Uno dei motivi di originalità del poema virgiliano è la presenza di tormentate figure femminili accanto a una moltitudine di figure maschili. Come i personaggi maschili esse rispecchiano i valori della Roma delle origini che intorno al I secolo a.C. sono decaduti.
Al fine di riaffermarli, Augusto si avvale dell'ausilio di poeti, scrittori e filosofi.
Nel II libro compare Cassandra figlia di Priamo e di Ecuba; Apollo le aveva donato l'arte divinatoria, ma non avendo ella voluto sposarlo, il dio, poiché non poteva più togliere il dono, aveva stabilito che nessuno dovesse mai prestar fede a quanto ella predicava. Ella è fuggevole apparizione ma ha tanta vita interiore da dominare tutta la catastrofe di Troia in fiamme.
In questa musicale figura di donna è idealizzato il tormento di un popolo.
La figura di Creusa compare e scompare nel II libro: c'è però un ricordo di lei nel III, e precisamente nelle parole di Andromaca, e nel IX, dove Iulo stesso mostra di conservare come sacro il ricordo della madre, quando promette la protezione della vecchia madre di Eurialo
(" Madre sarà lei per me, soltanto il nome di Creusa le mancherà " vv. 297 298).
La donna più nota dell'Eneide è Didone. In una prima fase Didone dignitosa e composta liberatasi dalla presenza angosciante e insidiosa di Pigmalione, (assassino del marito Sicheo) tenta di ricostruirsi una vita. In una seconda fase invece il suo comportamento cambia radicalmente: l'amore non corrisposto e il tradimento del giuramento prestato sulle ceneri del marito Sicheo la tormentano tanto da farla giungere alla pazzia:
"ma già la regina, tormentata da un profondo
affanno
nutre una ferita nelle vene e un cieco fuoco la divora
.".
La scelta del suicidio diviene così un'affermazione suprema della sua consapevolezza di donna tradita che deve per forza sortire da una vicenda che non la riguarda più.
Nell'oltretomba si ricongiunge al marito Sicheo. Durante l'incontro tra Enea e Didone, l'uomo le manifesta affetto e pietà con lo straziante appellativo con cui la chiama anche Virgilio "Infelix Dido" . Per la creazione di questa figura femminile Virgilio si ispira a Medea descritta nelle Argonautiche di Apollonio Rodio III secolo a.C. e ad Arianna cantata da Catullo nel carme LXIV.
Anna compare nel libro IV, quando Didone le confida il suo amore per Enea ed ella ingenuamente la incoraggia a cedere alla passione:
"O più cara della luce alla sorella
ti consumerai sola e dolente per l'intera giovinezza
e non conoscerai i dolci figli né i doni di Venere?
Credi che di ciò si curino le ceneri e i Mani sepolti?"
Camilla è un'ardente guerriera, figura originalissima che non ha alcun modello né nella tradizione Omerica, né nella letteratura epica posteriore, anche se qualcuno ha voluto avvicinarla alla leggenda di Arpalice e al mito di Pentesilla. E' un'altra delle giovani creature che muoiono nel fiore degli anni per "quell'umile Italia " di cui parla Dante (inferno v. 107) e che sembra debba concentrarsi col sangue di questi eroi giovinetti.
Quello che sorprende è come Virgilio sia riuscito a farne una figura assolutamente "femminile" , pur nella scelta mascolina della vita.
La Sibilla è la profetessa che abita in una grotta nei pressi di Cuma, in Campania, e detta perciò Cumana. Nell'Eneide compare nel libro VI: spiega ad Enea i riti da compiere per scendere agli inferi e lo guida all'interno del mondo dei morti.
E' la guida di cui Enea ha assoluto bisogno per compiere il viaggio, e la sua presenza non è affatto secondaria, ma sottolinea il significato profondo e sacrale del viaggio di Enea.
Lavinia è la figlia del re Latino e della regina Amata.
La rarità delle sue apparizioni nell'Eneide, in contrasto con la frequenza del nome e con l'importanza che gravita intorno a lei, ne sottolinea la costante passività rispetto al Fato nel cui progetto è parte indispensabile; infatti piange e arrossisce quando Amata supplica Turno di non andare alla morte, ciò significa che forse lo ama, ma con riserbo, perché egli è fidanzato gradito alla madre. Ma ella sposerà Enea, perché sarà il marito voluto dal padre e dai Mani.
Pensiamo che sarà di quella sposa e matrona romana che potranno dire di sé solo
"UBI TU GAIUS EGO GAIA"