Progetti di lavoro (n. sei-sette, settembre 1996)


PROGETTO DI LAVORO: Daniela Baroncini
Per un'arte nuova classica
Parte terza: Il ritorno al mestiere. Ungaretti e Valéry.


Nell'immediato dopoguerra Ungaretti avverte la necessità di rinnovare la parola poetica, restituendo ad essa la profondità della memoria. Dal sentimento della crisi del linguaggio nasce così la poetica della "parola memore", che si rivolge alla tradizione per ritrovare la propria vitalità e riattingere l'innocenza. Negli anni della genesi del Sentimento del tempo il poeta affronta i problemi tecnici ed espressivi riscoprendo il "mestiere", nel tentativo di conciliare, secondo la lezione di Apollinaire, la tradizione e l'invenzione, l'ordine e l'avventura. Attraverso l'esempio di Mallarmé egli comprende allora che il "miracolo" in poesia è frutto di memoria, e solamente attraverso la memoria è possibile ritornare innocenti.
In questo periodo si rivela determinante la lettura di Valéry, il quale ha saputo sanare "il dissidio tra convenzione e creazione, tra miracolo e mestiere, tra classicismo e romanticismo", conciliando il turbamento al rigore, come si legge nella Rinomanza di Paul Valéry del 1925. Il classico presuppone dunque un romanticismo anteriore, secondo quanto Valéry afferma in Situation de Baudelaire (1924), mentre la spontaneità è una conquista laboriosa, ottenuta con la precisione e la disciplina dell'hostinato rigore. Questo motivo ricorre spesso negli scritti di estetica di Valéry e sembra riflettersi nella definizione del classico come "raggiungimento della libertà espressiva per la precisione di regole e la loro esatta osservanza" elaborata da Ungaretti in Immagini del Leopardi e nostre (1943).
Nel dialogo Eupalino o l'architetto del 1921, apparso nell'edizione italiana con il commento di Ungaretti, risulta centrale l'idea della costruzione, intesa come lavoro sapiente che fissa l'effimero nell'eterno, e viene esaltato il gesto del costruttore che conferisce all'opera solidità e durata. Attraverso queste letture Ungaretti matura la nozione di un'innocenza da conseguire con la tecnica sapiente e tuttavia discreta e, come riconosce in Va citato Leopardi per Valéry (1926), impara a "riaccorgersi di un'infinità di risorse e di effetti della parola".
Gli scritti ungarettiani degli anni Venti rivelano un'intensa sintonia con il maestro di "suggestiva lucidità", al quale attinge una fondamentale lezione di mestiere, acquistando la consapevolezza tecnica necessaria per conferire alla parola poetica lo spessore della memoria e nello stesso tempo l'illusione dell'innocenza.
Parte prima - Parte seconda


PROGETTO DI LAVORO: Stefania Filippi
Il Martyre de Saint Sébastien di Debussy e D'Annunzio: realizzazione di una nuova estetica musicale e teatrale degli anni Dieci.


Nello studio del rapporto privilegiato che la produzione dannunziana assume col mondo della musica, può avere un certo interesse la riscoperta di un testo quale Le Martyre de Saint Sébastien, dramma in ottonari francesi scritto negli anni 1910-1911, nel corso del volontario "esilio" parigino del poeta, come un intenso lavoro comune con Claude Debussy. Si tratta di prendere in esame un periodo - gli anni Dieci a Parigi - che riveste particolare interesse per la storia della cultura europea; erano infatti gli anni in cui giunse a maturazione l'estetica delle correnti simboliste della fin de siècle, momento privilegiato di sperimentazioni significative per la storia musicale e letteraria. Quest'opera, emersa da quel contesto, in quanto esito della collaborazione poetico-musicale di D'Annunzio e di Debussy, appare rilevante anche oggi sotto l'aspetto della duplice elaborazione testuale dei versi e della musica.
Una ricerca completa su questo testo e sulle sue vicende compositive sembra utile per la ricostruzione del metodo compositivo di Debussy e D'Annunzio, e ancor più per lo studio della loro collaborazione artistica, esemplare in quanto ricerca sulle comuni potenzialità espressive del testo e della musica, e con una forte carica innovativa per la prassi teatrale del tempo, sostenuta dall'apparente convergenza e dal forte mimetismo reciproco di estetiche musicali e teatrali, forse nate con prospettive differenti. L'opera è così la realizzazione di un remoto progetto dannunziano, la creazione poetica in langue d'oïl, congiunta ad una antica aspirazione all'"arte totale", wagnerianamente intesa come recupero della perduta sintesi delle tre "arti sorelle" (musica, poesia e danza).
Nell'elaborazione scenica di un soggetto sacro, non privo di forti componenti pagane e profane, l'opera si avvicina ad un gusto arcaizzante che trova il suo luogo ideale nell'ambientazione tardo-ellenistica e si impreziosisce delle musiche di scena di Debussy come di un naturale complemento sonoro, in una riuscita comprenetrazione tra l'essenziale melodia debussiana, ormai già tendente al recupero del genere diatonico e modale, e la declamazione dell'ottonario francese, che D'Annunzio ricrea sull'antica langue d'oïl dei mystères e delle agiografie medievali. Nella convergenza dell'estetica musicale del Debussy maturo con la sperimentazione teatrale del periodo parigino di D'Annunzio, l'opera in esame si pone così come la realizzazione di quelle istanze teoriche che la sensibilità e lo spirito di ricerca di fine secolo avevano portato ad un estremo grado di intellettualistica elaborazione.
Procedendo ad uno studio parallelo della partitura musicale e del testo poetico, ne vanno considerati sia i complementari aspetti di sperimentazione, sia le vicende compositive, attestate da un lungo epistolario tra i due artisti (ripubblicato nel 1993, dopo decenni di oblio), che documenta così le fasi dell'elaborazione testuale del "libretto" in francese, con le ricerche linguistiche e stilistiche che essa comportò per D'Annunzio, nella continua volontà di adeguare la propria lingua alla raffinata sonorità debussiana. Questo carteggio in francese attesta poi anche la volontà di nuovi progetti comuni per i due artisti, la storia della mise en scène e delle rappresentazioni dell'opera, come pure, intersecandosi con altri epistolari dannunziani, contribuisce a delineare la complessa vicenda delle collaborazioni teatrali ricercate dal poeta proprio a partire dagli anni Dieci, e solo in parte realizzate coi maggiori e più diversi compositori del tempo (Pizzetti, Mascagni e Zandonai), oppure non riuscite (Puccini e Perosi).
I materiali da esaminare sono numerosi ed eterogenei: l'epistolario già citato, le fonti del testo poetico - sacre e profane, in latino, in volgare o in francese -; i testi di estetica musicale circolanti in Europa tra i due secoli, da cui emerge la rielaborazione e poi il superamento delle teorie wagneriane nella prassi poetico-musicale, e che condusse Debussy all'elaborazione di una ricerca del tutto nuova, orientata al recupero della modalità medievale e alla riscoperta dei testi poetici dell'ultima langue d'oïl (Charles d'Orléans e François Villon), e infine l'esame del gusto medievalistico, presente nella drammaturgia e nelle arti figurative degli anni Dieci.


n. sei-sette, settembre 1996



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