LA SCUOLA SALVATA DAI RAGAZZINI

Pino Patroncini

 

Faccine giovani prevalentemente femminili, con bocche aperte nell’atto di gridare, i lineamenti di alcuni che tradiscono origini extraeuropee, specchio di una società da tempo multirazziale, con quel che di frivolezza che caratterizza i giovani d’oggi ma  anche con sguardi fieri  tra l’arrabbiato e l’entusiasta, questa era la prima pagina di Liberation di lunedì 7 febbraio. E anche quella di venerdì 11. In poco tempo le piazze francesi si sono rianimate con manifestazioni giovanili, di studenti dei licei, le scuole secondarie superiori d’oltralpe. 100.000 in tutta la Francia a detta dei giornali. E con metà delle regioni già in vacanza (le cosiddette vacanze d’inverno, sosta canonica di inizio febbraio nel calendario scolastico francese).

Che cosa li ha mossi stavolta? E’ stata la riforma della scuola secondaria francese, la cosiddetta Loi d’Orientation che il governo di destra ha approntato e che il parlamento sta per varare. In particolare alcuni aspetti di questa legge sono fortemente contestati: il nuovo esame di maturità, il cosiddetto “bac”, che dovrebbe essere  preceduto da una sorveglianza continua sui progressi dell’alunno, che finirebbe col mettere in discussione l’anonimato della prova finale, l’eguaglianza di opportunità per tutti di fronte all’esame, e finirebbe per creare “bac” di livello a seconda delle scuole e dei quartieri dove esse sorgono. E’ una critica aspra quella su questo punto, che tocca nel vivo la cultura scolastica francese fondata, dicono i commentatori, su “una promessa di eguaglianza” tradita.

Un’altra critica riguarda la cancellazione del TPE, i “lavori personali inquadrati”. Vale a dire le due ore settimanali dedicate ad attività interdisciplinari di ricerca: un’attività sorta non molti anni fa senza molto entusiasmo da parte degli insegnanti ma che ha trovato in poco tempo il favore degli studenti. Il Ministro Fillon vorrebbe sopprimerla per dare spazio e risorse alla seconda lingua straniera, non più opzionale ma obbligatoria questa volta. Così come verrebbero soppresse le ore di teatro, danza, audiovisivi.

Altre accuse al governo riguardano la soppressione di alcune altre discipline: quelle economiche e sociali, scienze e tecnologie terziarie, scienze ingegneristiche.  Su queste accuse il governo nega e grida al fraintendimento e alla manipolazione degli studenti da parte dei loro insegnanti che temono di perdere le loro cattedre.

Infine, la mancanza di risorse per la scuola: si prevede un taglio di 3500 insegnanti,  dovuti a un numero minore di iscrizioni secondo il governo, e di 12.000 insegnanti ausiliari, quelli che aiutano i ragazzi in attività di supporto allo studio. I ragazzi denunciano: vogliono mettere poliziotti al posto dei sorveglianti. E l’allontanamento della polizia dalle scuole è un delle misure invocate, anche se la presenza della polizia voluta dal precedente ministro Ferry sarebbe già stata sospesa qualche mese fa con l’arrivo di Fillon al ministero dell’educazione.

L’agitazione ha preso le mosse, si può dire, da uno sciopero sindacale degli insegnanti del 21 gennaio scorso. Uno sciopero riuscito, come non se ne vedevano dal 2003. In quell’anno infatti lo scontro sulla regionalizzazione del personale e sulle pensioni ( ironia della sorte: la controparte era sempre Fillon, allora al ministero degli affari sociali) aveva impegnato e estenuato il movimento sindacale francese, senza risultati positivi, se si esclude un contributo sostanziale alla forte mutazione dell’opinione pubblica, confermata un anno dopo col risultato politico della vittoria socialista alle regionali. Ma da allora il movimento era sembrato un po’ sfiancato e nel 2004 i pochi scioperi fatti non avevano avuto un gran seguito. Al 21 gennaio ha fatto seguito il 5 febbraio la giornata di manifestazioni in tutta la Francia  a difesa delle 35 ore: 500.000 mila manifestanti nelle diverse città. Qui hanno fatto la loro comparsa massiccia gli studenti medi e da quel momento si può dire non sono più rientrati. Non è un caso che in Francia si dica che gli studenti sono come il dentifricio: una volta che è uscito dal tubetto non puoi più rimetterlo dentro.

Anche al ministro Fillon come ad altri suoi predecessori, anche socialisti (Allégre ci “lasciò le penne” più o meno negli stessi giorni in cui in Italia ce le lasciava Berlinguer),  è dunque toccato il battesimo della piazza studentesca. E, sarà stata la dimensione della protesta, saranno stati gli scongiuri per non fare la fine dei suoi predecessori, ha scelto una ritirata. Ma solo strategica: il 15 febbraio all’apertura della discussione in parlamento, mentre a Parigi sfilavano di nuovo 60.000 studenti e insegnanti e qualche altra decina di migliaia di manifestanti sfilava nelle altre città francesi, ha riconfermato l’intenzione di portare avanti fino in fondo la riforma, ma non senza prima aver provato a convincere gli studenti e a chiarire gli equivoci.

E’ sicuramente questo un atteggiamento che fa il quadro con una riforma che, se ripercorre le ipotesi della destra liberista internazionale, almeno nel metodo e negli atteggiamenti ha ben altra portata di quella italiana: preparata dal grande dibattito nazionale durato un anno ( ma non sempre rispettato nelle sue conclusioni), con una legge chiara varata in tre mesi, centrata su obiettivi significativi come la ridefinizione dei saperi minimi indispensabili per tutti e le abilità da conseguirsi a ogni tappa del percorso scolastico.

Ma a consigliare di evitare lo scontro frontale, almeno per ora, sono stati anche i dissidi interni al partito di maggioranza, la neonata UMP che raccoglie tutta la destra di governo. Sulla Loi d’orientation i dissensi non mancano e probabilmente questi sono anche lo specchio dello scontro interno al partito tra l’ala chiracchiana, a cui fa capo il primo ministro Raffarin, e quella che fa capo a Sarkoszy, alla quale Fillon si è “iscritto” di recente. Forse qualcuno non glielo perdona e per questo è disposto anche ad abbracciare il gioco di parole dei manifestanti: “Nous Fillon un mauvais coton!”.