di dare la mela d’oro in premio ad Afrodite, il giovane aveva perso le capacità di giudizio e di coraggio che gli avrebbero fornito Era e Atena. Combatté un unico duello contro Menelao, combattimento che avrebbe dovuto decidere le sorti dell’intera guerra. Paride in quest’occasione si comportò da codardo e poiché Menelao stava per avere la meglio, Afrodite fece in modo che la cinghia dell’elmo del greco si rompesse facendolo cadere sugli occhi e approfittò di quel momento di momentanea cecità del Greco per nascondere Paride nella camera da letto di Elena, protetto da una spessa nebbia. Erano in pochi a rispettarlo e, lo stesso Ettore, fu spesso sarcastico con lui. Eppure fu proprio Paride a uccidere Achille, anche se la freccia era guidata da Apollo. Poco dopo anche Paride trovò la morte, colpito da una freccia scagliata dall’arco di Ercole, nelle mani di Filottete. Ferito a morte chiese ai suoi amici di portarlo sul monte Ida dove Enone avrebbe dovuto curarlo. Ma, dopo diciannove anni, la ninfa aveva cambiato opinione e quindi Paride venne riportato a Troia dove subito morì. Enone si pentì di essersi vendicata per l’abbandono e disperata e divorata dai rimorsi si impiccò.

 


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