TRIBUNALE CIVILE DI BOLOGNA

ATTO DI CITAZIONE

Il prof. Bruno MORETTO, in proprio e quale primo promotore nonché rappresentante dei sottoscrittori della richiesta di referendum abrogativo di alcuni articoli della legge regionale 25 maggio 1999 n. 10 recante "Diritto allo studio e all’apprendimento per tutta la vita e qualificazione del sistema informativo integrato", rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto dal prof. avv. Massimo Luciani del Foro di Roma, dall’avv. Corrado Mauceri del Foro di Firenze, dall’avv. Franco Bambini, dal prof. avv. Marcello Pedrazzoli e dall’avv. Maria Virgilio del Foro di Bologna, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Bologna, Via A. Rubbiani n. 3,

CITA

la Regione Emilia Romagna, con sede in Bologna, Via Aldo Moro n.52, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, a comparire nel Tribunale di Bologna, davanti al Giudice istruttore che sarà designato, all’udienza del 24 ottobre 2002 ad ore di rito, con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall’art.166 c.p.c., e a comparire nell’udienza indicata dinanzi al Giudice designato ai sensi dell’art.168 bis c.p.c., con avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art.167 c.p.c., per ivi sentire accogliere le conclusioni che seguiranno.

 

SI PREMETTE IN FATTO

Il Presidente della Giunta Regionale Emilia Romagna, con decreto 283 in data 11.9.2001 (doc. 1), ha disposto che non abbia luogo il referendum (modulo doc. 2 – quesito doc. 3) per l’abrogazione parziale della L.R. 25 maggio 1999, n. 10, recante "Diritto allo studio e all’apprendimento per tutta la vita e qualificazione del sistema formativo integrato" (doc. 4), già indetto per la data del 18 novembre 2001.

Con il presente atto di citazione il prof. Bruno Moretto, in qualità di primo promotore e rappresentante i sottoscrittori della richiesta di referendum ex art. 13 L.R. n. 189/99 chiede che venga accertato il diritto dei proponenti allo svolgimento del referendum, previa disapplicazione del suddetto decreto perché illegittimo.

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Non possiamo non ripercorrere l’intero contesto della vicenda che nasce nell’anno 1994 dalla iniziativa politica, praticata da enti locali della regione Emilia Romagna e in primo luogo dai Comuni di Bologna e di Reggio Emilia, di un finanziamento pubblico a favore delle scuole materne private, che com’è noto in Italia fanno riferimento, nella stragrande maggioranza, alla Chiesa cattolica.

Nel solco di queste prime iniziative pilota si collocò la Regione Emilia Romagna che, con la L.R. n. 52/95 (doc. 5), introdusse il sistema integrato regionale delle scuole dell’infanzia che prevedeva finanziamenti regionali ai Comuni che sostenessero le spese di funzionamento delle scuole materne private.

Purtroppo - come era prevedibile - l’adozione del cd. sistema integrato comportò il disimpegno di fatto dei Comuni nel settore delle scuole materne (che solo a Bologna passò dal 90% dell’utenza al 70%). Infatti all’incremento di domanda del servizio di scuola materna i Comuni risposero non con l’apertura di nuove sezioni, ma con l’invito ai genitori ad iscrivere i figli alle scuole private, secondo il principio che genitori dovessero utilizzare indifferentemente le strutture pubbliche e quelle private.

Con conseguente creazione di consistenti liste d’attesa alle scuole comunali dell’infanzia dei genitori che non intendevano rinunciare alla scuola pubblica.

In nome del principio di laicità dello stato il Comitato Scuola e Costituzione si oppose, ricorrendo anche ad iniziative giudiziarie, sia nei confronti del Comune di Bologna che della regione Emilia Romagna.

Nel frattempo la Regione Emilia Romagna interveniva nuovamente sulla materia con legge regionale 25 maggio 1999, n. 10 recante "Diritto allo studio e all’apprendimento per tutta la vita e qualificazione del sistema informativo integrato".

La discussione della legge fu alquanto travagliata. Diverse riscritture fecero riscontro sia ad un rinvio da parte del Governo della prima versione che era stata approvata a gennaio 1999 sia ad una manifestazione nazionale del febbraio 1999 che raccolse a Bologna 50.000 persone.

Già durante la discussione della legge gli oppositori avevano preannunciato il ricorso al referendum abrogativo. Si noti che a quel momento i referendum erano regolati dalla legge regionale 25 ottobre 1997 n. 35, che poi sarebbe stata modificata nel novembre di quell’anno.

Intanto si raccoglieva in Bologna un "Comitato promotore per il referendum abrogativo parziale della legge regionale 25 maggio 1999, n. 10 recante Diritto allo studio e all’apprendimento per tutta la vita e qualificazione del sistema informativo integrato".

Il 12 luglio 1999 veniva depositata presso l’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale rituale istanza abrogativa della legge suddetta, che veniva poi pubblicata nel B.U. della Regione n. 98 del 30 luglio 1999. Il 21 luglio la proposta veniva approvata dalla Commissione per i procedimenti referendari e il 29 luglio 1999 veniva dichiarata ammissibile con atto n. 162 dell’Ufficio di presidenza del Consiglio Regionale (doc. 6).

Con legge regionale 22 novembre 1999 n. 34 la normativa regolante lo strumento referendario veniva modificata (doc. 7).

Il 9 marzo 2000, i suddetti promotori e presentatori depositavano presso l’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale le firme necessarie ai sensi dell’art. 18 della nuova legge regionale n. 34 del 1999 per l’ulteriore corso del procedimento referendario. Si trattava di n. 59.730 firme.

L’11 aprile 2000 (con delibera n. 61 resa sulla base del verbale n. 4150 del 7 aprile 2000 redatto dal Direttore generale del Consiglio regionale, Responsabile del procedimento referendario) l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale dichiarava la validità della richiesta di referendum abrogativo e disponeva la trasmissione della delibera stessa ai promotori e al Presidente della giunta regionale al fine dell’indizione della consultazione popolare (ciò ai sensi dell’art. 21, comma 2, lett. b L.R. n. 34/99).

In mancanza di tale indizione, il Comitato, in data 12 giugno 2000, era costretto a notificare diffida (doc. 8) affinché il Presidente della Regione Emilia Romagna adempiesse al dovere di emanare il decreto di indizione del referendum abrogativo.

In risposta alla diffida 12 giugno 2000, il Presidente della Giunta regionale asseriva di trovarsi in uno dei periodi di sospensione dei referendum: non procedeva alla indizione della consultazione e dunque non fissava la data di svolgimento delle votazioni referendarie. Sosteneva, infatti, che dal 16 aprile 2000 ricorresse nella fattispecie concreta la causa di sospensione indicata all’art. 24, comma 1, della L.R. Emilia Romagna 22 novembre 1999, n. 34, e cioè che ci si trovasse nel periodo di sei mesi successivi alla elezione del nuovo consiglio regionale.

Successivamente, scaduto con la data del 16 ottobre 2000 il preteso periodo di sospensione di sei mesi decorrenti dal 16 aprile, data di rinnovo del Consiglio regionale, il giorno successivo -con decreto n. 400 del 17 ottobre 2000- il Presidente della Regione indiceva sì il referendum, ma per la data del 20 maggio 2001, respingendo così la richiesta del Comitato promotore di indire la consultazione popolare per la più vicina data del 18 febbraio 2001, individuata conteggiando 120 giorni di distanza tra indizione e votazione.

Va subito precisato che il disappunto del comitato promotore nasceva dal fatto che, sicuramente, la scelta di procrastinare al 20 maggio avrebbe comportato lo slittamento del referendum al periodo novembre-dicembre 2001, a causa delle elezioni politiche previste -notoriamente- per la primavera 2001. Questo perché il comma 1 dell’art. 24 della L.R. 34/99 prevede che "tutte le operazioni e le attività relative allo svolgimento del referendum sono sospese: nei tre mesi antecedenti e nei tre mesi successivi alla data fissata per elezioni politiche o amministrative che riguardino almeno la metà dei Comuni e delle Province della Regione o interessino comunque la metà degli elettori della Regione". Il comma 2 prevede che "I referendum abrogativi già indetti per una domenica che venga a ricadere in uno dei periodi di cui al comma 1, sono trasferiti, con decreto del Presidente della Giunta, alla prima tornata utile". Poiché l’art. 21, comma 2, prevede che "I referendum abrogativi si svolgano di norma in due tornate annuali": 16 maggio -30 giugno e 1 novembre-15 dicembre, la fissazione della data delle elezioni politiche fra marzo e maggio avrebbe comportato automaticamente lo slittamento del referendum a novembre/dicembre 2001, e dunque ad oltre due anni dal momento in cui i 59.730 cittadini avevano sottoscritto la richiesta di referendum. Ecco perché la scelta della data del 20 maggio 2000 da parte del Presidente della Giunta Regionale appariva oggettivamente volta a procrastinare oltremodo lo svolgimento della consultazione.

Nell’intento di evitare il prevedibile slittamento fu formulata anche una proposta di legge popolare regionale, che, a modifica della L.R. n. 34/99, riducesse i tempi e consentisse di votare il 18 febbraio 2001. Ma la proposta, depositata il 16 ottobre 2000, sottoscritta da circa n. 6000 cittadini, approdò al Consiglio Regionale solo nel gennaio 2001, e dunque vanamente.

Fatto è che con decreto n. 113 del 26 aprile 2001 il Presidente della Giunta Regionale spostava il referendum alla data del 18.11.2001.

Interveniva nel frattempo la legge regionale 8 agosto 2001, n. 26 (pubblicata nel BUR, n. 112 del 9 agosto 2001), recante il titolo "Diritto allo studio ed all’apprendimento per tutta la vita. Abrogazione della legge regionale 25 maggio 1999, n. 10" (doc. 9).

Nasceva così il problema -che qui ci interessa- degli effetti prodotti, in ordine al già indetto referendum, da tale legge regionale, espressamente abrogativa della legge oggetto del referendum.

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A tale proposito l’art. 25 della l. reg. 22 novembre 1999, n. 34 (doc. 7) distingue tre ipotesi di abrogazione (anteriore allo svolgimento della consultazione popolare) delle disposizioni già oggetto di referendum abrogativo.

Nella prima, quella della abrogazione totale, il Presidente della Giunta regionale deve dichiarare che il referendum non ha più luogo (comma 1, ma v. anche art. 19, comma 2); nella seconda e nella terza (rispettivamente: abrogazione parziale e abrogazione totale o parziale accompagnata da altra disciplina della stessa materia), sta al Presidente stabilire se il referendum debba avere ancora luogo e - in caso positivo - in riferimento a quali disposizioni (commi 2 e 3). Tanto nella seconda che nella terza ipotesi la deliberazione presidenziale viene assunta "su conforme parere della Commissione per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare".

Poiché nel caso di specie ricorreva, con piena evidenza, la terza delle ipotesi sopra descritte (abrogazione totale o parziale accompagnata da altra disciplina della stessa materia) il Presidente della Giunta Regionale procedeva ad attivare la Commissione per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare, che in data 10 settembre 2001 rendeva il proprio parere, nel senso di ritenere che il referendum non dovesse avere luogo.

Come risulta dai verbali della Commissione, il parere non era unanime: uno dei componenti la Commissione, il prof. Giuseppe Ugo Rescigno, depositava parere e osservazioni dissenzienti dalla maggioranza.

Preso atto di tale parere, il Presidente della Giunta Regionale Emilia Romagna, con decreto 283 in data 11.9.2001, ha disposto che non abbia luogo il referendum per l’abrogazione parziale della L.R. 25 maggio 1999, n. 10, recante "Diritto allo studio e all’apprendimento per tutta la vita e qualificazione del sistema formativo integrato", già indetto per la data del 18 novembre 2001.

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IN DIRITTO

Secondo il comma 3 del menzionato art. 25, la Commissione per i procedimenti referendari doveva compiere una duplice valutazione, esaminando:

1) se la L.R. n. 10/1999 e la successiva L.R. n. 26/2001 avessero modificato i princìpi ispiratori della complessiva disciplina preesistente;

2) se ne fossero risultati modificati "i contenuti essenziali dei singoli precetti".

Nell’evenienza di un esito negativo dell’una o dell’altra di queste valutazioni (ovvero, ovviamente, di entrambe) la consultazione avrebbe dovuto effettuarsi "solo o anche" sulle nuove disposizioni.

1.- Quanto ai princìpi ispiratori della l. reg. n. 10 del 1999, rilevanti per il procedimento referendario, questi sono stati puntualmente identificati dagli stessi promotori nella sintesi del quesito redatta ai sensi dell’art. 14, comma 4, della l. reg. n. 34 del 1999, sintesi che - è bene ricordare - è stata ritenuta esatta e coerente dalla Commissione per i procedimenti referendari in sede di verifica di ammissibilità, ai sensi dell’art. 15, comma 1 (spec. lett. d), della medesima legge.

Ora, detta sintesi così recita: "Volete voi abrogare le parti della legge che introducono sia il coordinamento e l’integrazione fra le offerte educative statali e non statali, sia il finanziamento delle scuole non statali in modo diretto e indiretto?". Dal quesito si desume che i princìpi ispiratori della l. reg. n. 10 del 1999 che la richiesta referendaria mira ad abrogare sono due: a) quello del coordinamento e dell’integrazione tra offerte formative statali e non statali; b) quello del finanziamento - diretto o indiretto - delle scuole non statali.

Si tratta, ora, di stabilire se la L.R. n. 26/2001 abbia o meno inciso su detti princìpi ispiratori. La tesi qui sostenuta è che la nuova disciplina della L.R. n. 26/2001 non ha affatto abbandonato l’impostazione generale dei princìpi ispiratori della l. reg. n. 10 del 1999, appena sintetizzati.

1.1.- Quanto al principio di cui sub a), la relazione di accompagnamento afferma che "viene... esclusa, rispetto all’impianto della legge 10/99 la normativa riguardante il sistema formativo integrato", normativa che la Giunta regionale intenderebbe reintrodurre con un apposito "progetto di legge che tratti organicamente la materia". Non per questo, però, atteso l’oggettivo contenuto del progetto di legge, sono venuti meno quel "coordinamento" e quella "integrazione" tra le "offerte formative statali e non statali" che - come detto - costituiscono la sostanza normativa di uno dei due princìpi ispiratori della l. reg. n. 10 del 1999, di interesse per il procedimento referendario.

A tal proposito, invero, è sufficiente considerare che l’art. 1, comma 4, della nuova legge regionale stabilisce che "la Regione e gli Enti locali pongono a fondamento della programmazione degli interventi di rispettiva competenza in materia di diritto allo studio il principio della partecipazione delle istituzioni scolastiche, statali, paritarie e degli Enti locali, degli enti di formazione professionale, dell’associazionismo e delle parti sociali". Così statuendo, tale disposizione resta tuttora ancorata alla medesima logica dell’art. 1, comma 2, della l. reg. n. 10 del 1999, che riconosceva "il valore delle offerte formative espresse dalla società, come arricchimento di quella pubblica", fornendo così la base, da un lato, per il coordinamento tra i diversi soggetti interessati all’istruzione, e dall’altro per l’erogazione di specifiche provvidenze a favore della scuola privata.

L’art. 3, comma 1, lett. b), a sua volta, denuncia chiaramente la volontà di intervenire tuttora (non solo nella materia del diritto allo studio, ma anche) nella materia dell’istruzione scolastica con evidenti finalità di coordinamento dei vari operatori, come dimostra il riferimento a progetti volti a "migliorare i livelli di qualità dell’offerta formativa ed educativa". Tale intento, del resto, è esplicitato dall’art. 2, che prevede azioni per la "realizzazione di una offerta di servizi e di interventi differenziati" (comma 1, lett. b) e per il "raccordo delle istituzioni e dei servizi educativi" (comma 1, lett. c). Inoltre, l’art. 3, comma 4, lett. d), ancora più chiaramente, prevede "progetti di qualificazione e aggiornamento del personale" delle "scuole dell’infanzia del sistema nazionale di istruzione [ivi comprese le scuole private, ai sensi della l. 10 marzo 2000, n. 62, come poi si dirà] e degli Enti locali", "anche in riferimento al raccordo tra esse". Al di là del cambiamento delle parole, quindi, la sostanza del coordinamento e del raccordo tra istituzioni scolastiche, al fine della creazione di un "sistema", è rimasta intatta.

Nonostante l’eliminazione dell’esplicito riferimento al "sistema integrato" dell’istruzione pubblica e privata, pertanto, il principio del coordinamento, che caratterizzava la l. reg. n. 10 del 1999, non è mutato, il che significa che, per questa parte, l’operazione referendaria deve aver luogo.

1.2.- Anche quanto al principio di cui sub b), e cioè del finanziamento delle scuole non statali, ivi comprese quelle private, la l. reg. n. 26 del 2001 non ne ha determinato l’eliminazione.

A tal proposito, va subito rilevato che gli interventi previsti nell’art. 3 non appaiono destinati solo ai singoli studenti, ma anche alle istituzioni scolastiche. In questo modo il legislatore esula dall’ambito del diritto allo studio e si addentra in quello dell’istruzione scolastica, confermando l’atteggiamento seguito nella redazione della precedente legge n. 10 del 1999 (si veda in particolare quanto previsto al già menzionato comma 4, lett. c) circa i progetti di qualificazione e aggiornamento del personale: se ne dirà più diffusamente al successivo punto 2.2.2).

1.3.- Nessuno dei due princìpi ispiratori della l. reg. n. 10 del 1999, pertanto, appare eliminato o modificato in modo così radicale da rendere inutile e superato lo svolgimento delle operazioni referendarie. Conseguentemente, deve ritenersi che non ricorra affatto l’ipotesi di improcedibilità di cui all’art. 19, comma 5, della l. reg. n. 34 del 1999, come ritenuto dal Presidente della Giunta Regionale.

2.- Quanto al secondo ordine di valutazioni -relativo al contenuto essenziale dei singoli precetti- la nuova legge in parte modifica sostanzialmente, in parte lascia inalterate (sempre nella loro essenza) le precedenti disposizioni. Indichiamo, a campione, alcune fattispecie esemplari.

2.1.- Innanzitutto la nuova normativa appare rispondere allo spirito dell’iniziativa referendaria nella parte in cui detta una nuova disciplina in materia di borse di studio, nella misura in cui abbandona il criterio del rimborso delle spese effettivamente sostenute. Tale abbandono è significativo, in quanto proprio attraverso quel criterio si potevano introdurre trattamenti di favore a vantaggio degli utenti delle scuole private.

2.2.- Al contrario, la disciplina degli interventi di fornitura di attrezzature e strumenti didattici (di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), e comma 4, lett. a) e c), della l. reg. n. 26 del 2001) appare sostanzialmente una conferma di quella sottoposta a referendum.

2.2.1.- Nell’art. 3, comma 1, lett. b), della l. n. 26 del 2001 (definitivamente approvata il 25 luglio 2001), rispetto al testo precedente (approvato alla seduta del 4 luglio 2001), è scomparso il riferimento al "sistema scolastico e formativo", che poteva richiamare le precedenti velleità di stabilire un "sistema integrato" di istruzione. Nondimeno, come già osservato, il nuovo testo prevede comunque interventi a sostegno di "progetti volti a garantire ed a migliorare i livelli di qualità dell’offerta formativa ed educativa", con una dizione ancora più ampia della precedente, che dunque non ne elimina le ambiguità, ed anzi le aggrava.

Per la concreta individuazione dei soggetti destinatari delle provvigioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), inoltre, bisogna fare riferimento agli artt. 5 e 6 del medesimo progetto di legge (come si evince dal richiamo contenuto nell’art. 3, comma 1). L’art. 6, in particolare, individua come destinatari degli interventi i "frequentanti le scuole del sistema nazionale di istruzione, compresi quelli delle scuole dell’infanzia". Data anche l’affermazione di cui all’art. 1, a tenor della quale la nuova legge regionale disciplina gli interventi per il diritto allo studio "in raccordo" con le norme della legge 10 marzo 2000, n. 62, deve dedursi che gli interventi di sostegno economico previsti dall’art. 3, comma 1, siano destinati anche alle scuole paritarie private. Secondo l’art. 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, infatti, "il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali".

2.2.2.- E’ bene rilevare che solo in apparenza e solo in parte gli interventi previsti dalla nuova legge sono disposti a favore dei singoli studenti. Lo stesso comma 4, lett. a), dell’art. 3, pur parlando di facilitazioni per l’utilizzo di strutture culturali, sportive e scientifiche, prevede provvidenze in favore (non già degli alunni, ma) delle scuole. La prima impressione, infatti, è smentita dal successivo riferimento a progetti di innovazione e sperimentazione in ambito didattico ed educativo, ed è evidente come l’elaborazione di un progetto di innovazione e sperimentazione richieda un momento organizzativo e di coordinamento che trova proprio negli istituti scolastici la sua sede naturale. La disposizione, peraltro, riproduce nella sostanza (e riecheggia anche nel linguaggio) quella dell’art. 10, comma 4, lettera d), della l. reg. n. 10 del 1999, che prevedeva l’erogazione di fondi regionali a soggetti gestori di scuole dell’infanzia convenzionate, "finalizzati alla qualificazione dell’offerta formativa, da realizzarsi tramite progetti migliorativi dei servizi".

Significativa infine è la successiva lettera c) dello stesso comma, ove si prevede il finanziamento di interventi volti a migliorare la qualità dell’offerta formativa: salvi i rilievi di cui si è detto più sopra, questa disposizione è criticabile anche per la specifica previsione di progetti di qualificazione del personale scolastico, che ancora più difficilmente potrebbero esser inquadrati tra quei sostegni individuali ai discenti, in cui gli interventi in materia di diritto allo studio dovrebbero esaurirsi. In questo senso risulta riprodotta, nella sua sostanza, la disciplina contenuta nell’art. 10, comma 4, della l. reg. n. 10 del 1999, da cui il quesito referendario (punto 6) mirava ad espungere le lettere da c) a f).

In particolare, la lettera e) dell’art. 10 citato prevedeva che i fondi fossero erogati dalle Province alle associazioni rappresentative a livello locale o regionale di soggetti gestori di scuole dell’infanzia convenzionate, "finalizzati a realizzare progetti di qualificazione dell’offerta educativa, tramite la formazione degli operatori e la dotazione di figure di coordinamento pedagogico": la corrispondenza di contenuto con la previsione dell’art. 3, comma 4, lettera c), della nuova legge regionale è evidente.

2.3.- Conclusivamente, anche per quanto riguarda le singole disposizioni della l. reg. n. 26 del 2001, non si registrano innovazioni di sostanza rispetto alla previgente disciplina (concernenti, cioè, il suo "contenuto normativo essenziale").

Ha errato dunque la Commissione per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare quando ha ritenuto che la nuova disciplina regionale abbia abbandonato radicalmente l’impostazione della precedente normativa (si allegano il parere conclusivo 10.9.2001 e i verbali n. 5, 6, 7 (doc. 10, 11, 12).

Del resto è significativo la lettura della relazione dissenziente del prof. Ugo Rescigno, che aveva anche indicato al Presidente della Giunta Regionale il nuovo quesito, così formulandolo

"Volete voi abrogare le parti della Legge Regionale n. 26/2001 che consente a Regione, Province e Comuni di finanziare anche a vantaggio delle scuole private progetti volti a garantire e migliorare i livelli di qualità dell’offerta formativa ed educativa?

Per quanto riguarda le nuove disposizioni che vengono sottoposte a referendum abrogativo esse diventano: 2A) le parole "e delle agenzie formative" contenute nella lettera a) del comma 1 dell’art. 2; 2B) la lettera a) del comma quarto dell’art. 3; 2C) la lettera c) del comma quarto dell’art. 3".

Conseguentemente, il decreto n. 283 in data 11.9.2001 del Presidente della Giunta Regionale appare illegittimo e deve essere disapplicato. E dunque deve essere disposto il "trasferimento" del quesito referendario dalle disposizioni della l. reg. n. 10 del 1999 a quelle della l. reg. n. 26 del 2001, nelle parti in cui queste ultime non risultano sostanzialmente innovative delle precedenti.

Tutto ciò premesso, i sottoscritti difensori chiedono l’accoglimento delle seguenti

CONCLUSIONI:

voglia il Tribunale di Bologna, respinta ogni contraria istanza ed eccezione:

  1. accertare e dichiarare che il referendum abrogativo avente originariamente ad oggetto alcune norme della Legge Regionale 25/5/1999 n.10, poi abrogata dalla Legge Regionale 8/8/2001 n.26, deve essere effettuato, ai sensi dell’art.25 comma 3° della Legge Regionale 22/11/1999 n.34, nonostante il diverso avviso della Commissione consultiva per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare, il cui parere deve quindi essere disapplicato per violazione di legge;
  2. disapplicare quindi il decreto n.283 dell’11/9/2001 del Presidente della Giunta Regionale Emilia Romagna, in quanto conseguente al parere contra legem della Commissione consultiva,
  3. e conseguentemente:

  4. in via principale, ordinare al Presidente della Giunta Regionale di indire il referendum abrogativo della Legge Regionale 8/8/2001 n.26 sul seguente quesito: "volete voi abrogare le parti della Legge Regionale 8/8/2001 n.26 che consentono a Regione, Province e Comuni di finanziare anche a vantaggio delle scuole private progetti volti a garantire e migliorare i livelli di qualità dell’offerta formativa ed educativa?";
  5. in via subordinata e salvo gravame, ordinare al Presidente della Giunta Regionale di indire il referendum abrogativo della Legge Regionale 8/8/2001 n.26, previa consultazione della Commissione consultiva per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare in ordine alla riformulazione del quesito referendario, ai sensi dell’art.25 comma 4° della Legge Regionale 22/11/1999 n.34.

In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 9 comma 5 legge 23/12/1999 n. 488 dichiara che il valore della presente controversia è di valore indeterminabile e che il contributo unificato ammonta a € 310,00.

Si producono i seguenti documenti:

1) decreto n. 283 dell’11.9.2001 Presidente Giunta Regionale Emilia Romagna;

2) modulo raccolta firme referendum;

3) testo quesito referendario;

4) L.R. 25.5.99 n. 10;

5) L.R. 24.4.1995 n. 52;

6) deliberazione Uff. Presidente Cons. Reg. 29.7.99 n. 162 – dichiarazione ammissibilità referendum;

7) L.R. 22.11.1999 n. 34 testo unico in materia di iniziativa popolare e referendum;

8) diffida per l’indizione referendum 12.6.2000;

9) L.R. 8.8.2001 n. 26

10) verbale n. 5/2001 del 31 agosto 2001 con allegata relazione;

11) verbale n. 6/2001 del 3.9.2001 con allegate ulteriori riflessioni prof. Rescigno;

12) verbale n. 7/2001 del 10.9.2001 con allegato parere della Commissione per i procedimenti referendari.

Bologna - Firenze - Roma, 26 giugno 2002

Avv. Franco Bambini

Prof. Avv. Massimo Luciani

Avv. Corrado Mauceri

Prof. Avv. Marcello Pedrazzoli

Avv. Maria Virgilio

Relazione di notificazione

Ad istanza della avv. Maria Virgilio, io sottoscritto Assistente U.N.E.P. addetto alla Corte d’Appello di Bologna, ufficio unico, ho notificato il presente atto alla Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, con sede in Bologna, Via Aldo Moro n.52, ivi consegnandone copia conforme a mani di

 

 

 

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