Spagna. Operatori sociali nella scuola. Spesso i problemi dell’insuccesso scolastico hanno cause che non sono interne alla scuola (carenze affettive, marginalità familiare, povertà)  e a questo punto i docenti possono fare poco o nulla: questa è la motivazione che sta spingendo il nuovo ministro dell’educazione spagnolo Maria Jesùs San Segundo a introdurre nella scuola spagnola operatori sociali che si occupino di rafforzare la convivenza negli istituti scolastici, operando soprattutto in relazione ai comportamenti violenti o all’assenteismo. Non ci sarà perciò un avvio a tappeto dell’esperienza, ma si partirà dalle situazioni più urgenti. Tanto più che i costi di questo nuovo personale si scaricheranno sulle comunità regionali autonome.

Nella scuola primaria queste figure esistono già, generalizzate nelle equipe psicopedagogiche di orientamento: il loro lavoro si intreccia con i servizi comunali di assistenza sociale e la loro funzione è costruire un ponte tra la famiglia e la scuola affinché quest’ultima abbia anche il senso della situazione sociale che vive l’alunno.

Anche nella secondaria esistono già esperienze in Aragona, in Estremadura (dove da tre anni tutte le scuole sono coperte) e a Madrid. Esistono sostanzialmente due modalità di funzionamento: o queste figure sono integrate nelle equipe di orientamento delle scuole o sono le scuole a ricorrere ai servizi assistenziali comunali o regionali.  In alcuni casi si occupano di violenza e disagio scolastico, in altre di mediazione con i figli degli immigrati, in altre della relazione tra le famiglie e la scuola.

I sindacati della scuola hanno accolto con favore l’intenzione del ministro, ma ognuno ha avanzato a modo suo la richiesta di più risorse: Comisiones Obreras  ha chiesto una diversificazione professionale, l’Ugt  un rafforzamento dell’investimento finanziario alle comunità autonome,  la Stes ha chiesto nuovi organici. Singolare la richiesta del sindacato Csi-Csif: vorrebbe ualcuno che difendesse i docenti  da minacce e a insulti da parte degli studenti. 

 

Regno Unito. Riforma radicale… ma non troppo. A Luglio Tony  Blair aveva promesso radicali riforme nel curriculum delle scuole secondarie britanniche. Si riferiva alle conclusioni dei lavori della “ commissione Tomlison” che dopo 18 mesi ha prodotto un documento di oltre 100 pagine, il cui pezzo forte è l’introduzione di un diploma al posto delle più tradizionali certificazioni inglesi fondate su valutazioni spesso parziali. La cosa che ha l’indubbio valore di voler recuperare quel 60% di ragazzi inglesi che dopo i 16 anni abbandona gli studi “pieni” e punta su preparazioni “parziali” , legati a una o a poche discipline.

Il disegno però non è privo di contraddizioni. Tra queste una riguarda la valorizzazione delle esperienze personali dei ragazzi tra le quali vengono annoverate tanto prestazioni sportive, come ad esempio divenire capitano di una squadra di rugby, quanto i lavori di cura familiari, come assistere un parente ammalato.

Un’altra riguarda la possibilità di introdurre l’alternanza scuola-lavoro per motivare meglio allo studio e orientare le scelte professionali degli alunni. Ma se la “commissione Tomlison” guarda soprattutto all’età compresa tra i 16 ei 19 anni, non si esclude questa possibilità neppure tra i 14 e i 16 anni e qualcuno dice anche a partire dagli  11 anni. Tuttavia, a parte le considerazioni pedagogiche, la questione è messa in discussione anche dai costi: per i trasporti, le mense, la progettazione degli stages, la loro gestione ecc.

