Ric. n. 2007/02 Sent. n. 56/04
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Stefano Baccarini Presidente
Marco Buricelli Consigliere
Angelo Gabbricci Consigliere - relatore
ha pronunciato la seguente


ORDINANZA

sul ricorso n. 2007/02, proposto da Soile Lautsi, in proprio e quale genitore dei minori Dataico Albertin e Sami Albertin, rappresentata e difesa dall’avv. L. Ficarra, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Veneto, giusta art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,
contro
l’Amministrazione dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, per legge domiciliataria,
per l’annullamento della decisione assunta il 27 maggio 2002 dal Consiglio di Istituto dell’I.C. “Vittorino da Feltre” di Abano Terme (Padova) — verbale n. 5 — nella parte in cui delibera di lasciare esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi;
nonché per l’annullamento degli atti presupposti e conseguenti, comunque connessi con quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Istruzione;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 13 novembre 2003 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l’avv. Ficarra per la ricorrente e l’avv. dello Stato Gasparini per l’Amministrazione resistente;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Massimo Albertin e Soile Tuulikki Lautsi, quest’ultima nata nella città di Sipoo, in Finlandia, sono i genitori di Dataico e Sami Albertin, nati rispettivamente nel 1988 e nel 1990, e iscritti nel 2002 rispettivamente alla III ed alla I classe dell’istituto comprensivo statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme (Padova).
Il 22 aprile 2002, nel corso di una seduta del consiglio d’istituto – come si legge nel verbale della riunione - lo stesso Massimo Albertin, “in riferimento all’esposizione di simboli religiosi” all’interno della scuola, ne propose la rimozione; dopo un’approfondita discussione, la decisione fu rinviata alla seduta del 27 maggio, quando fu posta in votazione ed approvata una deliberazione che proponeva “di lasciare esposti i simboli religiosi”.
Soile Tuulikki Lautsi, in proprio e quale genitore esercente la potestà sui figli minori, ha impugnato tale determinazione con il ricorso in esame; nel successivo giudizio si è costituito il Ministero dell’istruzione, concludendo per l’inammissibilità, l’improcedibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso.
DIRITTO
1.1. Il ricorso censura la deliberazione impugnata anzitutto per violazione dei principi d’imparzialità e di laicità dello Stato, e segnatamente del secondo, quale principio supremo dell’ordinamento costituzionale, avente priorità assoluta e carattere fondante, desumibile insieme dall’art. 3 della Costituzione, che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini, e dal successivo art. 19, il quale riconosce la piena libertà di professare la propria fede religiosa, includendovi anche la professione di ateismo o di agnosticismo: principio confermato dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva in Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848, che riconosce la libertà di manifestare “la propria religione o il proprio credo”.
Il rammentato principio di laicità, prosegue la ricorrente, precluderebbe l’esposizione dei crocefissi e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, disposta in violazione della “parità che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose”: l’impugnata deliberazione del consiglio della scuola “Vittorino da Feltre” costituirebbe “aperta e palese violazione dei suesposti principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico”.
1.2. Inoltre, continua la Lautsi, la stessa deliberazione sarebbe illegittima anche per eccesso di potere sotto il profilo della sua contraddittorietà logica.
Si desume invero dal verbale della seduta, in cui il provvedimento fu assunto, che uno dei membri dell’organo aveva espresso l’auspicio per cui “tale problema possa incentivare una maggiore educazione all’integrazione religiosa e al rispetto della libertà di idee e di pensiero per tutti”: ma, secondo la Lautsi, non si potrebbe affermare ciò e nel contempo negarlo, “dicendo che nella scuola debbono essere presenti i simboli religiosi appartenenti peraltro ad una sola determinata confessione religiosa”.
2.1. Il Ministero dell’istruzione, nel costituirsi, ha sollevato una prima eccezione di nullità del ricorso introduttivo, perché sottoscritto soltanto da uno dei genitori dei minori Dataico e Sami Albertin, mentre l’art. 320 c.c. prescrive che la rappresentanza legale dei figli spetta congiuntamente ad entrambi: l’eccezione è tuttavia infondata.
