Albert Thibaudet, La fisiologia della critica, con una lettera di L. Anceschi, a cura di L. Ghini, Firenze, Alinea ("Saggi e documenti", 78), 1988, pp. 165.

Nella Physiologie de la critique, apparsa per la prima volta nel 1930, Thibaudet riunisce le conferenze tenute nel 1922 dinanzi al pubblico del Vieux Colombier. Da tale occasione nasce la riflessione sulla natura della critica, idealmente concepita come il risultato dell'accordo tra l'esercizio sensuale del gusto e la triplice operazione intellettuale del giudicare, classificare e spiegare. Thibaudet stabilisce una distinzione precisa tra la "critica spontanea" o parlata, che ha il difficile compito di cogliere il respiro della modernità attraverso un'ottica attuale; la critica degli artisti che meditano sulla propria opera; e infine la cosiddetta "critica professionale", prerogativa dei lettori di professione. Fedele al metodo delle réflexions, che gli consentirà poi di tessere un mirabile intreccio di analogie e di rimandi attinti all'estetica, alla filosofia, alla morale e alla politica, Thibaudet elabora l'idea della critica creatrice, che si nutre del dialogo assiduo con i testi e della "simpatia" con le opere. Tale genere di critica presuppone una visione dinamica della tradizione, intesa come un flusso mobile e continuo. Accanto all'esempio di Montaigne, Sainte-Beuve, Valéry, oltre a Lemaître, Faguet e Brunetière, egli accoglie infatti anche la lezione di Bergson, assegnando alla critica il delicato compito di afferrare dall'interno il ritmo profondo, la simultaneità e la durata della letteratura e dell'opera singola, comprese tra la memoria del passato, l'azione del presente e l'indeterminazione del futuro.
La critica presenta dunque un carattere fisiologico, per la sua capacità di cogliere le leggi segrete che governano il grande corpo della letteratura. Essa può inoltre essere definita un "edificio classico", in quanto si occupa essenzialmente del "concatenarsi classico", ovvero del legame di continuità che unisce le generazioni degli scrittori. In questo modo Thibaudet, come riconosceva anche Curtius, trasmette all'Europa un'alta lezione di classicità e umanesimo in un tempo profondamente inquieto. [Daniela Baroncini]


Vincent Kaufmann, L'equivoco epistolare nelle lettere di Kafka Flaubert Proust Baudelaire Mallarmé Valéry Artaud Rilke [1990], trad. di Enrico Chierici, Parma, Pratiche, 1994, pp. 211.

Nella veloce e caotica assegnazione degli epistolari alla "letteratura" che questa fine secolo sta compiendo, questo libro, che tenta di affrontare da un punto di vista unitario il problema del genere epistolare, è passato quasi inosservato. Kaufmann beninteso restringe il suo oggetto occupandosi in sostanza solo di epistolari "d'autore", ed entro limiti geografici e temporali abbastanza precisi; tuttavia aggira la stinta questione della "letterarietà" della comunicazione epistolare, per indagarla direttamente come "forma particolare di parola".
L'ipotesi di base è che la lettera, come forma di scrittura, sia un potente mezzo per esperire la lontananza, un dispositivo che "produce una distanza", un modo di "chiamare gli altri per meglio respingerli". Cioè, riecheggiando in fondo un topos dell'estetica del Novecento, uno "sradicamento della parola umana" preliminare ad ogni operazione artistica. Kaufmann tende, prevedibilmente dopo tanta estetica della ricezione, a ricollocare il punto d'osservazione entro un'estetica della produzione. Tale spostamento d'accento, che induce a considerare lo scambio epistolare come preparazione dell'"opera", se da un lato forse costituisce un limite, dall'altro ha il vantaggio di riportare l'attenzione su una retorica globale dei generi "marginali", in sintonia con alcuni studi soprattutto francesi, e di reintegrare la dimensione autoriale in un'ermeneutica della sfera simbolica. Vien fatto di pensare che l'elemento di "preparazione" possa essere fatto slittare su un piano sociologico e storiografico, considerando che nei suoi due secoli di vita moderna questo genere "famigliare", nel linguaggio e nelle forme del discorso più che nella sua ambigua natura biografica (e forse più profondamente del romanzo, che pure l'ha inglobato e rilanciato), ha aperto la strada alla letteratura contemporanea, o almeno a certa parte di essa. [Federico Pellizzi]


Rosaria Campioni (a cura di), La narrativa in biblioteca, a cura di Rosaria Campioni, Bologna, Il Nove ("Emilia Romagna Biblioteche Archivi", 28), 1995, p. 147.

Il volume, a cura di Rosaria Campioni, raccoglie gli atti relativi a un corso di aggiornamento per bibliotecari organizzato nella primavera del 1994 dal Settore beni culturali della Provincia di Bologna e dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione. Implicita nella scelta degli autori delle relazioni la volontà, come scrive la prefatrice, di promuovere "un dialogo tra i due poli, letterario e bibliotecario": ad italianisti (Ezio Raimondi, Luisa Avellini, Andrea Battistini, Renzo Cremante) si alternano infatti bibliotecari o studiosi di discipline biblioteconomiche (Maurizio Festanti, Elisa Grignani, Rino Pensato, Marina Baruzzi, Bianca Verri e Marcello Di Bella). Il tema proposto è affrontato secondo diverse prospettive e metodologie di indagine: dopo le indicazioni di orientamento offerte da Ezio Raimondi sul «paesaggio letterario degli ultimi vent'anni», seguono approfondimenti sulla fisionomia socio-culturale del lettore, sullo statuto di "autore classico", sulla letteratura di massa e il consumo paraletterario, sulla gestione e classificazione delle raccolte di narrativa e le strategie di promozione della lettura.
Il valore del libro risulta perciò duplice: infatti offre nel campo della biblioteconomia un momento di riflessione ricco di spunti teorici e pratici e nello stesso tempo suggerisce prospettive interessanti anche per quanto riguarda gli studi letterari. [Silvia Mirri]


Laura Faranda e Luigi M. Lombardi Satriani (a cura di), Forme del tempo, Vibo Valentia, Monteleone, 1993, pp. 264.

Pensare il tempo non è cosa da fare se si spera di ottenere un viatico verso la tranquillità dell'animo. Enigma o scherzo che sia, esso è la componente essenziale della vita insieme alla morte, svolta temporale non meno determinante, e rappresenta l'interrogativo più profondo che mente umana possa concepire.
Nella consapevolezza che dentro un tempo assoluto che involve tutto si diramino costellazioni di tempi differenti, il volume Forme del tempo tenta un'analisi pluriprospettica e dialogica delle concezioni temporali che fondano le discipline del sapere e della creatività dell'individuo. Il mosaico che viene a comporsi dall'intrecciarsi vivo dei "colloqui" con studiosi e artisti riesce, nella presa diretta della parola, a offrire interrogativi e risposte che pure nella loro temporalità restituiscono visioni del tempo suggestive e coinvolgenti, proiettando la nostra percezione dello scorrere degli eventi, singolari e collettivi, in una dimensione di viva storicità, per afferrare la piega variabile del rapporto uomo-mondo. [Vitaniello Bonito]


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