Un’altra contraddizione ancora è data dalla proposta di internalizzare gli esami GCSE, quelli che si fanno a 16 anni e che segnano la fine dell’obbligo scolastico. I conservatori hanno già fatto sapere la loro contrarietà: si tradirebbe la fiducia dei datori di lavoro britannici nella preparazione scolastica. Piuttosto essi propongono che si aumentino i percorsi professionali e che si rafforzino alcuni insegnamenti come matematica, inglese e informatica.

 

Francia. Un film cambia la politica scolastica del governo. Può un film cambiare una scelta di politica scolastica del governo? In Francia pare di sì.  Il film si chiama “ Les Choristes”, si dice che in Francia lo abbiano visto sette milioni di spettatori. Il film parla di un gruppo di adolescenti disadattati, incapaci di rispettare altra disciplina che quella imposta con la violenza che riscopre le virtù civili grazie al canto corale. Il film è un remake di una pellicola francese del dopoguerra. La metafora che ciascuno dei personaggi rappresenta è la possibilità per ciascuno di realizzarsi artisticamente in un progetto collettivo.

Ed è dalla diffusione  questo messaggio che singolarmente il ministero di destra francese sembra aver tratto la conclusione di riciclare una legge del precedente ministero socialista, che lo stesso governo di destra aveva mandato in soffitta: il cosiddetto Progetto Artistico Culturale  (Pac) che nel 2000 Jack Lang, allora ministro dell’educazione, aveva messo a punto insieme al Ministero della Cultura.  Gli alunni accompagnati da un artista noto potevano essere iniziati ai segreti della danza, del teatro, della fotografia, della pittura, della musica, del disegno, fino a 12 aree di interesse. Nell’anno 2000 il progetto cominciò con 40 milioni di euro, nel 2002 superava i 78 milioni. Ma nel 2003, quando la destra arrivò al potere cominciarono i tagli fino a ridurre il progetto a un’attività parascolastica finanziata dalle sole regioni governate dalla sinistra. I ministri Ferry e Darcos sostenevano infatti che i Pac erano progetti più mediatici che efficaci. Ma oggi che la sinistra governa tutte le regioni tranne l’Alsazia, 60 su 100 dipartimenti si stanno coordinando per favorire queste lezioni di arte attraverso il canto corale e Fillon, il successore di Ferry ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco chiedendo nuovi finanziamenti e proponendo persino un premio annuale per la produzione artistica.

 

Portogallo. Continua il caos nell’assegnazione degli insegnanti. Il caos d’inizio d’anno scolastico ha indotto il Parlamento portoghese a formare una commissione di inchiesta per appurare le responsabilità della situazione e che ha iniziato i suoi lavori il 12 ottobre scorso.  L’intoppo nel sistema delle nomine ha infatti bloccato la ricollocazione di 50.000 insegnanti. Fino alla scorsa settimana l’anno scolastico non era ancora regolarmente partito e secondo i sindacati fino a dicembre sarà impossibile parlare di regolarità nelle lezioni.  La cosa colpisce dai 500.000 agli 800.000 alunni in tutti gli ordini e gradi di scuola.

Secondo il Governo la colpa è del sistema informatico, che lo scorso anno il ministero aveva centralizzato per evitare favoritismi e assurdità. Le prime graduatorie pubblicate nel maggio scorso erano già piene di errori: su 110.000 aspiranti ci furono 30.000 ricorsi. Furono perciò annullate. Da allora furono più volte rifatte, ma ogni volta si riprodussero errori. Solo l’intervento di una equipe informatica indipendente dal ministero ha consentito di avviare le operazioni il 28 settembre e a tutt’oggi manca ancora il trattamento dati di migliaia di insegnanti.

Una bufera di polemiche si è scatenata sul Governo e sull’agenzia informatica incaricata di trattare i dati, iun’azienda vicina al partito di governo ( il partito socialdemocratico, di centro-destra, nonostante il nome!). I sindacati preferiscono però porre l’accento sul numero troppo alto di precari che ogni anno sono costretti a ripresentare le domande e a partecipare alle graduatorie.