L'amore e il destino

 

Analizzando i personaggi si arriva meglio a comprenderne il destino: Enea non è un fiero guerriero assetato di strage, ma piuttosto un uomo al quale è stata affidata una missione divina, che deve compiere a qualsiasi costo. La stessa sua freddezza è segno della consapevolezza di avere un dovere, per il quale è disposto a sacrificare ogni sentimento personale. Didone, invece, è l’esatta antitesi dell’eroe. Anch’ella, come Enea, ha avuto una sorte avversa, ma sembra aver ritrovato la pace.wpe14.jpg (11489 byte) La passione fra i due ha comunque i suoi aspetti utilitaristici: dall’unione di due stirpi, punica e troiana, potrebbe sorgere un popolo dominatore del mondo.

Tutto comincia quando Enea, trovatosi in una spiaggia dopo la tempesta marina, incontra sua madre Venere, che lo invita ad entrare a Cartagine dove la regina Didone lo accoglie benevolmente. E’ chiaro che Enea non prova amore nei confronti di Didone ma gratitudine, come del resto ella non ne prova per Enea. Quando Didone organizza il banchetto Venere sostituisce il dio Amore ad Ascanio: con il compito di farla innamorare. Il giorno seguente viene indetta una caccia durante la quale, per volere degli dei, si scatena una tempesta che porta i due a rifugiarsi nella stessa spelonca e ad unirsi in amore. Jarba si lamenta con Giove che Didone abbia concesso ad uno straniero l’amore a lui rifiutato. Così Giove ordina a Mercurio di andare da Enea per ricordargli la sua missione. Questi si propone di obbedire e ormai prova solo pietà per Didone, come per la vittima di una fatale illusione. Servendosi di un inganno predispone la partenza senza avvertire la Regina, la quale ne ha comunque il presentimento e affronta violentemente l’amato, ora ingrato e traditore. Poiché la risposta di Enea non lascia dubbi sul suo proposito di partire, non si capisce se l’eroe rimpianga l’amore di Didone o soltanto l’ospitalità del paese dove ha riposato. Quando la flotta troiana prende il largo, Didone si rimprovera la vanità delle ultime speranze, e la donna tremendamente innamorata di qualche ora prima si trasforma in regina offesa: decide infatti di uccidersi su un rogo lasciandosi cadere sulla spada di Enea.

Il sucidio della regina Didone, Guercino, 1631

Dunque il fato in questo libro assume un rilievo del tutto particolare: è il filo conduttore involuto e solenne delle vicende umane. Esso domina tirannicamente anche gli dei, in forza di una legge recondita che solo l’uomo giusto e forte può affrontare, con la speranza di poterlo piegare ai fini della giustizia. Nell’antichità esso aveva un grande peso per lo sviluppo dei destini individuali e tutti gli uomini ne erano consapevoli, anche se col passare del tempo, gli stessi capiscono che è possibile condizionarlo con il proprio comportamento; nel poema di Virgilio, ad esempio, coloro che si adeguano al destino possono sperare in una ricompensa per i loro sforzi e le loro azioni, come Enea. Coloro invece che si oppongono alla fine soccombono, come Didone. Il fato soddisfa anche le ripicche divine: prima Venere poi Giove sono coloro che, rispettivamente, fanno innamorare e poi separare i due personaggi e, anche se involontariamente, sono proprio loro a provocare la morte di Didone. Con ciò vogliamo semplicemente dimostrare l’influenza degli dei sugli esseri umani. Essi, infatti, sono consapevoli di non poter modificare la successione degli eventi voluti dal fato e spesso ne favoriscono la realizzazione. Qualche volta, invece, vi si oppongono ma, anche in questi casi, finiscono col soccombere.

 

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