chedes_2.gif (1699 byte) 
(1800 - 1900)

       

 

GERTRUDE

ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi

 

Gertrude, la "Monaca di Monza", viene presentata dal Manzoni nei capitoli IX e X del romanzo. Traendo spunto da questo personaggio realmente vissuto, l’autore ricostruisce la personalità della giovane attraverso l’analisi della sua adoloscenza e della vita in convento, interpretando liberamente il dato della cronaca.

La presentazione diretta di Gertrude avviene con il ritratto che ne fa il narratore, caratterizzato da una fusione perfetta di elementi fisici e psicologici.

"Lucia che non aveva mai visto un monastero, quando fu nel parlatorio, guardò in giro dove fosse la signora a cui fare il suo inchino, e, non iscorgendo persona, stava come incantata; quando, visto il padre e Agnese andar verso un angolo, guardò da quella parte, e vide una finestra d’una forma singolare, con due grosse e fitte grate di ferro, distanti l’una dall’altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d’un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano con un rapido movimento. Due occhi, neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d’un pensiero nascosto d’una preoccupazione familiare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque aperte di un rosa sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c’era qua e la qualcosa di studiato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchetta di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento".

gertrud.jpg (17917 byte)

Gli elementi fisici del ritratto sono costruiti per antitesi: antitesi di  natura cromatica (bianco e nero), antitesi fra immobilità e movimento. Questi elementi rimandano ad un disordine interiore, alla lotta fra forze opposte. La narrazione manzoniana continua in questo confuso "dramma della volontà" in cui Gertrude é vittima della violenza familiare.

"Il giorno dopo, Gertrude si sveglió col pensiero dell’esaminatore che doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse coglirere quell’occasione cosí decisiva, per tornar indietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare <Orsú figliuola -le disse- finora vi siete comportata egregiamente: oggi si tratta di coronar l’opera. Tutto quel che s’é fatto finora, s’é fatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli di gioventú, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto in cui sono ora le cose, non é piú tempo di far ragazzate. Quell’uomo dabbene che deve venire stamattina, vi fará cento domande sulla vostra vocazione: e se vi fate monaca di vostra volontá e il perché e il per come, e che so io? Se voi titubate nel rispondere, vi terrá sulla corda chi sa quanto. Sarebbe un’uggia, un tormento per voi; ma potrbbe venire anche un guaio piú serio. Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni piú piccola esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far credere ch’io avessi presa una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che avessi precipitato la cosa, che avessi... che so io? In questo caso mi troverei nella necessitá di scegliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi un tristo concetto della mia condotta: partito che puó stare assolutamente con ció che devo a me stesso. O svelare il vero motivo della risoluzione e...>. Ma qui vedendo che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfiavan gli occhi, e il viso si contraeva, come le foglie d’un fiore, nell’afa che precede la burrasca, troncó quel discorso, e, con aria serena, riprese: <Via,via, tutto dipende da voi, dal vostro giudizio. So che n’avete molto e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli piú; e retiam d’accordo che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far nascere dubbi nella testa di quell’uomo dabbene. Cosí anche voi ne sarete fuori al piú presto>. E qui dopo suggerita qualche risposta all’interrogazioni piú probabili, entró nel solito discorso delle dolcezze e de’ godimenti ch’eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello, fin che venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe rinnovó in fretta gli avvertimenti piú importanti, e lasció la figlia sola con lui, com’era prescritto".

Il padre, come poi anche le suore, per raggiungere il suo scopo fa leva sui sentimenti di superbia dell’animo di Gertrude: in questo modo mette in atto un processo di corruzione che indebolisce sempre più la fragile volontà della giovane.

Di Gertrude "mai o quasi mai sentiamo la voce, a motivo di una violenza che, negandole il diritto di scegliere la propria vita, le nega anche quello di esprimersi. E’ il narratore che parla al suo posto e ne narra la tragica storia." (ed. de I promessi Sposi, a c.di Lazzarini, Il Capitello, To, 1993, p. 374).

 

vittima

 

ALESSANDRO MANZONI

Nacque a Milano il 7 marzo 1785, da Pietro e da Giulia Beccaria, figlia del noto autore Cesare Beccaria; compì i primi studi in collegi religiosi, che determinarono in lui un precoce razionalismo ed un crudo anticlericalismo.

Nel 1805, raggiunta a Parigi la madre che viveva con Carlo Imbonati (morto in quell’anno) conobbe Fauriel, storico e critico francese promotore della rivoluzione romantica in Francia; in questo periodo Manzoni ebbe una nuova visione del cattolicesimo, entrando in contatto con gruppi giansenisti. Nel 1808 si sposò con Enrichetta Blondel secondo il rito calvinista.
Nel 1810 giunse a maturazione quel lungo processo di riflessione e revisione che lo portò alla "conversione" ossia a riavvicinarsi alla religione dell’infanzia, con una scelta motivata e consapevole.
Nel 1810, lasciata Parigi, si trasferì a Milano dove visse fino alla morte, trascorrendo la sua esistenza nel lavoro e nell’intimità familiare.
Nel 1870, accettò la cittadinanza romana, dimostrando pubblicamente la propria convinzione della necessità della scomparsa del potere temporale della Chiesa.

 Fra le opere più importanti di Alessandro Manzoni ricordiamo i dodici Inni sacri, dedicati ciascuno ad una festività della Chiesa, le odi civili (Proclama di Rimini e Marzo 1821), dove egli proclama il suo ideale unitario di patria e le tragedie (Conte di Carmagnola e Adelchi), nelle quali si può osservare l’ampliarsi della problematica manzoniana.

 

(Group).gif (1830 byte)

inizio pagina