La norma citata stabilisce bensì che i genitori congiuntamente rappresentano i figli in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni, ma soggiunge che possono essere compiuti disgiuntamente da ciascuno di essi gli atti di ordinaria amministrazione, e, tra questi, ad avviso del Collegio, rientra l’esercizio, in nome e per conto dei figli minori, di azione per la tutela di situazioni sostanziali che non abbiano direttamente o indirettamente contenuto patrimoniale, ovvero comunque una potenzialità lesiva per la sfera giuridica patrimoniale del minore: certamente il ricorso in questione non presenta un siffatto contenuto, per cui esso ben poteva essere validamente proposto da uno soltanto dei genitori.
2.2.1. L’Amministrazione pone altresì un dubbio sulla giurisdizione del giudice adìto, che il Collegio non ritiene peraltro di condividere.
L’atto impugnato, infatti, si riferisce ad un arredo scolastico, seppure certamente sui generis, ed è dunque espressione di una potestà organizzativa che appartiene all’Amministrazione scolastica, a fronte della quale i singoli utenti hanno posizioni di interesse legittimo.
2.2.2. Quest’ultima considerazione consente di respingere altresì l’ulteriore eccezione proposta dalla difesa erariale, per cui il ricorso non sarebbe stato notificato a quei genitori ed allievi dell’istituto “Vittorino da Feltre”, i quali vogliono mantenere nelle aule scolastiche il crocifisso – che è l’unico simbolo religioso colà attualmente presente - e che per questo avrebbero la qualità di controinteressati.
Invero, nel giudizio amministrativo la posizione di controinteressato va riconosciuta – con il conseguente onere di notificazione del ricorso introduttivo - ai soggetti che si trovano in una posizione antitetica a quella del ricorrente, traendo utilità propria e diretta dal provvedimento impugnato, e sono facilmente individuabili in base a questo: in specie manca senz’altro questo secondo requisito, poiché la ricorrente (come d’altronde la stessa resistente) non era certamente in grado di stabilire, nel momento in cui ha proposto il ricorso, chi condividesse la decisione assunta dal consiglio d’istituto e qui impugnata.
2.3.1. Ancora, lo stesso Ministero sostiene di aver diramato, sia pure dopo l’avvio del processo, una circolare, datata 3 ottobre 2002, in cui si inviterebbero i dirigenti scolastici ad assicurare l’esposizione del crocefisso nella aule scolastiche: e tale disposizione, secondo la difesa erariale, “sarebbe comunque ostativa alla possibilità per la parte ricorrente, di ottenere la rimozione del simbolo cristiano”.
2.3.2. Si deve peraltro anzitutto osservare come la circolare non risulti essere stata ufficialmente pubblicata, né comunicata direttamente alla ricorrente, e neppure prodotta in giudizio: sicché neppure il Collegio è in grado di valutarne la rilevanza, e l’effettivo valore vincolante.
La stessa circolare, comunque, non costituirebbe in ogni caso, per ammissione della stessa Amministrazione resistente, un atto presupposto del provvedimento gravato, né ciò sarebbe possibile, essendo a questo successiva.
Non si potrebbe dunque far carico alla ricorrente di non averla impugnata con il ricorso introduttivo, né di non averla successivamente gravata mediante motivi aggiunti, come pure si sostiene nel controricorso, non trattandosi di un atto appartenente allo stesso procedimento ed adottato “tra le stesse parti” (art. 21, I comma, l. 1034/71): si deve quindi concludere che, allo stato, la Lautsi conserva integro il proprio interesse all’annullamento della deliberazione 27 maggio 2002, la quale incide direttamente sulla sua posizione soggettiva d’interesse legittimo.
3.1. Di ben maggiore spessore è viceversa l’ulteriore difesa dell’Amministrazione.
Essa rileva che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è espressamente prescritta da due disposizioni, l’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, recante disposizioni sull’ordinamento interno degli istituti di istruzione media, e dall’art. 119 del RD. 26 aprile 1928 n. 1297 (e, in particolare, nella Tabella C allo stesso allegata), riferito agli istituti di istruzione elementare.
