L’esposizione del Crocefisso nella scuola pubblica venne disposta mediante 
  circolare con riferimento alla legge Lanza del 1857 per la quale l’insegnamento 
  della religione cattolica era fondamento e coronamento dell’istruzione 
  cattolica, posto che quella era la religione dello Stato . La legge Boncompagni 
  non fece che ratificare tale posizione. Successivamente il crocifisso fu definitivamente 
  introdotto dalla C. M. P.I. 22 nov. 1922, che prepara il terreno al R. D. 1 
  ottobre 1923 n. 2185. Con tale norma l’insegnamento della religione cattolica 
  diviene fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica e dunque il 
  crocefisso è parte di quell’insegnamento diffuso della religione 
  cattolica che permea di sé anche i programmi scolastici. Tale orientamento 
  rimane anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione: ne sono prova 
  i programmi per le scuole elementari del 1955 che assegnano alla religione un 
  ruolo centrale nel progetto educativo e continuano a prevedere la preghiera 
  in classe . 
  Un significativo intervento – ignorato da più parti - si ebbe con 
  l’art. 30 della L. 28 luglio 1967 n. 641 e con la Circolare 19 ott. 1967, 
  n. 361 (prot. MPI 2527), Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo: 
  L. 28 luglio 1967 n. 641, art. 29, 30 , emanata non a caso contestualmente al 
  D. M. 30 giugno 1967, n. 756 (G.U. 29 ag. 1967, n. 216) Approvazione dei nuovi 
  programmi per l’insegnamento della religione nella scuola secondaria superiore. 
  Nell’allegato B alla citata circolare si dispone relativamente all’arredamento 
  scolastico, richiamando gli artt. 120 e 121 R. D. 1297/28 e l’art. 30 
  L. 641/67 e si fornisce lo schema di richiesta di contributi – da compilarsi 
  a cura dei comuni – per provvedere alla fornitura dell’arredo scolastico. 
  E’ qui che si menziona come primo arredo il crocefisso. 
  Bisognerà attendere i nuovi programmi della scuola elementare e quelli 
  per la scuola media unica perché la preghiera scompaia. Avrebbero dovuto 
  scomparire anche i crocifissi, cosa che avviene in molte delle scuole di nuova 
  istituzione, ma la previsione rimane anche se l’insegnamento diffuso della 
  religione viene contestato anche in sede giurisdizionale. La Corte Costituzionale 
  minaccia di pronunciarsi sul vecchio art. 36 del Concordato lateranense , perciò 
  non a caso il Concordato del 1984 non prevede l’insegnamento diffuso e 
  l’art. 9 della legge 11 agosto 1984 n.449 relativa all’Intesa con 
  i Valdesi vieta esplicitamente l’insegnamento diffuso della religione 
  cattolica. Inoltre viene abrogato il principio della religione di Stato mediante 
  il punto 1 del Protocollo addizionale all’accordo di Villa Madama. 
  E’ vero le norme amministrative e regolamentari non vengono abrogate, 
  ma cadono in desuetudine in quanto non sussistono più le basi normative 
  che rendevano possibile imporre attraverso un provvedimento amministrativo l’esposizione 
  di un simbolo religioso, il crocifisso, che era strumentale a quel tipo d’insegnamento 
  . 
  Le circolari ministeriali che ne prevedono l’esposizione avrebbero dovuto 
  essere impugnate davanti al giudice amministrativo, chiedendone la disapplicazione, 
  ma ciò non è avvenuto, almeno fino ad oggi, quando alcune di queste 
  disposizioni vengono fatte rivivere malgrado la ricordata sentenza della Cassazione 
  Penale, invocando non solo pronunce di un organo “domestico” come 
  il Consiglio di Stato, o spacciando pronunce di consulenti di parte – 
  quali sono gli Avvocati dello Stato - come decisioni di un organo giurisdizionale, 
  ma ottenendo pronunciamenti di alcuni TAR discutibili, nella procedura seguita 
  prima che nel merito, in quanto si pronunciano avendo come riferimento i contenuti 
  delle disposizioni regolamentari, piuttosto che valutazioni sulla violazione 
  di legge.
  C’è poi da riflettere sul fatto che l’esposizione del crocefisso 
  non avviene in un luogo a caso. Esso è posto o dietro l’insegnante, 
  a significare che da quel simbolo, da quella matrice, discende l’insegnamento 
  impartito, o viene posto sopra la porta della classe, a simboleggiare con il 
  passaggio di studenti e docenti sotto di esso, sottomissione o comunque l’accettazione 
  di porsi sotto la sua protezione. 
  Come si vede il messaggio lanciato attraverso l’esposizione simbolica 
  del Crocifisso, per le modalità con le quali viene resa operativa, non 
  è collegabile al patrimonio storico del popolo italiano, ma bensì 
  ad un inaccettabile ed anacronistico imperio della religione sulla scienza ed 
  il sapere.
  Ben poco viene detto dai TAR sul fatto che le norme amministrative richiamate 
  non sono più sorrette dall’art. 1 dello Statuto albertino, non 
  foss’altro che per effetto dell’abbrogazione disposta dall’art. 
  1 del Protocollo Addizionale. Bisognerebbe cercare la copertura legislativa 
  di tali disposizioni in altre norme, pena la nullità della disposizione 
  amministrativa, e tuttavia ciò non viene fatto.
  Comunque la normativa citata appare superata dalla L. 23 dicembre 1991 n. 430, 
  art. 2, richiamata dal T. U., D. Lgs. 16.4.1994 n. 297, artt 107 (materne), 
  159 (elementari), 190, (medie) e dal T. U. nel suo complesso che non riprendono 
  alcuna delle norme citate.
  Non solo ma nell’elencazione puntuale delle suppellettili che compongono 
  l’arredo si fa riferimento esplicito solamente all’attrezzatura, 
  l’arredamento e il materiale di gioco per la materna (art. 107, punto 
  2 ). In modo più chiaro ed esplicito l’art. 159 stabilisce “ 
  Spetta ai comuni provvedere al riscaldamento, all’illuminazione, ai servizi, 
  alla custodia delle scuole e alle spese necessarie per l’acquisto, la 
  manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, 
  ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, , degli attrezzi 
  ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte 
  le scuole elementari …”. Di contenuto analogo le altre norme citate 
  che non fanno riferimento alcuno al crocefisso come arredo.
  In conclusione è nostra opinione che il giudice, investito della questione, 
  non possa che rilevare l’inesistenza di una norma attualmente in vigore 
  che imponga l’esposizione del crocifisso nella scuola pubblica e lo preveda 
  tra gli arredi dell’aula.
Il crocefisso come arredo: le competenze delle scuole
Partendo dalle citate norme del T. U. del 1994 si potrebbe sostenere che il 
  crocefisso rientri tra gli “arredi” scolastici e che quindi esso 
  fa parte dell’addobo di una classe deciso, in base ai principi di autonomia, 
  dagli organi scolastici. La conseguenza sarebbe che ogni comune - e quindi ogni 
  comunità locale - decide in conformità agli orientamenti presenti 
  sul territorio.
  Tale orientamento sembrerebbe confermato da alcune delibere comunali, ma a ben 
  guardare esse non contengono che inviti e raccomandazioni alle scuole ad esporre 
  il crocefisso – ma a chi nella scuola ?
  Fare riferimento agli organi scolastici significa riferirsi al dirigente scolastico 
  regionale, al dirigente della singola scuola, agli organi collegiali, al singolo 
  insegnante, magari sentite le famiglie ?
  Significativo a riguardo l’esito del tentativo di alcuni consigli di circolo 
  dell’Emilia Romagna che avevano deciso di far svolgere attività 
  di culto in orario scolastico che hanno visto il loro tentativo bloccato dal 
  TAR al quale si sono rivolti alcune confessioni religiose e associazioni di 
  insegnanti, genitori, studenti, cittadini. Il Tribunale amministrativo ha sostenuto 
  a riguardo che in alcun modo si possono interrompere le lezioni per svolgere 
  atti di culto, reintroducendo l’insegnamento diffuso della religione cattolica 
  . E’ da escludersi quindi l’autonoma iniziativa della scuola pubblica 
  nella definizione dei caratteri generali della prestazione all’utenza 
  e negli elementi caratterizzanti il servizio. E’ questo l’elemento 
  caratterizzante della prestazione tipico della scuola privata, peraltro inserita 
  – se ha richiesto la parità – a pieno titolo nel sistema 
  scolastico nazionale ai sensi della L. 62/2000. Le esigenze particolari in campo 
  religioso di famiglie e alunni possono essere soddisfatti nell’attuale 
  ordinamento nell’ambitop della scuola orientata.
Il crocefisso come arredo: le competenze dei comuni e delle province. Le competenze del Ministro
Abbandonata quindi l’ipotesi di una competenza delle scuole rimane da 
  capire dove possa rinvenirsi quella delle amministrazioni comunali o provinciali.
  Sembrerebbe nel fatto che tali enti sono preposti a provvedere agli arredi delle 
  scuole e che quindi intervengono non già con riferimento al valore culturale 
  del simbolo, ma alla sua natura di arredo.
  Ma spetta ai comuni stabilire quali sono gli arredi o non piuttosto al Ministro 
  della Pubblica Istruzione o alla scuola ?
  Se spetta al Ministro della Pubblica Istruzione si può certamente procedere 
  attraverso una circolare, o altro tipo di disposizione regolamentare, tuttavia 
  citando una qualche norma di riferimento legislativo. Se dovessimo considerare 
  il crocefisso indice di un indirizzo generale della scuola pubblica, posto che 
  ai sensi dell’art. 33 c. II “E’ compito della Repubblica emanare 
  le norme generali sull’istruzione…”, tale indicazione non 
  può essere elusa, ne può essere derogata dalle norme introdotte 
  con la modifica del capo V della Costituzione, poiché gli ambiti di intervento 
  degli Enti diversi dallo Stato sono espressamente definiti. L’art. 114 
  del rinnovellato testo costituzionale va letto necessariamente nel combinato 
  disposto con l’art. 5 della Costituzione e pertanto la posizione dello 
  Stato continua ad essere assolutamente preminente nel garantire i valori fondanti 
  dell’Unità nazionale. Inoltre l’autonomia assicurata dall’art. 
  114 ai diversi Enti va valutata “secondo i principi fissati dalla Costituzione” 
  art. 114 c. II “. Pertanto le disposizioni che obbligherebbero all’esposizione 
  di un simbolo religioso e, segnatamente del crocefisso, non potrebbero che essere 
  contenute in una legge o comunque scaturire da un provvedimento legislativo 
  a carattere nazionale, conforme ai principi costituzionali.
  Inoltre intervenendo il Ministro dovrebbe rispettare le norme costituzionali 
  ricordando che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione”. 
  Il riferimento alla Repubblica farebbe escludere il solo riferimento al potere 
  ordinatorio e organizzatorio del servizio da parte del Ministero e inoltre, 
  considerato per inciso che una scuola dove l’arredo delle classi si decide 
  a livello ministeriale è certamente una strana scuola dell’autonomia, 
  le norme costituzionali contengono certamente il principio di laicità, 
  che informa di se anche l’operato amministrativo ed organizzatorio del 
  Ministero dell’Istruzione.
Laicità dello Stato e “laicità relativa.
C’è in dottrina chi ha parlato di “laicità relativa” 
  o ponderata, affermando che la religione cattolica è fatto anche culturale 
  che incide nella scuola e sui caratteri identitari del suo messaggio culturale. 
