Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

Roma

Ricorrono il Coordinamento Genitori Democratici – Onlus in persona del Presidente p.t., prof. Angela Nava Mambretti, con sede in Roma, alla via Cardano 135, Cod. Fisc. 80421880586, il C.I.D.I. – Centro di Iniziativa Democra­ti­ca degli Insegnanti, in persona del Presidente p.t., prof. Maria Sofia Toselli, con sede in Roma, alla Piazza Sonnino 13, Cod. Fisc. 80410150587, il 126° Circo­lo Didattico di Ro­ma, con sede in Roma, alla via Ferraironi 38, in persona del Dirigente Scolastico p.t., prof. Simonetta Salacone, Cod. Fisc. 80259170589, tutti rapp.ti e difesi, giusta mandato a margine, dall’avv. Riccardo Marone con cui elett.te domiciliano in Roma alla via Sicilia 50 (studio avv. Luigi Napolitano)

per l’annullamento: a) del D.M., di data e numero che non si conoscono, di approvazione del Piano Programmatico per la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico, di cui all’art. 64, comma 3, D.L. n. 112/08 (convertito con modificazioni in legge 6.8.2008 n. 133); b) di ogni atto preordinato, connesso e conseguente.

F a t t o

Con decreto legge in data 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133, sono state approvate misure urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione finanziaria e la perequazione tributaria.

L’art. 64 del predetto D.L. 112/08, recante disposizioni in mate­ria di organizzazione scolastica, ha previsto, più in particolare, che “ai fini di una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docen­te, a decorrere dall’anno scolastico 2009/2010, sono adottati interventi e misure volti ad incrementare, gradualmente, di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l’anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei tenendo anche conto delle necessità relative agli alunni diversamente abili”.

Il legislatore ha, poi, demandato al Ministro dell’Istruzione il compito di attuare il programma appena illustrato, mediante l’approvazione di un “piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una mag­giore efficacia ed efficienza al sistema scolastico” (art. 64, com­ma 3, D.L. n. 112/08).

Al comma 4, infine, l’art. 64 cit. ha demandato ad una serie di regolamenti, da attuarsi ai sensi dell’art. 17 della L. n. 400/88, anche in deroga alle disposizioni legislative vigenti, l’attuazione del predetto Piano programmatico.

Con il decreto ministeriale impugnato il Ministro dell’Istruzione ha approvato il Piano programmatico di cui al predetto art. 64 D.L. n. 112/08.

Tale Piano è illegittimo per i seguenti

M o t i v i

1. Violazione dell’art. 117, 3° e 6° comma della Co­stituzione.

L’art. 64 del decreto legge 25.6.2008 n. 112, convertito con mo­dificazioni nella legge 6.8.2008 n. 133, avente ad oggetto dispo­sizioni in materia di organizzazione scolastica, ha previsto una serie di norme per un’ulteriore qualificazione dei servizi scola­stici ed una piena valorizzazione professionale del personale do­cente.

Questa la finalità dell’articolo, individuata nel comma 1.

Per realizzare tale finalità il 3° comma del medesimo articolo prevede che il Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ri­cerca, sulla base di un complesso procedimento, predisponga un “piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumenta­li disponibili”.

Tale Piano è oggetto, appunto, della presente impugnativa.

La palese natura regolamentare del Piano impugnato lo rende sicuramente illegittimo per la semplice considerazione che l’art. 117, 6° comma, della Costituzione esclude che nelle materie di legislazione concorrente lo Stato abbia potere regolamentare.

E che si sia palesemente in materia di legislazione concorrente è certificato dallo stesso titolo dell’articolo 64 che detta “disposi­zioni in materia di organizzazione scolastica”.

Sul punto occorre precisare che il riparto di competenze, pre­visto dall’art. 117 della Costituzione, nella sua formu­lazione ori­ginaria, attribuiva alle Regioni la sola competenza in materia di istruzione arti­giana e professionale ed in materia di assistenza scolastica, appartenendo ogni altra competenza allo Stato.

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione la materia dell’istruzione forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo comma Cost.) ed allo Stato è rimessa la sola competenza esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lettera n).

Con la conseguenza che in materia di organizzazione scolastica, lo Stato, ai sensi dell’art. 117, III co. ultimo periodo, può limitarsi a dettare i principi fondamentali, ma non può certa­mente incidere con norme di dettaglio sulla organizzazione sco­lastica e sulla distribuzione interna del personale scolastico, la cui disciplina è di compe­tenza esclusiva delle Regioni.

La questione è stata, peraltro, oggetto di un intervento della Corte Costituzionale.

