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(1800 - 1900)

 

La tessitrice

GIOVANNI PASCOLI, Canti di Castelvecchio, La tessitrice

 

La lirica è inserita nella sezione finale dei "Canti di Castelvecchio", intitolata "Il ritorno a San Mauro". Rappresenta una sorta di ritorno alla fanciullezza e alla giovinezza, infrante dall’esperienza sconvolgente della morte. I defunti, che il poeta per tutta la vita ha portato in sè, riaffiorano dai gorghi dell’anima: il padre, la madre, il suo io fanciullo e la tessitrice, la giovane per la quale, un tempo, visse in sogno un amore giovanile. Ma questi morti non sono ritorno nostalgico e dolce della giovinezza, com’è la Silvia leopardiana; sono una presenza, ombre esili, dipinte di un vago pallore di fantasmi, di un colore evanescente eppur quasi fisico di morte: segno di un’angoscia ancora non consumata. Così nella lirica, il dialogo, che in realtà è un monologo, del poeta con la tessitrice, si conclude con un’immagine funerea.

Ella tesse il funebre sudario, nel quale dormirà con lui un sonno eterno. La rimembranza d’amore culmina in una fantasia desolata di morte: la vita appare un brillare effimero, fra smisurati abissi d’ombra.

 Mi son seduto su la panchetta
come una volta... quanti anni fa?
Ella, come una volta, s’è stretta
su la panchetta.
E non il suono d’una parola;
solo un sorriso tutto pietà.
La bianca mano lascia la spola.
Piango, e le dico: Come ho potuto,
dolce mio bene, partir da te?
Piange, e mi dice d’un cenno muto:
Come hai potuto?
Con un sospiro quindi la cassa
tira del muto pettine a sè.
Muta la spola passa e ripassa.
Piango, e le chiedo: Perchè non suona
dunque l’arguto pettine più?
Ella mi fissa timida e buona:
Perchè non suona?
E piange, e piange - Mio dolce amore,
non t’hanno detto? non lo sai tu?
Io non son viva che nel tuo cuore.
Morta! Sì, morta! Se tesso, tesso
per te soltanto; come non so:
in questa tela, sotto il cipresso,
accanto alfine ti dormirò.

 La giovane tessitrice evocata in questa lirica è per Pascoli, con la sua evanescente figura, il simbolo dell’amore perduto e, allo stesso tempo, della morte, promessa come un riposo e un rifugio. E’ inoltre il simbolo della Parca, che fila la trama della vita del poeta: essa vivrà fino a che il poeta la terrà in vita con il suo ricordo, ma quando essa morirà, si concluderà anche la vita del poeta. Nei due versi iniziali Pascoli rievoca quella "panchetta" sulla quale sedette accanto alla fanciulla.

In seguito poi riaffiora, dal fondo dell’anima del poeta, il fantasma della fanciulla nei gesti che denotano la sua dolce e pudica femminilità. Egli le rivolge alcune domande ed alla sua voce si contrappone quella "immaginaria" della tessitrice che suona come un’eco silenziosa.

Nelle ultime due strofe dunque, la giovane cerca di "svegliare" il poeta, informandolo del fatto che lei è viva solo nel suo ricordo, ma in realtà è morta. E tesse, tesse soltanto grazie a lui e lo rassicura dicendo che, quando anche egli morirà, dormiranno insieme sotto il cipresso.

 

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GIOVANNI PASCOLI

 

Nacque a San Mauro di Romagna nel 1855 e della sua terra portò sempre vivo il ricordo. Il 10 Agosto del ‘67 il padre fu assassinato da ignoti. Questo evento luttuoso segnò l’inizio di un periodo di miseria e di sventura: l’anno seguente morì una sorella, quindi la madre e due fratelli. Nel ‘73 il poeta vinse una borsa di studio all’università di Bologna, dove s’iscrisse alla facoltà di lettere, e per due anni proseguì con serietà una cupa prostrazione. Abbandonò gli studi e piombò in una squallida miseria. Laureatosi nell’82, intraprese la carriera dell’insegnamento. Fu professore di latino e greco in alcuni licei e infine, nel 1906 , succedette al Carducci nella cattedra di letteratura italiana all’università di Bologna.
Morì nel 1912 e fu sepolto a Castelvecchio di Barga.
Ampia fu la sua produzione poetica, compresa nelle raccolte Myricae (1891), Poemetti (1897), che verranno in seguito ampliati e sdoppiati nelle due raccolte Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909), Canti di Castelvecchio (1903),Poemi Conviviali (1904), Odi e Inni (1906), Poemi Italici, Poemi del Risorgimento e Canzoni di Re Enzio. Notevolissimi e spesso veri capolavori sono i Carmina, cioè i poemetti latini, soprattutto quelli "cristiani". Meno significativa la sua produzione in prosa.

 

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