Vincenzo Bagnoli
Cartografie dell'esperienza: da Soffici a Lello Voce.


1. Motivo di questo insolito accostamento è non la volontà di cercare improbabili parentele, inutili genealogie e linee fasulle, ma piuttosto il tentativo di individuare una tendenza nella poesia italiana del Novecento, quale possa essere ravvisabile mediante due momenti così distanti tra loro, l'uno posto sull'inizio e l'altro alla fine del secolo.

2. Ciò che accomuna a prima vista i due autori è l'avere fatto parte di movimenti di avanguardia (Futurismo e Gruppo '93, rispettivamente): in entrambi si ha dunque la chiara percezione che la zona di silenzio attorno ad un IO lirico di stampo tradizionale non esiste pi˜, e che è necessario confrontarsi con la caoticità di un reale frammentario e frantumato, col rumore di fondo. K. Kraus in un famoso aforisma aveva segnalato come l'arte moderna vivesse di "effetti secondari"; riferendosi a questo Soffici parlava della necessità che l'arte "scendesse dai trampoli". Ma quello che li caratterizza maggiormente è il non essersi limitati ad una sterile mimesi dello choc e della disorganicità dell'esperienza, realizzando uno scarto significativo dall'avanguardia stricto sensu. Soffici prende le distanze dal marinettismo allora dominante, così come Voce ci tiene a sottolineare la propria distanza dalle neoavanguardie, che si limitarono solo alla denuncia della falsificazione dei linguaggi senza riuscire poi ad allontanarsi molto dalla Palus Putredinis. Si deve invece tentare di affrontare il disordine e "razionalizzare" l'esperienza (anche se per farlo si dovranno usare "numeri irrazionali", forme irregolari centrate sul corpo che fanno pensare ai "draghi" antieuclidei della geometria frattale), col fine ben preciso di narrare, e non per il gusto di distillare algebre "come se / cezanne non avesse viscere / o occhi / ma soltanto / il raffinato linguaggio del fare": "ribellare gli occhi" serve per "erigere coscienze". Così anche per Soffici: quello che veniva scambiato per dandismo, era in realtà accorta flânerie, nel senso benjaminiano di vera e propria strategia dello sguardo.

3. Ci sono anche elementi formali affini: il forte rilievo iconico in entrambi, la scelta di una misura ampia e mai bloccata alla adiectio quantitativa del collage. Tutto questo renderebbe i loro testi assimilabili per certi versi a quelle mappe di cui parla Jameson, quelle cartografie dell'esperienza, in cui il senso del QUI ha preso il posto dell'IO in una rappresentazione situazionale di una totalità altrimenti irrappresentabile - cioè invisibile. Si possono individuare tappe intermedie in Roberto Roversi (Le descrizioni in atto) e Antonio Porta, con la sua "grammatica del visivo", che in una recente opera di Voce diventa "grammatica dell'essere": nuove strategie visive per vedere oltre la griglia del già dato, e quindi, di fatto, changer la vie, senza restare intrappolati dal rumore.


n. zero, maggio 1995 - 1995, n. 1


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