Il Giudice delle leggi ha chiarito che “una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principi. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla com­petenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete sco­lastica, tuttora di com­pe­tenza regionale” (cfr. Corte Cost. 13.1.2004 n. 13)

Ma del resto già con riferimento alla normativa costituzionale precedente alla riforma del titolo V, la Corte Costituzionale con sentenza n. 376 del 10-23.7.2002, aveva chiarito che in materia di organizzazione scolastica lo Stato può dettare solo principi fondamentali e che tutta la legislazione di dettaglio spetta esclusivamente alle Regioni.

Appare evidente, quindi, la violazione dell’art. 117 della Costi­tu­zione, che prevede che solo in materie di legislazione esclusiva, la potestà regolamentare spetta allo Stato, mentre in ogni altra materia la potestà regolamentare spetta alle Regioni.

E poiché come si è detto siamo nell’ambito di una materia di legislazione concorrente è evidente che lo Stato non ha alcun potere regolamentare, potendosi limitare solo ed esclusiva­mente a  dettare i principi fondamentali.

2. Illegittimità costituzionale dell’art. 64, 3° comma del d.l. 25.6.2008 n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6.8.2008 n. 133, in relazione all’art. 117, 3° e 6° comma, Cost.

In via gradata si solleva la non manifesta infondatezza della que­stione di legittimità costituzionale dell’art. 64, 3° comma, per violazione dell’art. 117, 6° comma, della Costituzione che recita che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo ed esclu­si­vamente nelle materie di legislazione esclusiva e che in materia di legislazione concorrente tale potestà spetta esclu­si­vamente alla Regione.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 70 e 76 Costi­tu­zione. Violazione del giusto procedimento di legge. Illogicità.

L’art. 64 del D.L. 112/08 prevede uno strano ed abnorme proce­dimento, che rende di per sé illegittimo il Piano nel momento stesso in cui viene adottato.

Ed, infatti, l’art. 64, 4° comma, prevede che il Piano debba con­tenere tutta una serie di criteri di modificazioni della legisla­zione vigente, che saranno poi specificati in regolamenti di at­tuazione, sulla base dei criteri individuati dalla legge, anticipan­do, quindi, un potere abrogativo che è dubbio che possano avere i regolamenti attuativi, ma che certamente non può avere il Piano.

Fino a che non verranno approvati i regolamenti di attuazione del 4° comma, e quindi, non si è ancora arrivati ad una fase di delegificazione, un atto amministrativo (come è il Piano) non può che rispettare la legislazione vigente, nel mentre, con il complesso ed anomalo procedimento legislativo innanzi descrit­to, si è previsto che proprio il Piano debba contenere i criteri per l’abrogazione e la modificazione della legislazione vigente.

Con la conseguenza che, sulla base di questo assurdo procedi­mento, il Ministero si è trovato nelle condizioni di approvare un Piano contrastante con la legislazione esistente; legislazione esistente che sarà abrogata, se lo vorrà e se lo potrà essere, solo una volta che saranno approvati i regolamenti di attuazione.

4. Illegittimità costituzionale dell’art. 64, 3° e 4° comma del D.L. 25.6.2008 n. 112, convertito con modi­ficazioni nella legge 6.8.2008 n. 133 per violazione degli artt. 3, 70 e 76 costituzione.

I commi 3 e 4 dell’art. 64 , come abbiamo già detto, prevedono che il Piano – e cioè un atto amministrativo – deve contenere i criteri per la modificazione della legislazione esistente.

Sempre l’art. 64, poi, prevede che i regolamenti di attuazione della delegificazione, adottati in attuazione del Piano, possono avere contenuto modificativo delle disposizioni legislative vi­genti.

E con ciò palesemente violando i principi dell’ordinamento in materia di gerarchia delle fonti, di modificazione ed abroga­zione della legge, così come individuati, peraltro, dall’art. 17 della legge 23.8.1988 n. 400.

E la violazione è duplice.

Da un lato, ovviamente, la legge 400/88 prevede che è la legge a dover contenere le norme generali regolatrici della materia mentre, nel caso in esame, tali norme sono contenute nel Piano e nei decreti di attuazione (che sono decreti di attuazione del piano e non della legge).

Ma l’altro aspetto inquietante è che, ovviamente, nei processi di delegificazione la legge 400/88 prevede espressamente che la norma disciplinante la delegificazione debba individuare quali siano le norme di legge che si ritiene abrogare.

E ciò è evidente in quanto solo il Parlamento può spogliarsi di un proprio potere.

Tutto ciò nel caso in esame non c’è, perché il legislatore si è li­mitato a prevedere che il Piano – e cioè un atto amministrativo – individui quali sono le norme da modificare e da abrogare.

