Il viaggio come itinerario romantico della immaginazione verso un paese ideale

 

Con l’Ottocento, l’esperienza del viaggio, pur conservando solidi rapporti con la realtà, diventa, nella letteratura, una esperienza di tipo interiore che assume molteplici significati, tutti riconducibili all’aspetto dominante della sensibilità romantica: l’inquietudine e l’irrequietezza interiore.

Il viaggio diventa, per i Romantici, l’itinerario dell’immaginazione verso un mondo ideale, il luogo mitico delle origine del sapere della civiltà, un luogo lontano dalla realtà borghese così superficiale e materialistica. Il viaggio nasce dal rifiuto della realtà per cercare quegli ideali di libertà, giustizia e verità nei quali crede l’intellettuale romantico.

Vi è molto spesso un legame fra la vita dei letterati che viaggiano incessantemente e i personaggi delle loro opere. Significativo è il caso di Lord Byron che viaggiò in tutto il Mediterraneo, e del personaggio Aroldo che, nel poema "Il pellegrinaggio del giovane Aroldo" (1818) intraprende un itinerario simile a quello del suo autore.

Altrettanto significativo è il “Viaggio in Italia” di J. W. Goethe si può notare come l’autore, modello di viaggiatore illuminato, è tutt’altro che un turista distratto, attento ai soli aspetti esteriori. Benché il suo viaggio sia legato innanzi tutto a motivi di educazione estetica e artistica, lo spirito civile dell’età dei lumi è infatti molto forte in lui, e non gli consente di passare sotto silenzio aspetti meno gradevoli di città per altri versi incantevoli come Palermo, per esempio la scarsa pulizia urbana. Goethe, comunque, non si limita a prendere visione del problema di questa città, ma si sforza di individuarne le responsabilità oggettive, il che testimonia la serietà e la concretezza con cui l’intellettuale illuminista affrontava temi tradizionalmente esclusi dal ristretto e idealizzante ambito di interessi dell’arte. Inoltre erano pochi i viaggiatori, soprattutto nordeuropei, che giungendo in Italia fossero abbastanza aperti e in grado di esercitare sì il diritto irrinunciabile alla critica, ma anche di saper cogliere e apprezzare le differenze di mentalità e cultura, talvolta giungendo perfino a trovarne delle giustificazioni in sede storica e ufficiale. Esemplari in entrambi i sensi sono per esempio varie pagine di Goethe, nelle quali lo scrittore tedesco affianca la critica impietosa all’analisi lucida e realistica. Proprio in questo periodo, infatti, lo spirito civile rende assai diversa questa letteratura di viaggio rispetto a quella dei secoli precedenti, e ciò si deve principalmente al fatto che allo spirito esteriore del turista, attento per lo più ai paesaggi naturali e ai monumenti dell’uomo, si affianca ora un’attenzione più marcata per lo studio dei popoli nella loro dimensione collettiva, per la loro storia, i costumi e, soprattutto, le istituzioni economiche, politiche e civili. Allo stesso tempo, però, il viaggiatore del Settecento è uomo che tende a privilegiare le esperienze più nuove e curiose (a volte anche pericolose) che la vita ed il viaggio possono offrire; di conseguenza il narratore-viaggiatore, oltre che delle società con cui viene a contatto, tende a raccontare ampiamente di sé, del proprio mondo interiore, delle proprie esperienze, dalle reazioni suscitategli dall’incontro con usi e costumi tanto diversi dai propri. Uno dei tanti esempi risalenti a questo periodo è il “Grand Tour”: qui troviamo come protagonista il giovane che, con un viaggio, con la separazione dalla famiglia, dalla casa e dai luoghi abituali, abbandona il proprio mondo infantile, spensierato e irresponsabile per avventurarsi in un mondo ignoto e misterioso, dove così quel processo di crescita e di maturazione interiore che, una volta fatto ritorno a casa, lo renderà pronto a fare il definitivo ingresso nel mondo degli adulti. Inoltre lo spirito di avventura del giovane viaggiatore è accompagnato dall’attenzione che egli ha nei confronti degli aspetti civili del viaggio, cioè quelli che consentono di fare esperienze di usi, costumi, mentalità diverse dalla propria. Di Giulia Iseppi & Laura Bozicevic

Anche Ugo Foscolo condivide con il suo personaggio Jacopo Ortis, protagonista del romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" (1802) l’esperienza del viaggio: è un peregrinare amaro quello di Foscolo. Ortis, vissuto con sofferenza; il viaggio nasce dalla delusione dell’eroe romantico che non si sente più guida della società e cerca di placare la sua irrequietezza viaggiando. Scrive infatti Jacopo all’amico Lorenzo:
"Domani parto verso la Francia; e chi sa?" Forse assai più lontano…Tu dirai che forse io dovrei fuggire prima da me stesso…"

Nelle opere di Foscolo, soprattutto nei suoi sonetti, il viaggio è anche il ritorno, attraverso l’immaginazione, ai luoghi della sua infanzia, che sono i luoghi mitici della antica Grecia; Zacinto è il simbolo della armonia, della bellezza e della serenità, "…Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso…"

E’ lo stupendo potere dell’immaginazione che dà conforto;ormai le scoperte e i viaggi hanno portato a molte conoscenze e certezze e hanno distrutto i sogni.

Il viaggio è ora viaggio dell’immaginazione e la fantasia sprofonda e si perde nel nulla e nell’infinito. E’ ciò che accade a Leopardi che esprime la sua infelicità di vivere, il suo disagio interiore che può trovare un po’ di pace nella assoluta libertà della immaginazione, nell’intuire l’infinito:

"…Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura
………Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare"