I recenti dati OCDE dimostrano che la scuola italiana adempie alla funzione costituzionale di "rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini" molto di più di altri paesi.

1 L’attuale attenzione per la scuola sembra rivolgersi a due linee guida diverse e per larga parte divergenti. Da una parte c'è una prospettiva di tipo economicistico, secondo cui la scuola avrebbe una funzione essenziale entro le nuove richieste dell’economia mondiale, basata sempre di più sul "capitale umano" (Checchi, 1997, Ardeni 1995). In questa prospettiva assume un ruolo fondamentale l’opzione regionalista, sviluppata dall’ipotesi di riforma costituzionale del centro destra, ma ben sostenuta dal protagonismo delle Regioni del centro sinistra, prima fra tutte l’Emilia Romagna, nel quadro della riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001.

Dall’altra c’è una prospettiva di tipo "civile", che affida alla scuola la formazione della coscienza, della razionalità di base, della capacità critica, della partecipazione a valori condivisi e insieme della tolleranza verso l’"altro" e il "diverso". Questa prospettiva vede nella scuola il luogo morale per il rilancio dei grandi valori che sostengono la coesione sociale. E nei nuovi scenari dell’immigrazione e di un tessuto sociale che sarà multietnico (e multireligioso) questa funzione civile si proietta sia verso i "giovani italiani", per condurli ad un incontro positivo con gli immigrati, sia verso questi ultimi, per dar luogo ad un’integrazione positiva nel paese che li accoglie.

2. Tali prospettive sono così complesse, e la posta in gioco, per quanto abbiamo appena ricordato, così importante, che un dibattito "serio" sulla scuola italiana deve necessariamente fondarsi su evidenze di fatto attendibili. Soccorre in questo compito l’esame degli indicatori elaborati dall’OCDE all’interno della ricerca PISA e resi noti nell’edizione 2003 di Education at a glance.

Esprimere in astratto un giudizio sulla scuola italiana è una pratica ideologica; tale giudizio (da cui dovrebbe prendere le mosse un percorso di azione) deve al contrario essere commisurato agli obiettivi che l'ordinamento repubblicano alla scuola affida. Sotto questo profilo, il fondamento dell’azione repubblicana in ambito scolastico va ricercato nell’art. 3 della Costituzione:

"… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese…"

Ebbene, nelle pagine che seguono cercheremo di dimostrare che, sotto il profilo sostanziale, la scuola italiana è stata sin qui capace, pur con alcune manchevolezze non lievi, di assolvere ai compiti ad essa affidati dalla Costituzione.

La prima indicazione che si trae dai dati OCDE riguarda il livello di diffusione dell’istruzione media superiore nei paesi industrializzati, distinto per classi d’età.

Tabella 1. Popolazione che ha ottenuto almeno il diploma di scuola secondaria superiore per classe d’età (2001) dati in percentuale

Classe d’età

25-64

25-34

35-44

45-54

55-64

Paesi

Francia

64

78

67

58

46

Germania

83

85

86

83

76

Gran Bretagna

63

68

65

61

55

Italia

43

57

49

39

22

Spagna

40

57

45

29

17

USA

88

88

89

89

83

Media OCDE

64

74

68

60

49

Dall’esame della tabella si traggono due ordini di considerazioni:

  1. nel complesso, il livello di diffusione dell’istruzione superiore nella popolazione italiana è di gran lunga inferiore sia alla media OCDE che a quello dei paesi leader a livello mondiale; di poco superiore a quello della Spagna. Anche con riferimento alla coorte di età 25-34 anni, il gap continua ad essere impressionante;
  2. questo gap è il frutto di una condizione generale di arretratezza della società italiana che è una sua caratteristica di lunga durata. Basta ricordare la recente diffusione dei dati che indicano in 22 milioni il numero degli analfabeti (39% della popolazione). Ma non si può non sottolineare che nell’arco di trent’anni il sistema scolastico italiano (cioè la scuola di Stato) è riuscito a far aumentare di oltre trenta punti la percentuale di diplomati (dal 22% della generazione in età 55-64 al 57% della generazione in età 25-64). Nello stesso arco tempo, la percentuale di diplomati francesi è aumentata del 22%, quella tedesca del 7% e quella media dei paesi OCDE del 15%.

Non ci sembra che questi dati siano quelli caratteristici di un sistema che funziona male (altrimenti il gap sarebbe ancora quello di trenta anni fa), ma quelli di un sistema che non funziona abbastanza.

3. Il dato sulla diffusione dell’istruzione superiore e sulla sua dinamica temporale ha una valenza eminentemente quantitativa. Che dire, quindi, sulla qualità dell’istruzione? Il problema della sua misurazione è oltremodo complesso, per le evidenti difficoltà che attengono alla misurazione di grandezze non osservabili. Inoltre, sui risultati scolastici, come è del tutto scontato, influiscono molteplici fattori, ambientali e familiari e di sistema scolastico, per cui le performance scolastiche di un alunno non sono riconducibili esclusivamente all’efficacia del sistema di istruzione in quanto tale. Con questo caveat esaminiamo ora i risultati dell’indagine OCDE, riferiti prima agli allievi di 10 anni e poi agli allievi di quindici anni (la misurazione della performance è stata ottenuta nell’ambito delle indagini IEA e OCDE PISA).

Tab. 2) Risultati medi e variazioni nelle capacità di lettura degli studenti di 10 anni (IEA 2001)

 

Media

Deviazione standard

Francia

525

91

Germania

539

90

Italia

541

94

Gran Bretagna

553

112

Usa

542

108

Media Ocde

529

96

 

 

Tab. 3) Risultati nella capacità di lettura dei quindicenni (OCDE PISA 2001)

Media

Deviazione standard

Francia

505

92

Germania

484

111

Gran Bretagna

523

100

Italia

487

91

USA

504

105

Media OCDE

499

100

Dall’esame delle Tabelle 2 e 3 emerge in primo luogo che la capacità di lettura degli alunni italiani di 10 anni è fra le migliori al mondo. Il nostro paese si colloca al quinto posto fra tutti in quanto ai risultati medi, ma sicuramente il migliore, se si tiene conto del basso livello di variazione dei risultati.

Il dato dei quindicenni italiani è lievemente inferiore alla media OCDE; tuttavia anche altri grandi paesi avanzati quali la Germania sono su livelli medi sostanzialmente analoghi al nostro. Tuttavia, se guardiamo alla seconda colonna della tabella, in cui sono riportati gli indicatori sintetici di variabilità, si nota con chiarezza che la magnitudine della disuguaglianza tra i livelli di capacità di lettura degli alunni in Italia è sostanzialmente inferiore a quella della media OCDE e di gran lunga inferiore a quella della Germania, che appunto ha una media analoga alla nostra. La scuola italiana, in sostanza, pur in presenza di un livello di istruzione dei genitori di gran lunga più basso di quello della media OCDE (vedi la tabella 1) è riuscita a fornire risultati decorosi, e soprattutto a contenere la dispersione degli stessi, limitando di fatto la disuguaglianza tra i cittadini, come appunto prescrive l’art. 3 della Costituzione.

Dove la performance del sistema scolastico italiano (naturalmente congiunto ad altri fattori) si posiziona su livelli di grande soddisfazione è nel campo che potremmo definire del "sentimento civile". Lo stesso accade nelle performance in materie come Storia e Geografia nelle quali i risultati degli studenti italiani si pongono ai primi posti nel mondo

4. Vogliamo tornare ora, sulla questione della disuguaglianza nelle performances scolastiche degli allievi. Queste, come è del tutto ragionevole ritenere, sono governate da tre grandi ordini di fattori:

  1. il talento individuale e l’impegno di ciascun allievo;
  2. l’efficacia del sistema scolastico;
  3. il contesto ambientale e familiare.

Ovviamente, il fattore a) dovrebbe risultare uniformente distribuito across countries, quindi le differenze nei risultati scolastici riferiti ad un intero sistema-paese dovrebbero essere attribuiti all’agire congiunto dei fattori b) e c). Nella tavola seguente (tabella 4) riportiamo le differenze medie dei punteggi degli allievi 15 enni.

Tab. 4. Differenze nelle capacità di lettura dei 15enni correlate alla professione dei genitori*

Italia

68

Svezia

74

Francia

84

USA

90

Gran Bretagna

97

Germania

113

Svizzera

115

 

differenza fra i risultati del 25% degli studenti con i più bassi livelli occupazionali dei genitori e il 25%

con i livelli più alti.

 

L’indice di performance letteraria varia concordemente all’accrescimento dello status socio economico della famiglia; e ciò si riscontra uniformemente in tutti i paesi. Tuttavia, per quanto attiene al nostro paese, va messo in evidenza che il campo di variazione dell’indice (68 punti) è di molto più contenuto rispetto alla media OCDE (82 punti) e agli altri grandi paesi avanzati e che i nostri studenti con risultati peggiori ottengono risultati migliori della media OCSE.

D’altra parte, le performance complessiva del sistema scolastico è inevitabilmente influenzata, come abbiamo appena ricordato, dalla qualità dell’ambiente familiare. Sempre nel rapporto Education at a glance l’OCDE calcola il rapporto tra la probabilità che uno studente estratto a caso dalla popolazione risulti appartenere al primo quartile della distribuzione delle famiglie secondo lo status socio-economico (ovvero alle famiglie di estrazione più bassa) e che lo stesso studente sia nel primo quartile della distribuzione secondo il punteggio che misura la performance letteraria secondo la metodologia PISA (ovvero fra gli studenti più scarsi). Tali rapporti di probabilità (likelihood ratios) sono i seguenti:

Tabella 5. Rapporti di probabilità

Francia

2,2

Germania

2,6

Gran Bretagna

2,1

Italia

1,8

Belgio

1,9

USA

2,1

MEDIA OECD

2,0

La lettura della tabella è semplice: ad esempio ci dice che nella media dei paesi OCDE, uno studente povero ha il doppio della probabilità, rispetto allo studente standard, di essere anche uno studente che ha basse performance. E’ con qualche orgoglio che riscontriamo che, per l’Italia, tale rapporto di probabilità (seppur significativamente maggiore di uno) è più basso della media OCDE, anzi il più basso tra tutti i paesi che abbiamo incluso nel nostro panel.

5. L’analisi dei dati OCDE permette di affrontare in modo scientifico e non ideologico il tema della riforma della scuola pubblica italiana. I dati evidenziano le caratteristiche essenziali del nostro modello scolastico:

  1. la scuola italiana tende ad unire: tutti i dati dimostrano che la nostra scuola ha uno dei più piccoli tassi di variazione nei risultati scolastici (tab. 2, 3 , 4) e che è il paese con in assoluto il minor tasso di variazione nei risultati all’interno della stessa scuola;
  2. la scuola italiana è quella che, nel confronto con gli altri paesi OCDE, favorisce di più i non abbienti e comunque i più deboli culturalmente (vedi tab. 4, 5);
  3. la nostra scuola primaria ottiene risultati eccellenti;
  4. va sfatato il luogo comune che la scuola italiana ratifichi le disuguaglianze sociali di partenza; in realtà queste condizionano in modo evidente i risultati in tutti i paesi, ma l’Italia è uno dei paesi che ottiene maggiori risultati nel superare tale discriminazione. Dai dati PISA si evince che gli studenti italiani più scarsi ottengono risultati migliori della media OCDE;
  5. Gli studenti della scuola pubblica statale ottengono risultati nettamente migliori di quelli della privata, in particolare nell’istruzione classica (vedi E. Nardi, Come leggono i quindicenni italiani, F. Angeli, testo del curatore italiano della ricerca OCSE- PISA);
  6. Tutti i paesi di tipo federale, nei quali il sistema scolastico è diversificato regionalmente, mostrano risultati invero deludenti in media e grandi differenze. L’indagine OCDE ha misurato anche le cause di tali differenze, evidenziando che dipendono essenzialmente dal modello scolastico differenziato a livello geografico presente i tali paesi. Infatti il 76% della variazione dei risultati in Germania è fra le scuole e solo il 51% all’interno della stessa scuola.

L’attuale dibattito politico sulla riforma scolastica sconta una pesante arretratezza di analisi e una preoccupante carenza di visione strategica.

La previsione di diminuire il numero di ore obbligatorie nel primo ciclo intralcerà pesantemente l’azione di alfabetizzazione, che ha visto protagonista la scuola di base italiana, ricacciando gli alunni delle classi deboli, provenienti da famiglie con scarse conoscenze culturali, nel limbo dell’ignoranza.

La previsione di affidare tutta l’istruzione tecnica e professionale alle Regioni produrrà la frammentazione del sistema in tanti modelli regionali, con pesanti conseguenze proprio sulle zone più disagiate e in generale uno spostamento degli interventi da quelli volti ad innalzare ulteriormente il numero di diplomati a quelli di pura formazione professionale e di addestramento al lavoro.

Il primo problema che abbiamo di fronte è ben altro: quello di fornire competenze culturali di base alle vecchie generazioni ( oltre il 40% della popolazione italiana ha al massimo la licenza elementare) e di accrescere le competenze, in particolare scientifiche, delle nuove generazioni, che scontano le carenze delle generazioni precedenti.

Il secondo problema è come mantenere la "mission" costituzionale e nel contempo curare maggiormente le eccellenze, fornendo loro approfondimenti e competenze aggiuntive.

Bologna 1 febbraio 2004

Prof. Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione

Prof. Giorgio Tassinari, Direttore del Dipartimento di statistica economia, Università di Bologna.

P.S. una versione più ampia del saggio si può trovare nel sito www.comune.bologna.it/iperbole/coscost