Con la conseguenza che i decreti attuativi modificheranno le norme senza, quindi, che vi sia alcuna abrogazione espressa pre­vista dalla legge statale. Abrogazione espressa indispensabi­le, invece, per poter operare la delegificazione di una materia.

È il legislatore a dover stabilire che in quella materia vuole pri­varsi del proprio potere legislativo, non potendo certamente rin­viare ad un atto amministrativo (il Piano programmatico oggi impugnato) l’individuazione delle norme che si intendono even­tualmente modificare.

Se è pur vero che il procedimento previsto dalla legge 400 è un procedimento legislativo stabilito da legge ordinaria è altrettan­to ovvio che la sua modificazione deve avvenire secondo criteri di logicità e nel rispetto dei principi costituzionali.

Orbene, il procedimento previsto dall’art. 64 è del tutto illogico in quanto si inserisce tra legge e procedimento di delegifica­zione l’approvazione di un atto amministrativo – il piano di cui al 3° comma dell’art. 64 – che, se vuole avere contenuto mo­dificativo, deve essere necessariamente in violazione dell’attuale legge, ma non può esserlo per la sua natura di atto amministra­tivo.

Ma vi è di più perché, addirittura, i decreti di delegificazione non sono finalizzati all’attuazione della legge, ma sono finalizza­te all’attuazione di un Piano e, cioè, di un atto amministrativo.

Solo dopo il processo di delegificazione poteva, viceversa, preve­dersi una pianificazione di carattere non legislativo.

L’inversione del procedimento e l’inserimento di un atto am­ministrativo nell’ambito del processo legislativo di delegifica­zione rende di per sé illegittimo l’atto amministrativo e, co­munque, rende non manifestamente infondata la questione di costituzionalità che qui espressamente si solleva dell’art. 64 , 3° e 4° comma del d.l. 112/08 in relazione agli artt. 3, 70 e 97 della Costituzione.

5. Ulteriore Violazione dell’art. 117, iii comma, cost..

La decisione di delegificare la materia di cui all’art. 64, IV comma, attraverso il Piano e i regolamenti rende del tutto illegittime le norme delegificate per la semplice ragione che è lo stesso Legislatore a qualificare queste norme non come norme di principio ma come norme di dettaglio come tali pacificamente di competenza delle Regioni.

Come ha chiarito la Corte Costituzionale con sentenza n. 376 del 10’-23.7.2002, peraltro riguardante l’originario testo del Titolo V della Costituzione, «la delegificazione è in grado di introdurre un elemento di chiarezza: mentre in presenza di norme tutte legislative poteva sussistere il dubbio circa la loro natura di principio o di dettaglio, vincolante o cedevole, in presenza di norme regolamenterai non può sussistere dubbio alcuno sull’assenza di ogni loro carattere di norme di principio».

Con l’ulteriore precisazione che se più volte la Corte Costituzionale ha salvato la legislazione statale di dettaglio, in base al principio di cedevolezza, affermando che esse hanno in vigore fin tanto che le Regioni non legiferano nella materia è evidente che il principio di cedevolezza non può valere in presenza di norme regolamentari.

É questo quindi un ulteriore profilo di incostituzionalità della Legge.

Violazione art. 64 D.L. 25.6.2008 n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6.8.2008 n. 133.

Il Piano impugnato, poi, è anche illegittimo nei suoi contenuti.

Innanzi tutto esso disciplina l’ordinamento della Scuola d’in­fan­zia, prevedendone una riduzione dell’orario di funzionamento giornaliero.

Tale previsione è illegittima, poiché l’art. 64 del D.L. n. 112/08 non menziona affatto la Scuola d’Infanzia tra gli obiettivi della riforma, limitandosi ad incaricare il Ministro dell’Istruzione di redigere un Piano programmatico per il miglioramento dei servizi scolastici, senza prevedere la revisione degli orari e dei cicli didattici nella scuola di infanzia.

Ma, a ben vedere, vi sono anche ulteriori elementi che dimo­stra­no che l’art. 64 cit. non fa alcun riferimento alla Scuola di in­fan­zia.

In primo luogo vi è da dire che la norma de qua si riferisce all’ordinamento scolastico; e la Scuola di infanzia non vi ha mai fatto parte, costituendo una Istituzione del tutto autonoma e diversa dalla Scuola primaria.

Ciò è ulteriormente confortato dal fatto che l’art. 64 cit. usa termini quali “piani di studio”, curricoli” e “quadri orari” che certamente non hanno nulla a che fare con l’attuale ordina­men­to della Scuola di infanzia.

È evidente, quindi, l’illegittimità del provvedimento impugnato, per violazione dell’art. 64 D.L. n. 112 cit. in quanto, come visto, non vi era alcuna indicazione legislativa, che consentisse al Ministro di intervenire anche sul settore della Scuola di in­fanzia.