Tali norme, sebbene risalenti, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere 27 aprile 1988 n. 63/1988, reso dalla II Sezione del Consiglio di Stato: e, sebbene non espressamente richiamate nell’atto impugnato, ne fonderebbero la legittimità, e dovrebbero dunque condurre alla reiezione del ricorso proposto.
3.2. Invero, va anzitutto riconosciuto che le disposizioni richiamate dall’Amministrazione resistente costituiscono, per tali, pertinente ed adeguato fondamento giuridico positivo del provvedimento gravato, seppure limitatamente ad un particolare simbolo religioso, il crocifisso, che è, peraltro, l’unico cui il ricorso si riferisce esplicitamente e, con ragionevole certezza, quello cui si vuole riferire il provvedimento impugnato.
Il citato art. 118 del r.d. 965/24 - incluso nel capo XII intitolato “dei locali e dell’arredamento scolastico” - dispone che ogni istituto d’istruzione media “ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re”; l’art. 119 del r.d. 1297/28, a sua volta, stabilisce che gli arredi delle varie classi scolastiche sono elencati nella tabella C, allegata allo stesso regolamento: e tale elencazione include il crocifisso per ciascuna classe elementare.
Tali previsioni, anteriori al Trattato ed al Concordato tra la Santa Sede e l’Italia - cui fu data esecuzione con la l. 27 maggio 1929, n. 810 - non appaiono contrastare con le disposizioni contenute in quegli atti pattizi, in cui nulla viene stabilito relativamente all’esposizione del crocifisso nelle scuole, come in qualsiasi ufficio pubblico; inoltre, come rileva il Consiglio di Stato nel citato parere n. 63/1988, le modificazioni apportate al Concordato con l’Accordo, ratificato e reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985, n. 121, “non contemplando esse stesse in alcun modo la materia de qua, così come nel Concordato originario, non possono influenzare, né condizionare la vigenza delle norme regolamentari di cui trattasi”, mancando i presupposti di cui all’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale.
In particolare, prosegue lo stesso parere, “non appare ravvisabile un rapporto di incompatibilità con norme sopravvenute né può configurarsi una nuova disciplina dell’intera materia, già regolata dalle norme anteriori”: sicché, in conclusione, poiché le disposizioni in parola “non attengono all’insegnamento della religione cattolica, né costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, deve ritenersi che esse siano tuttora legittimamente operanti”.
3.3. Orbene, il Collegio a sua volta deve riconoscere che le due disposizioni in questione non sono state abrogate, né espressamente, né implicitamente, da norme di grado legislativo ovvero regolamentare.
Il r.d. 965/24 ed il r.d. 1297/28, infatti, costituiscono certamente fonti regolamentari, come si desume, anzitutto, da specifiche previsioni che li autoqualificano per tali (ad es. l’art. 144 del r.d. 965/24, e la stessa intestazione per il r.d. 1297/28); a ciò si aggiunga che, nei rispettivi preamboli, vengono richiamati atti di grado sicuramente legislativo – il testo unico delle leggi sull’istruzione elementare, approvato con il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, da una parte, ed il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, recante l’ordinamento della istruzione media, dall’altra – rispetto ai quali sono destinati ad introdurre norme attuative di dettaglio .
3.4. È tuttavia evidente che la controversia non può così ritenersi definita, poiché, attese le censure proposte, il thema decidendum si sposta dal contrasto tra il provvedimento impugnato e l’invocato principio di laicità a quello dell’illegittimità costituzionale delle due citate disposizioni: questione che, in generale, può essere sollevata d’ufficio innanzi al Giudice delle leggi per quelle disposizioni che costituiscano presupposto di legittimità dell’atto impugnato.
4.1. Ora, tenuto anche conto che il provvedimento è stato emesso dal consiglio d’istituto d’un istituto comprensivo – che, cioè, riunisce la scuola elementare e media - non pare dubbio che la questione di costituzionalità, riferita sia all’art. 118 del r.d. 965/24 che all’art. 119 del r.d. 1297/28, abbia qui rilevanza in quanto su queste disposizioni è fondato il potere esercitato con il provvedimento impugnato.
