Il viaggio come "errare fantastico"

 

Durante il Medio Evo, si diffondono i racconti del romanzo cortese, come "La chanson del Roland" o le storie dei cavalieri della Tavola Rotonda, di Lancillotto e Ginevra; in essi l’errore è al centro dell’esperienza del cavaliere, è ricerca di avventure straordinarie e casuali, di imprevedibili incontri.

Con il viaggio cavalleresco, avviene un mutamento fondamentale: quello che nell’antichità era penitenza e sofferenza imposta dagli dei, diviene manifestazione di assoluta libertà, autoaffermazione dell’uomo, sete di conoscenza e scoperta.

Il cavaliere medievale sceglie di partire per dare, nel suo vagare senza meta, un senso alla propria vita, affermando i valori nei quali crede: difesa della Cristianità, fedeltà al dovere e al codice cavalleresco, fedeltà alla donna amata.

La partenza non dà più un senso di sgomento e il viaggio è prova di valore e virtù.

L’immagine esemplare del "cavaliere senza macchia e senza paura" nasce e si conferma attraverso il superamento di continue prove, che si intrecciano con aspetti fantastici, come incantesimi e magie.

Questo gusto dell’avventura è ancora più evidente nei poemi rinascimentali, come l’"Orlano Furioso" di Ludovico Ariosto, che descrive l’incessante andare dei cavalieri protagonisti di avventure straordinarie, in spazi misteriosi e fiabeschi, lontani da ogni possibile collocazione reale. Orlando, Rinaldo, Ruggero esprimono l’impulso avventuroso dell’età moderna e lo slancio della fantasia che porta il cavaliere Astolfo persino sulla luna o Ruggero in volo sull’oceano, verso ovest, secondo la rotta degli scopritori del nuovo mondo.