Non vi è alcuna norma legislativa che consenta al Ministro di inserire nel Piano norme che comportano la modifica dei cicli didattici delle Scuole di infanzia, per cui giammai il Ministro avrebbe potuto adottare un atto regolamentare, che dispone la variazione degli orari di tali istituti.

6. Eccesso di potere per presupposto erroneo. Con­traddittorietà. Perplessità.

Il Piano impugnato riduce l’orario della Scuola di infanzia al fine di ottenere una maggiore diffusione del servizio.

Tale presupposto è falso.

Si deve precisare, infatti, che nell’anno scolastico in corso (2008/2009) la scuola di infanzia è frequentata dal 967.575 bambini.

Ancora, la Scuola di infanzia opera con 42.256 sezioni e 85.000 insegnanti, di cui 4.700 di sostegno.

Delle sezioni funzionanti 38.186 sono a tempo pieno (e cioè con due insegnanti), con 40 ore settimanali di attività educative, raggiungendo così il 90,3% del servizio massimo erogabile.

Ancora, vi è da dire che soltanto 4.070 sezioni operano ad orario ridotto e che le istituzioni fornite di mensa sono 12.727 (cifra pari al 93,6% delle scuole statali).

Appare evidente, quindi, che la Scuola di infanzia, nell’attuale ordinamento, accoglie già la quasi totalità della popolazione di allievi in età interessata e che non vi è alcuna necessità di modificare l’orario della stessa, al fine di ampliare un servizio che è già al massimo delle sue potenzialità.

7. Violazione art. 64 D.L. 25.6.2008 n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6.8.2008 n. 133. Viola­zione dell’art. 4 del D.L. 1.9.2008 n. 137, convertito in legge 30.10.2008 n. 169.

Il Piano attuativo eccede la delega conferitagli dall’art. 64 D.L. n. 112/08, come integrato dall’art. 4 del D.L. n. 137/08, anche nella parte in cui incide sull’ordinamento didattico della Scuola primaria, intervenendo sull’organizzazione dei moduli, soppri­mendola e sostituendola con un modello didattico operante con un maestro unico, cui è assegnata una cat­te­dra di 24 ore set­ti­manali.

Accanto agli originari obiettivi di razionalizzazione scolastica, previsti dall’art. 64 cit., l’art. 4 del D.L. n. 137/08 (conv. in L. n. 169/08) ha previsto che “nell’ambito degli obiettivi di raziona­lizzazione di cui all’art. 64 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti previsti dal comma 4 del medesimo arti­colo 64 è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore setti­manali, Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigen­ze, correlate alle domande delle famiglie, di una più ampia articolazione tempo-scuola”.

La norma citata non prevede affatto l’estensione generalizzata del maestro unico a tutte le classi della scuola primaria, tanto è vero che si prevede, nei regolamenti da adottare successiva­mente, di tenere comunque conto delle esigenze delle famiglie, in relazione ad una più ampia articolazione tempo-scuola.

Nel Piano impugnato, invece, è chiara l’intenzione del Ministro di provvedere alla introduzione del cd. maestro unico ed alla sostituzione del precedente modulo didattico, basato su un tre maestri per due classi .

Tanto si rileva dal fatto che il Piano indichi l’affidamento delle classi al maestro unico come criterio di scelta privilegiato e che tutte le previsioni in ordine alle riduzioni di organico sono formulate tenendo presente l’estensione di tale modello di­dattico a tutte le classi della scuola primaria.

In definitiva, quindi, il Piano prevede una progressiva riduzione degli organici del personale docente attraverso la generale ap­plicazione del modulo del maestro unico all’intero ciclo di­dat­tico della Scuola primaria, senza che ciò sia assolutamente auto­rizzato da alcuna norma di legge.

Anche sotto tale profilo, pertanto, è evidente l’illegittimità del Piano che incide sull’ordinamento scolastico ben oltre i limiti che gli sono stati assegnati dalla legge.

P.q.m.

Si conclude per l’accoglimento del ricorso

Avv. Riccardo Marone

 

Gelmini*giupy*ww

L’anno 2009 il giorno         del mese di gennaio, nella qualità e con il domicilio indicati in epigrafe, il sottoscritto avv. Riccardo Marone ha notificato, ai sensi dell’art. 7 della legge 21.1.1994 n. 53 (a tanto auto­rizzato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Na­poli adottata nella seduta del 2.12.2003), previa iscrizione al n. ..... /2009 del proprio registro cronolo­gico, il ricorso che precede mediante spedizione di copia conforme all’originale in plico racc., dall’Ufficio Postale di Napoli                          al

1. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., nel domicilio eletto ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato in Roma, alla via dei Portoghesi