  Aggiungo io, tanto incide che vi si insegna la religione cattolica, tanto incide 
  che è consentito alle scuole cattoliche che ottengono la parità 
  ai sensi della L. 62/2000, art. 1/3, di far parte del sistema scolastico nazionale, 
  sistema integrato finanziato dallo Stato.
  Lasciando per ora da parte ogni considerazione sulla legittimità costituzionale 
  di tali norme, si vorrebbe rinvenire un ulteriore vingolo alla libertà 
  di coscienza degli allievi, quello dell’esposizione del crocefisso in 
  classe in nome della “lacità relativa”, forzando il dettato 
  costituzionale attraverso provvedimenti amministrativi, benché – 
  sia detto per inciso - la Chiesa cattolica non abbia fatto oggetto di richiesta 
  l’affissione del crocefisso in locali pubblici durante le trattative per 
  la revisione del concordato: sarebbe questa, dunque, una scelta autonoma dello 
  Stato!
  Ma come si fa a fare appello alla “laicità relativa quando in quest’ultimo 
  decennio la Corte Costituzionale si è sforzata di negare ogni posizione 
  di privileggio alla religione cattolica, stabilendo l’inesistenza del 
  principio di “laicità relativa”!
  Infatti – senza andare molto lontano nel tempo – ricordiamo che 
  con sentenza 18 ottobre 1995, n. 440 la Corte Cost. ha dichiarato incostituzionale 
  l'art. 724, 1° comma, limitatamente alle parole: «o i simboli o le 
  persone venerati nella religione dello Stato». Questa decisione trova 
  i suoi precedenti in due inviti (sentenza n. 14 del 1973 e sentenza n. 925 del 
  1988), non raccolti dal legislatore, di estendere ad ogni religione la tutela 
  ivi prevista e afferma che la dichiarazione di incostituzionalità di 
  tale articolo del codice penale deve essere circoscritta alla sola parte nella 
  quale esso comporta effettivamente una lesione del principio di uguaglianza 
  .
  Successivamente, il primo marzo 2000 la Corte di Cassazione ha pronunciato una 
  sentenza che sembrava risolvere una volta per tutte la questione delicatissima 
  se sia lecita o addirittura obbligatoria l'esposizione del crocifisso negli 
  uffici pubblici . In sede ricostruttiva delle norme la Corte rileva come esse 
  siano ormai superate e contenute in atti normativi di varia natura risalenti 
  al periodo fascista e le analizza dal punto di vista della loro legittimità 
  sotto due profili, concludendo da un lato che tali norme sono espressione di 
  un neo-confessionismo statale, ormai superato dal principio di laicità, 
  dal momento che, specifica la sentenza, «l'imparzialità della funzione 
  di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità 
  dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni 
  elettorali» . Sotto il secondo profilo, la Corte nota come le norme sull'esposizione 
  del crocifisso, in quanto disposizioni di favore per la religione cattolica, 
  contrastano con il principio di uguaglianza, respingendo la tesi che attribuiva 
  al crocifisso un valore simbolico generalizzato nella coscienza etica collettiva. 
  A tale ultimo proposito è richiamata espressamente proprio la sentenza 
  della Corte Costituzionale tedesca del 1995, la quale, si dice, «ha ritenuto 
  una sorta di "profanazione della croce" non considerare questo simbolo 
  in collegamento con uno specifico credo». Questo riferimento alle esperienze 
  di altri Paesi è stato però criticato da una parte della dottrina, 
  che lo ha definito «oltre che improprio ed azzardato, anche abusivo». 
  
  Accanto al principio di laicità - che implica garanzia dello Stato per 
  la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale 
  e culturale - la Cassazione pone quello di libertà di coscienza: «La 
  libertà di coscienza è infatti un bene costituzionalmente rilevante 
  e quindi deve essere protetta in misura proporzionata alla priorità assoluta 
  e al carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa 
  dalla Costituzione italiana, al punto che la stessa libertà religiosa 
  ne diventa una particolare declinazione: libertà di coscienza in relazione 
  all'esperienza religiosa. Ne consegue che questa libertà, nel pluralismo 
  dei valori di coscienza susseguente alla garanzia costituzionale delle libertà 
  fondamentali della persona, va tutelata nella massima estensione compatibile 
  con altri beni costituzionali e di analogo carattere fondante, come si ricava 
  dalle declaratorie di illegittimità costituzionale delle formule del 
  giuramento, operate dall'Alta Corte alla luce di quel parametro». 
  Da tutto ciò consegue che le norme relative all'esposizione del simbolo 
  religioso sono espressione di un neo-confessionismo statale ormai superato dal 
  principio di laicità: Inoltre i relazione al principio di uguaglianza, 
  poiché le norme sull'esposizione del crocifisso sono "genericamente 
  promozionali" della religione cattolica, deve essere respinta la tesi che 
  assegna a esso un "valore simbolico della coscienza etica collettiva".
  Sulla scia di tutte queste dedisioni che definiscono lo Stato italiano come 
  non confessionale, si innesta anche un'altra sentenza della Corte Costituzionale 
  con la quale si dichiara l'incostituzionalità dell'art. 402 c. p. in 
  quanto - ribadisce la sentenza - «rappresenta un anacronismo al quale 
  non ha in tanti anni posto rimedio il legislatore. Deve ora provvedere questa 
  Corte nell'esercizio dei suoi poteri di garanzia costituzionale».
  La Corte ha ritenuto – così operando - che la persistenza dell'art. 
  402 c. p. integrasse una lesione al diritto di eguaglianza di tutti i cittadini 
  senza distinzione di religione e di tutte le confessioni religiose di fronte 
  alla legge. Quel motivo di favore che fino ad oggi è stato riservato 
  alla "religione di maggioranza", finalizzato al mantenimento di una 
  coesione sostanziale nella nostra società, non ha più ragione 
  di essere mantenuto nel sistema attuale, dato che «le ragioni che giustificavano 
  questa norma nel suo contesto originario sono anche quelle che ne determinano 
  l'incostituzionalità nell'attuale». E dunque, in forza dei principi 
  fondamentali sanciti agli artt. 3 e 8 della Cost., l'atteggiamento dello Stato 
  non può che essere di «equidistanza e imparzialità» 
  nei confronti di tutte le confessioni religiose. 
  La posizione di equidistanza e imparzialità cui fa riferimento la Corte 
  «è il riflesso del principio di laicità che la Corte costituzionale 
  ha tratto dal sistema delle norme costituzionali, un principio che assurge al 
  rango di "principio supremo", caratterizzando in senso pluralistico 
  la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza 
  di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse». E' da sottolineare 
  che nella sentenza la Corte afferma di aver maturato queste conclusioni in concomitanza 
  «con significativi e convergenti svolgimenti dell'ordinamento» , 
  non ultimo il recepimento con la legge 28 agosto 1997, n. 302 della Convenzione 
  quadro per la protezione delle minoranze nazionali, Strasburgo 1 febb. 1995 
  che all’art. 5 assicura a tutti il diritto di conservaresenza molestie 
  le proprie credenze religiose. Quello che colpisce è che a questi indubbi 
  svolgimenti dell'ordinamento in senso pluralista, fa da contraltare una sorta 
  di "fondamentalismo cattolico". che turba le coscienze e inquina lo 
  sviluppo sociale del Paese. Questo orientamento è di origini marcatamente 
  politiche, più che ecclesiali, e ad esso alcune componenti non avvedute 
  della Chiesa cattolica sono inclini a cedere anche a causa del forte impatto 
  emotivo della polemica.