Per quanto invece concerne la rilevanza della questione sotto il profilo della natura giuridica delle disposizioni oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, ferma, secondo l’insegnamento della Corte, l’inammissibilità del controllo diretto dei regolamenti da parte della Corte costituzionale, ne è invece ammissibile il controllo indiretto (cfr. le sentenze 30 dicembre 1994, n. 456, e 20 dicembre 1988, n. 1104), nei casi in cui una disposizione di legge “trova applicazione attraverso le specificazioni espresse dalla normativa regolamentare, i cui contenuti integrano il precetto della norma primaria” (Corte cost., 456/94 cit.).
4.2. Orbene, ad avviso del Collegio, tale relazione sussiste tra le norme regolamentari in questione e quelle primarie di cui le prime costituiscono specificazione: il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054 quanto all’istruzione media, il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577 quanto all’istruzione elementare, attualmente vigenti nella formulazione di cui al lgs. 16 aprile 1994, n. 297, mediante il quale è stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (art. 676 d. lgs. cit.).
Invero, rammentato nuovamente che il crocifisso costituisce, secondo le disposizioni regolamentari in questione, un arredo scolastico, va anzitutto ricordato come l’art. 159, I comma, del d. lgs. 297/94, corrispondente all’art. 55 del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, disponga che spetta ai comuni provvedere, tra l’altro, “alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte le scuole elementari”; per la scuola media, poi, l’art. 190 d. lgs. 297/94 cit., corrispondente all’art.103 del r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, egualmente dispone che i comuni sono tenuti a fornire, oltre ai locali idonei, l’arredamento, l’acqua, il telefono, l’illuminazione, il riscaldamento, e così via.
Orbene, alla specificazione del contenuto minimo necessario delle locuzioni di genere: “arredi” ovvero “arredamento”, contenute negli artt. 159 e 190, concorrono le due disposizioni regolamentari citate, comprendendovi anche il crocifisso: così si può senz’altro affermare che le disposizioni degli artt. 159 e 190, come specificati dalle norme regolamentari citate, includono il crocifisso tra gli arredi scolastici, e per questa parte, possono formare oggetto di sindacato di costituzionalità innanzi al Giudice della leggi.
4.3. V’è poi un’altra disposizione, contenuta nello stesso d. lgs. 297/94, che va considerata ai fini della rilevanza della questione, ed è l’art. 676, intitolato “norma di abrogazione”, il quale dispone che “le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”.
Invero, le norme recate dall’art. 118 del r.d. 965/24 e dall’art. 119 del r.d. 1297/28 non confliggono con il testo unico, ma dovrebbero comunque ritenersi implicitamente abrogate ex art. 15 preleggi, perché il d. lgs. 297/94 regola l’intera materia scolastica: restano dunque in vigore esclusivamente in forza dello stesso art. 676, il quale, dunque, costituisce, al pari dei richiamati artt. 159 e 190, una norma primaria attraverso la quale l’obbligo di esposizione del crocifisso conserva vigenza nell’ordinamento positivo.
5.1. Accertato così che la questione è rilevante, è ora necessario stabilire se la stessa sia o meno non manifestamente infondata.
Invero, il crocifisso rappresenta la massima icona cristiana, presente in ogni luogo di culto e più di ogni altra venerata: esso può bensì assumere ulteriori valori semantici, ma questi non possono comunque mai completamente elidere quello religioso, da cui traggono comunque giustificazione e fondamento.
La norma in questione, dunque, impone che nelle aule delle scuole elementari e medie, luoghi sicuramente pubblici, sia apposto un simbolo il quale mantiene comunque un univoco significato confessionale, per tale percepito dalla massima parte dei consociati: e non si può essere certi che una siffatta prescrizione sia compatibile con i principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana, nell’interpretazione che la Corte ha nel tempo delineato.
5.2. Invero, la laicità dello Stato italiano – come ricorda la ricorrente – costituisce, secondo il Giudice delle leggi, un principio supremo, emergente dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, e, dunque, “uno dei profili della forma di Stato delineata dalla Carta costituzionale della Repubblica”, (così Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203) e nel quale “hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse” (Corte cost., 18 ottobre 1995, n. 440).
Quale riflesso del principio di laicità (successivamente ribadito dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 259/90, 195/93 e 329/97), e, più specificatamente, dell’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art. 3 Cost.) e dell’eguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost.), “l’atteggiamento dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzialità” nei confronti di ogni fede, “senza che assumano rilevanza alcuna il dato quantitativo dell’adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione religiosa (sentenze nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329 del 1997)” (così Corte cost., 20 novembre 2000, n. 508).
In tale contesto, credenti e non credenti si trovano “esattamente sullo stesso piano rispetto all’intervento prescrittivo, da parte dello Stato, di pratiche aventi significato religioso: esso è escluso comunque, in conseguenza dell’appartenenza della religione a una dimensione che non è quella dello Stato e del suo ordinamento giuridico, al quale spetta soltanto il compito di garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione” (Corte cost., 8 ottobre 1996, n. 334); mentre “valutazioni ed apprezzamenti legislativi differenziati e differenziatori” tra le diverse fedi, con diverse intensità di tutela, verrebbero ad incidere sulla pari dignità della persona e si porrebbero “in contrasto col principio costituzionale della laicità o non-confessionalità dello Stato” (Corte cost., 14 novembre 1997, n. 329).
5.3. V’ è dunque da dubitare che siano compatibili con le precedenti enunciazioni le norme dell’ordinamento generale le quali prescrivono, come detto, l’esposizione di un simbolo venerato dal cristianesimo nelle aule scolastiche, (così come lo sarebbe ogni altra disposizione che stabilisse la presenza di simboli di altre fedi): ciò non pare pienamente conciliabile con la posizione di equidistanza ed imparzialità tra le diverse confessioni che lo Stato deve comunque mantenere, tanto più che la previsione si riferisce agli spazi destinati all’istruzione pubblica, cui tutti possono accedere - ed anzi debbono, per ricevere l’istruzione obbligatoria (art. 34 Cost.) - e che lo Stato assume tra i suoi compiti fondamentali, garantendo la libertà d’insegnamento (art. 33 Cost.).
Diversamente da quanto avviene per l’insegnamento della religione, che liberamente gli studenti ed i loro genitori possono o meno accogliere – e solo così il principio di laicità dello Stato è osservato: cfr. Corte costituzionale 203/89 cit., e 14 gennaio 1991, n. 13 – la presenza del crocifisso viene obbligatoriamente imposta agli studenti, a coloro che esercitano la potestà sui medesimi e, inoltre, agli stessi insegnanti: e la norma che prescrive tale obbligo sembra così delineare una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio che, secondo i rammentati principi costituzionali, non può trovare giustificazione neppure nella sua indubbia maggiore diffusione, ciò che può semmai giustificare nelle singole scuole, secondo specifiche valutazioni, il rispetto di tradizioni religiose – come quelle legate al Natale o alla Pasqua – ma non la generalizzata presenza del crocifisso.
6. In conclusione, non appare manifestamente infondata e va sollevata questione di legittimità costituzionale, per contrasto con il principio di laicità dello Stato, quale risultante dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come specificati rispettivamente dall’art. 119 del RD. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella parte in cui includono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche e dell’art. 676 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni di cui all’art. 119 del RD. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) ed all’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965.
Deve, pertanto, disporsi la sospensione del presente giudizio e la rimessione della questione all’esame della Corte costituzionale, giusta l’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, I Sezione, solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come specificati rispettivamente dall’art. 119 del RD. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella parte in cui includono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche e dell’art. 676 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni di cui all’art. 119 del RD. 26 aprile 1928, n. 1297 (Tabella C) ed all’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, in riferimento al principio della laicità dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 13 novembre 2003.
Il Presidente L’estensore

Il Segretario


SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Prima Sezione